di Massimo Stella

E l’attuale “gilda” europea?

La novità nella quale oggi ci troviamo è che, finito il periodo della contrapposizione di sistema, con il disfacimento di uno dei due poli, si è determianto un fenomeno che io amo chiamare la vittoria della Germania nella Seconda Guerra Mondiale. Nella situazione nuova, la Germania ha vinto la seconda guerra mondiale, diventando, con la riunificazione, il pilastro di un impero continentale, che è la cosiddetta Unione Europea, in cui c’è spesso un condominio a due, di antica data, cioè l’asse franco-tedesco.

E’ una cosa molto forte quella che dice….

In questo sono molto legato a Teopompo: perché Teopompo prosegue Tucidide fino al 394? Per dire che non è vero che Sparta ha vinto la Guerra del Peloponneso, in quanto Conone ricostruisce le mura, ricrea la flotta, e, quindi, la vittoria spartana del 404 si è dissolta. Ora, il fenomeno che abbiamo adesso sott’occhio è che l’Unione è una gabbia d’acciaio. Un uomo sicuramente intelligente, Tremonti, ha scritto un libro, se vogliamo tardivo, intitolato Uscite di sicurezza, dove si diverte a mettere tra virgolette le parole di coloro che scrissero le regole Maastricht, in primis Jaques Attali, eminenza grigia dello staff Mitterand: “abbiamo creato un meccanismo che impedirà a chiunque di uscire dall’euro”. Il senso di questo gioco è creare la certezza che il mercato non si sarebbe disfatto, perché esso è la base dell’egemonia. Noi simo costretti a stare là dentro perché la Germania ha bisogno del mercato europeo e ha bisogno che abbia una moneta unica. Quindi non c’è solo il processo di svuotamento della democrazia, ma c’è anche un processo specifico di subalternità al paese dominante, cioè al vero unico vincitore della Seconda Guerra Mondiale.

Lei ha dedicato un libro, tempo addietro, alla filologia come scienza della verità e della libertà. L’intellettuale, lo storico, almeno a partire dalla Rivoluzione francese e in tutte le vere democrazie, ha questa consegna: coltivare la verità e la libertà. Secondo lei, nell’attuale quadro politico ed economico, qual è il compito dell’intellettuale?

Io sono tendenzialmente prudente quando qualcuno vuole additare i compiti dell’intellettuale. L’intellettuale molto più veloce: egli arriva cioè prima a capire i processi. Quando si parla di opportunismo dell’intellettuale, si dice una cosa vera, ma al cinquanta per cento: perché è in virtù di questa velocità di comprensione che l’intellettuale si spinge a fare per tempo cose le quali poi, a posteriori, sembrano opportunistiche, cioè frutto dell’allineamento rapido sul cangiamento del reale. E questo è un vantaggio perché l’intelligenza va apprezzata comunque. E’ un limite, perché l’intellettuale è un gruppo sociale che ha bisogno di gratificazioni e, quindi, dove può ottenerlo se non dal potere al quale si propone come interlocutore privilegiato? Nell’attuale panorama, in cui tutto è frammentato in mille situazioni concrete, io credo che il modello socratico del tafano, questo Socrate-tafano che dà una molestia continua, sia un valore positivo, sgradevole sul momento, ma produttivo nella distanza.

In che senso produttivo?

C’era un sofisma, un tempo, che aveva un certo fascino: il partito politico come intellettuale collettivo, un partito politico, cioè, che, educhi i propri quadri alla disciplina mentale e alla conoscenza, si facesse catena di trasmissione di pensieri rispetto a una classe. Ora tutto questo non c’è più. Dopo un’egemonia reazionaria, con varie sfumature, il compito principale degli intellettuali è smascherare un rapporto di potere: ci avete raccontato la favola che questo mondo coniugava libertà e democrazia, non è né l’uno né l’altro e spieghiamo perché. Si tratta di squadernare questo equivoco logoro, che è servito, durante una fase storica, a vincere una grande partita. Ora che è stata vinta, dobbiamo parlar chiaro: disturbare les fables convenues.

