Dall'oligarchia nasce il cannibalismo politico - Terza parte

Terza parte
La Terza Repubblica e l’espulsione dell’alternativa di società
di Fausto Bertinotti
Intanto, in Italia, dentro il recinto della struttura istituzionale e politica del consenso, si è aperta una nuova fase per far aderire quest’ultimo, ormai a soqquadro, alla stabilita del pilota automatico che governa l’economia nella crisi e, ora, nella deflazione. Sarebbe il passaggio dalla Seconda alla Terza Repubblica.
In questo passaggio si dovrebbe consumare la definitiva mutazione genetica della sinistra con l’espulsione, dalla sfera della politica, dell’opzione dell’alternativa di società. Il fenomeno politico Renzi va letto in questo quadro e, in questo quadro, preso molto sul serio come suggerisce, del resto, l’efficacia della sua azione politica e l’ampiezza del consenso che guadagna. La dispersa sinistra critica farebbe male a perdere ora l’occasione di una riflessione che potrebbe avere ricadute significative su di se e sui suoi nuovi compiti: Renzi segna uno spartiacque nella storia della sinistra italiana, la fine di una storia e un punto di non ritorno.
Dopo tanta retorica è davvero un fatto nuovo. Con lui entra nella politica il post-moderno: l’uscita di scena del grande problema dell’indagine della realtà oltre le apparenze; la fuoriuscita dal fondamento della politica moderna quello di prendere parte, di eleggere una realtà sociale quale riferimento di base del proprio agire; la sostituzione del contenuto sociale della decisione politica con la decisione in se. Il mortifero sistema politico della Seconda Repubblica, attaccato dall’esterno dal Movimento 5 Stelle, e attaccato dall’interno dal ciclone Renzi il quale vince perché è in sintonia con il formarsi dell’opinione pubblica, un’opinione pubblica postclassista, che ha sostituito la giustizia con l’innovazione, con la modernizzazione di una politica e di un assetto istituzionale ormai indifendibile. Egli sta come il surfista abile sulla cresta dell’onda e l’onda che lo sostiene è quella del nostro tempo. Si parla di un consenso interclassista, in realtà è più propriamente un largo consenso trasversale, cioè un consenso che attraversa la popolazione dei diversi partiti, diversi secondo quelle definizioni di sinistra, destra, centro, che il fenomeno Renzi tende a rendere inerti e obsolete. Persino la coppia berlusconismo/antiberlusconismo, che aveva preso, di fatto, il posto di quella tra destra e sinistra, viene dissolta.
Sta per cominciare una nuova storia politica del Paese nella quale la questione del governo soppianta quella della rappresentanza democratica del popolo. La legge elettorale e la, si fa per dire, riforma costituzionale ne formalizzano l’opzione. Se si fosse avuto a cuore il tema della rappresentanza e della rappresentatività la decisione, con le sue motivazioni, della Corte Costituzionale ne avrebbe offerto l’occasione. Si sarebbe trattato di andare al voto con un sistema proporzionale per rilegittimare le forze politiche colpite a fondo dal discredito popolare, dall’astensione e dal voto di protesta e, da li, da un rinnovato rapporto, libero dal ricatto del voto utile, tra il popolo e gli eletti. Nessuna componente della sinistra politica l’ha neppure proposto. La governabilità è ora eretta a sistema. Per farlo bisognava pero intervenire anche sulla soggettività della sinistra politica. Renzi costituisce, a questo proposito, finalmente il punto di cesura tanto atteso, più volte annunciato e fino a ora mai interamente compiuto e segna, con il suo avvento, una duplice fine.
La sinistra di classe, la sinistra del movimento operaio ha vissuto la sconfitta e il fallimento della sua gigantesca storia su una scena ben più grande dell’Italia e in un tempo ben diverso dalle miserie del nostro tempo. Tuttavia restavano, sempre meno, sempre più flebili, negli interstizi della politica, quasi ridotte a citazioni memorie e nostalgie, ambigui rinvii, sebbene ormai inerti, a quella storia. Come per recuperare qualche dignità a un certo fare politica che, in realtà, l’aveva persa. Ma oggi anche queste tracce vengono recise. Tutt’altra è la base di questo nuovo inizio, tanto da indurre ad un’altra sepoltura, quella del centro-sinistra che ha riempito, in Italia, la storia, poco commendevole della Seconda Repubblica.
Renzi condanna a morte il tentativo della classe dirigente post-comunista di rinnovarsi in un partito e in una coalizione di governo di centro-sinistra e ne decreta la fine. Fallito strategicamente in tutta Europa il centro-sinistra per perdita di autonomia, prima nei confronti della globalizzazione capitalistica, poi nei confronti dell’austerità, è stato assorbito dalla governabilità. In Italia le sue ultime prove sono state benzina nel motore della rottura renziana, che e avvenuta cancellandone i suoi protagonisti dalla scena politica.
