PERUGIA - “Come spesso accade in risposta a nuovi bisogni nascono idee e risposte nuove. L’idea in questione non è affatto nuova, già se ne parla negli anni ’60, ma si sviluppa in particolare nel nord Europa, in Canada e negli Stati Uniti, la novità è che se ne comincia a parlare in Italia. Si tratta del “cohousing”, letteralmente “coabitazione”, ma letto in maniera più ampia, può indicare condivisione di spazi, servizi e responsabilità,  quale possibilità di far fronte a nuovi bisogni sociali, in particolare quelli che emergono dalle nuove realtà urbane”. A dirlo è l’assessore regionale alle politiche abitative Stefano Vinti.

“Il bisogno crescente di ripensare il modello dell’abitare – sottolinea l’assessore - , in realtà sempre più complesse e disgregate, da una parte, e la necessità di far fronte ad una crisi lontana dal risolversi, impongono, infatti, un ripensamento dei modelli di vita, in particolare nelle città medio grandi, dove più forti sono i fenomeni di disgregazione della vita comunitaria, dove alla dissoluzione della famiglia tradizionale non viene ancora sufficientemente contrapposta una risposta pubblica di sostegno e dove, per giunta, la crisi batte più forte”.

“La Regione dell’Umbria – ricorda Vinti - ha iniziato una riflessione su questa speciale forma di “vicinato” come nuovo modello abitativo e come possibilità  per far fronte alle sfide emergenti nelle sue città. Una risposta sostenibile, ecologica e socialmente innovativa, che utilizza e riqualifica il patrimonio già esistente. In accordo con le più avanzate progettualità di riqualificazione dei centri storici o di aree urbane cosiddette “obsolete”: implementazione di energie rinnovabili, risparmio ed efficienza energetica, recupero di edifici storici che si congiungono con nuovi modelli  di socialità dell’abitare”.

“Target particolarmente adatti – conclude Vinti - sono le giovani coppie, i single, che pur vivendo nel proprio appartamento,  possano cogestire alcuni spazi e servizi, dalla cura dei bambini, alla cura del verde, ecc. Né  un condominio né una comune, ma una forma nuova, intermedia, dove i diversi nuclei condividono “zone”, ottimizzando le risorse. Una forma attiva e partecipata, che responsabilizza i diretti interessati nel miglioramento della qualità, non solo della propria vita, ma anche degli spazi sociali di riferimento.  Diverso si fa il discorso quando il problema dell’abitare riguarda gli anziani. Gli anziani infatti sono particolarmente legati alla propria casa, non solo come rifugio, ma come luogo degli affetti e dei ricordi. Per far vivere più a lungo e meglio un anziano bisogna farlo restare nella propria casa. Sono i servizi che si devono spostare. Bisogna attivare le domiciliazioni e non solo per quel che riguarda la salute. Per prima cosa è necessario garantire l’accessibilità degli spazi, intervenendo dove è il caso, per l’abbattimento delle barriere architettoniche, ma anche ripensare la tipologia dei servizi residenziali, reinterpretandoli in modo più funzionale e agile. La sfida quindi è garantire reti di supporto domiciliari e applicare il concetto di “cohousing”, così come lo abbiamo descritto, al condominio o addirittura al quartiere”.

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