di Guido Liguori.

Ieri ho firmato per la presentazione delle liste di Potere al popolo e ho sottoscritto anche il suo "manifesto". Dopo il fallimento del progetto del Brancaccio, i militanti e le militanti della sinistra che non sono iscritti ad alcuna organizzazione (è il mio caso), tanto più se di idealità comunistiche, sono di fronte a una scelta: o ci si schiera con Liberi e Uguali, accettando una prospettiva politica legata a un futuro nuovo accordo con un Pd senza Renzi, o si aderisce a Potere al popolo, che indica una prospettiva di opposizione a tutto il quadro politico-istituzionale dato. La scelta di fondo è data dal posizionamento di fronte alla "sinistra più brutta del mondo", come scrisse Perry Anderson. Io ritengo che se era sbagliato credere che prima tutto il male fosse Berlusconi, ora è sbagliato credere che tutto il male sia Renzi. Le cose sono più complesse: la deriva della sinistra italiana ha molti padri e pensare a una sua ripresa mantenendo un rapporto di alleanza col Pd, da chiunque guidato, è un forte errore. Ds e Pd hanno nel loro complesso la responsabilità delle politiche neoliberiste degli ultimi anni, in primis fiscal compact, stravolgimento della Costituzione con l'inserimento del pareggio di bilancio, legge Fornero, ecc. Per questo credo che la sinistra e con essa i comunisti possono rinascere nel nostro Paese (con un processo non breve e che comprenda anche una rinnovata elaborazione teorica e culturale) solo segnando una discontinuità forte con queste politiche. Fuori e contro il centrosinistra, si era detto al Brancaccio. Resto di questa idea, convinto che questa sia la strada per ricostruire l'identità di una sinistra di lotta che inizialmente non potrà che essere all'opposizione, in collegamento con le più significative esperienze della Sinistra Europea, in Spagna, in Grecia, in Germania, ecc.
L'iniziativa che ha portato a Potere al popolo è un punto di partenza che può essere ricco di sviluppi. Penso che essa non debba mirare a un nuovo partito, ma a sviluppare una "democrazia di base", non contrapposta alla democrazia istituzionale, ma intrecciata a essa, tendente a condizionarla denunciandone storture e contraddizioni. Nel Manifesto di Potere al popolo si parla di "controllo popolare sulle istituzioni", di "una rete di assemblee territoriali", di una esperienza che sia un punto di partenza e non di arrivo, per dare rappresentanza a quella gran parte di Paese reale oggi senza voce. Nel Programma di Potere al popolo vi sono anche punti che mi sembrano basilari per una ripresa della sinistra: il forte richiamo alla Costituzione come era prima che fosse modificata dal neoliberismo e dal centrosinistra, la volontà di costruire un'altra Europa, molto diversa da quella dei Trattati (e con una politica dell'accoglienza condivisa), la radicale opposizione alle guerre, la centralità delle politiche che dovrebbero garantire lavoro non precarizzato, dignità pensionistica, una nuova fiscalità che distribuisca diversamente la ricchezza esistente, lotta al precariato, rilancio dell'istruzione e della cultura, sono punti che permettono davvero di dire che si tratta di un buon programma, condivisibile e da far conoscere, anche se su altri aspetti più limitati si può discutere o anche dissentire. La tv e i media possono oscurare questa realtà presente nel paese reale, non cancellarla. Spero che essa possa vivere oltre il 4 marzo per far sentire la voce dei molti uomini e delle molte donne che non ne possono più di questo assetto economico-sociale e di questa democrazia svuotata. Cerchiamo ancora, fuori dai vecchi giochi del potere e del politicismo esasperato e ormai consunto. Pronti ad accogliere le compagne e i compagni che, se fanno oggi scelte diverse, conservano intatta la volontà di costruire una alternativa reale alla società in cui viviamo e che, spero, si uniranno presto a noi domani, anche dopo il 4 marzo.

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