La degenerazione dei costumi, l’impresentabilità della politica nelle sue più recenti manifestazioni, il degrado del dibattito politico, la miseria delle pratiche di governo hanno generato un’attesa di un “Adesso basta” che ha soffiato nelle vele renziane configurandolo come il vincitore atteso, in una realtà politica nella quale vincere è diventato l’imperativo categorico, scacciando l’interrogativo per che cosa fare, per chi fare. L’ineluttabilità delle scelte capitali in economia viene assunta come una verità che “libera” la politica da questo immenso peso, decisivo per definire la società e l’eguaglianza, cosi da potersi dedicare a ciò che con questo nocciolo duro e compatibile socialmente e ai, pure rilevanti nella vita della persona, diritti individuali. La politica social-liberista occupa ora tutto il campo che è stato quello della proiezione nelle istituzioni del conflitto di classe. La fine, a lungo annunciata, si è infine compiuta. Se cosi, come dice Giesbert, una sinistra, quella politica e istituzionale, entra (finalmente, per i conservatori) nel ventunesimo secolo, cioè torna a prima del movimento operaio e ridiventa liberale, un’altra sinistra, quella critica, dovunque collocata, dovrebbe a sua volta pensare a come finalmente ricominciare. Da zero e dal conflitto, a partire dalle lotte contro le diseguaglianze cioè dalla riscoperta della sua origine.
E, come allora, dovrebbe farlo da fuori delle istituzioni e delle forze politiche che caratterizzano la nuova scena. Ora non dovrebbero più esserci alibi, nè giustificazioni, a restare imprigionati in vecchi schemi resi vuoti e immobili dalla conclusione di un processo cominciato tanti anni fa. La rottura Renzi era annunciata e si è fatta necessita per il Pd. Essa conclude, in Italia, due storie, sia quella storica del Pci in ogni sua coda, adesso tagliata definitivamente, sia quella del centro-sinistra che, già fuori da quella tendenza, ha interpretato in questo ultimo quarto di secolo un’idea di alternanza rispetto alla destra berlusconiana.
Il fenomeno Renzi chiude sia con la storia della sinistra italiana che con il nuovo che ha preteso di sostituirla. E colloca il Pd su un altro terreno, quello trasversale del post-moderno, un nuovo-nuovo. Le idee di unità a sinistra e di alleanza politiche vengono meno con la dissoluzione della sinistra politica. La sinistra può dunque rinascere solo fuori da questa cornice, reinventando il rapporto tra soggetto, conflitto e politica sulla critica alla condizione sociale generata dal capitalismo finanziario e sulla critica al capitalismo finanziario e alle sue istituzioni.
Il tema delle rivolte va allora approfondito; bisogna scavare dentro, lavorarci sopra. I fatti rivelano che non si stratta di un’invenzione. La vicenda dei forconi e finita presto, come improvvisamente era apparsa e come sotto qualsiasi altra forma può riaffacciarsi. La rapidità con cui è uscito di scena e la stessa non certo straordinaria partecipazione, piuttosto che generare un’incomprensione del perché di tanta attenzione mediatica, dovrebbe farci capire perché essa c’è stata e cosi consistente. Il perché a me pare chiaro: perché le rivolte sono il fenomeno atteso in questa devastante condizione sociale e nell’eclisse della democrazia e perché la dialettica principale è diventata quella tra il campo presidiato dal recinto e ciò che sta fuori di esso, quale che sia la sua natura. E’ dunque su questo che le forze critiche dovrebbero scegliere di lavorare. Il fenomeno è, d’altra parte, europeo e riguarda in particolare l’Europa mediterranea.
Ha scritto il direttore de Le Monde diplomatique: “Le rivolte si moltiplicano. Vi contribuisce il discredito dei responsabili politici, alimentato dalla loro incapacità di proporre al Paese una qualunque prospettiva. La mediocrità della loro ambizione personale non migliora la situazione, tanto più che la stampa diffonde e amplifica strepiti e litigi. (…) Un clima simile alimenta un neopujadismo che si allarga sempre più al margine delle formazioni tradizionali, con scoppi intermittenti di collera e brontolii continui nelle reti sociali. Imprenditori ‘piccioni’, folle tradizionaliste della Manif pour tous, “berretti rossi” bretoni – tutto questo in meno di diciotto mesi! La spaccatura fra politici ed elettori ha a che vedere da una parte con l’americanizzazione della vita politica francese: i partiti principali sono ormai semplici macchine editoriali, cartelli di notabili locali alimentati solo dalla linfa di una popolazione anziana. (…) In questo periodo, mentre il fatalismo e l’attesa di una inversione di rotta nella corrente dominante ritardano il lavoro della riconquista intellettuale e quello della mobilitazione politica, non c’è altra soluzione in definitiva, che la coalizione sociale fiduciosa e vincente”.
Fonte: Alternative per il Socialismo

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