Le oligarchie, come ci insegna l’esperienza degli antichi fino ai nostri tempi, hanno bisogno di formazione e cooptazione. E le democrazie – cioè noi oggi - come garantiscono i migliori? Attualmente in Italia è esploso il problema del reclutamento della dirigenza, finalmente…

Con la scuola. Secondo me l’unico grande argine e vivaio fecondo, nel crollo complessivo delle formazioni politiche, anche ormai per la loro povertà di pensiero, è la scuola. Infatti la scuola è il bersaglio: ecco perché viene umiliata, subissata di fatiche inutili, ridotta a parcheggio perché è il luogo più pericoloso e fecondo.

E l’Università?

Nell’Università è più facile demolire: la riduzione della validità sacrosanta del titolo di studio, la distruzione del sistema statale, le isole beate dell’eccellenza e la depressione da “serie C” di tutto il resto. L’Università è più debole perché non è un approdo obbligato e quindi si può dire meglio che bisogna rinunciare a un egualitarismo deteriore. Purtroppo, le premesse di questo sono state nel semplicismo della rivoluzione culturale sessantottesca: obiettivo altissimo che, poi, di fatto, ha dato una mano ad intaccare il funzionamento di questa istituzione contro cui oggi si può sparare. Fu una partenza sbagliata o si è rivelata tale. L’introdurre un processo di banalizzazione o di abbassamento di livello sembrava, all’inizio, solo demagogia e il tutto è stato accolto con entusiasmo da chi voleva realizzare la disuguaglianza. Oggi capiamo che è servito a determinare le isole di quella parola insopportabile che è “eccellenza”. E le riforme di centro-sinistra ci hanno sospinto verso il Quarto Mondo.: l’Università dovrebbe alfabetizzare masse enormi, facendo passi spaventosi e gratuiti. La sinistra deve fare grossa autocritica su questo punto.

Nel suo libro, ha un ruolo importante l’occhio del comico, Aristofane, puntato sulla scena politica democratica, e d’altra parte lei concesse tempo fa un’intervista a Sabina Guzzanti per Viva Zapatero. Di che cosa ridiamo o vogliamo ridere, in questo momento, a proposito dell’attuale governo? Ha contezza la parodia di Monti, Fornero…?

Si, certo, ne ho precisa informazione. La gente adesso ride e vuole ridere di questa élite di cui non si fida perché è piovuta dal cielo, élite ancora una volta egemonica, scaturita da mediazioni più o meno credibili, come le ginnastiche elettorali. E ha ragione a non fidarsi: anche l’oligarca Antifone era un uomo di primo ordine, ma ciò non toglie che non c’è la volontà giusta. Questa reazione nei confronti del nuovo governo si è prodotta in neanche due mesi ed è già al proscenio.

Chiudiamo sul filo mordente della battuta comica. Ho sentito dire, da più di un amico filologo (non giovane), che l’attuale governo è paragonabile alla svolta oligarchica del 411 a.C. in Atene. Come commenterebbe?

Si, lo è. Non so se si debba paragonare più a quella del 411 o a quella del 404: il 404 è ancora più ideologizzato. Nel 404 lo stato guida da additare era un modello più completo: si veniva da una catastrofe e da una sconfitta irreparabile. Effettivamente, il governo che è stato abbattuto usava il populismo in maniera quasi perfetta, populismo malvisto dai ricchi veri e professionali, mentre la grande sintonia era con “la bestia bionda”, il popolo leghista e televisivo. Quel governo era esemplare dal punto di vista populistico: il consenso è dominio. Questi dell’attuale governo no, perché sono raffinati, tecnici, sanno benissimo che non potrebbero affrontare una campagna elettorale se non con l’aiuto esterno e quindi si tratta di un gruppo oligarchico a tutti gli effetti. Dopodiché la loro tragedia sarà di dover scegliere in che direzione applicare e indirizzare il rigorismo. E sarà appunto la loro tragedia.

Fonte: Alias, inserto de Il Manifesto dell' 11 marzo 2012
 

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