di Giuseppe Castellini

Come funziona la nuova legge elettorale, il Rosatellum. E un po’ di storia

Nella Prima Repubblica, quando c’erano il proporzionale e le preferenze, i partiti potevano candidare tutti (le liste infatti erano lunghe) e vinceva chi prendeva più consensi personali. In qualche maniera i territori pesavano di più, perché chi era fortemente radicato non poteva essere fatto fuori dalla lista, pena la possibile perdita di voti legati alle preferenze di quel candidato. In ogni caso, se la vedeva con quanti elettori scrivevano sulla scheda il suo nome.

Oggi, invece, con un parte dei seggi assegnati con l’uninominale e con il listino del proporzionale bloccato, ossia senza la possibilità per l’elettore di dare preferenze, è il partito nazionale che di fatto fa tutte le scelte. Insomma, siamo usciti dalla Prima Repubblica con l’intento di dare più potere ai cittadini e meno ai partiti e ci ritroviamo con il potere che è invece è passato tutto ai partiti. Non è facile, per chi credeva che con la Prima Repubblica i cittadini avrebbero contato di più, sapere che alla fine i candidati verranno scelti da quattro o cinque persone riunite intorno a un tavolo in una stanza dei Palazzi romani del potere. I filosofi la chiamano ‘eterogenesi dei fini’, il popolo va meno per il sottile e lo bolla come ‘paraculismo”.

Se posso esprimere la mia opinione, credo che per garantire maggiore governabilità sarebbero bastate due novità rispetto al sistema di allora: inserire una soglia di sbarramento al 4-5 per cento perché un partito potesse ottenere seggi e, come prevedeva la famosa legge del 1953 che le sinistre bollarono come ‘legge truffa’ (ma che rispetto ai meccanismi di oggi era una misura all’acqua di rose), stabilire un premio di maggioranza, non eccessivo (diciamo il 55% de seggi), per i partiti che si fossero impegnati a governare insieme e che, complessivamente, avessero superato il 50%. La ‘legge truffa’ non espresse i suoi effetti perché i partiti di centro, che avevano governato fino ad allora, insieme si fermarono poco sotto il 50% e quindi il premio di maggioranza non scattò.

Queste due misure, su un impianto proporzionale, permetterebbero il rispetto della maggioranza degli elettori votanti (bisognerebbe ottenere il 50% + uno dei voti per avere il premio di maggioranza) e la governabilità, se i cittadini davvero la desiderano. Forzare le cose, in un Paese come il nostro provoca disastri. Le leggi elettorali, infatti, vanno calibrate sulla realtà di un Paese, una può andare bene in Gran Bretagna ma non in Italia, e viceversa). Appunto l’eterogenesi de fini, o se si vuole, il paraculismo centralista dei partiti, dove decidono poche persone lasciando le mani legate agli elettori, che con il pastrocchio del Rosatellum (probabilmente destinato ad essere dichiarato incostituzionale dalla competente Corte, per tutta una serie di motivi, come lo è stato il precedente Porcellum) nemmeno possono dare il voto dsigiunto, come avviene invece per le elezioni comunali nei municipi sopra 15mila abitanti.

Nel proporzionale, con il Rosatellum, non si possono infatti votare nel proporzionale partiti che non appoggiano il candidato che si sceglie nell’uninominale. Per essere chiari, non posso votare il nome dell’uninominale proposto dal centrosinistra o dalla sinistra, perché magari quel nome mi piace, e poi nel proporzionale votare, che so, Forza Italia o Cinque stelle o altre forze non collegate con il nome dell’uninominale che ho scelto di barrare. Questa, appare evidente, è una chiara e grave limitazione della libertà dell’elettore.

Pd, ore di tragicommedia per le candidature

Questo, tornando alle candidature del Pd, come d’altronde quelle degli altri partiti, per dire che la vera partita si giocherà nei prossimi giorni sul tavolo romano di ciascuna formazione e coalizione.

Così verrà sciolta dal tavolo romano l’empasse che si è creata nel Pd, già esistente ma che si è enormemente complicata dopo che la Marini ha lanciato la candidatura del segretario regionale del Pd, Giacomo Leonelli, nell’uninominale per il collegio Perugia-Trasimeno per provare a tagliare la strada a sottosegretario uscente Gianpiero Bocci.

Chiariamo una cosa: in palio nell’uninominale in Umbria sono 3 seggi alla Camera e 2 al Senato, mentre nel proporzionale sono in palio 11 seggi, 6 alla Camera e 5 al Senato. I collegi, evidentemente, hanno ampiezze territoriali diverse, vista la diversità del numero di seggi in palio.

Ma facciamo un passo indietro. Fin dall’inizio Bocci ha chiesto la candidatura nel collegio Perugia-Trasimeno, una volta che si è capito che a livello nazionale altre erano le scelte per i primissimi posti nel proporzionale a Camera e Senato. La presidente della Regione, Catiuscia Marini, ha visto immediatamente la cosa come il fumo negli occhi, ma evidentemente da Roma le arrivavano segnali che la cosa non era decisa e anzi che, per Bocci, il destino era la candidatura nel collegio uninominale che comprende la Valnerina, l’area in cui è nato. Tanto che la carta che la Marini aveva in mente per impedire la candidatura di Bocci in quel collegio, il segretario regionale Leonelli, scriveva su Facebook che non si sarebbe candidato e che preferiva dedicarsi alla famiglia.

Ma poi deve essere successo qualcosa a Roma. Probabilmente la candidatura di Bocci nel collegio uninominale Perugia-Trasimeno si è rafforzata e dalla capitale debbono essere arrivati alla Marini segnali in questo senso. E quando il segretario del Pd, Paolo Polinori, manda una mail in cui propone, per il collegio uninominale di Perugia, di inviare al partito nazionale i nomi di Gianpiero Bocci alla Camera e Valeria Cardinali al Senato, la Marini capisce che il ‘nemico’ è alle porte’ e sa che, probabilmente, non è che Polinori vuole indicare a Roma, ma è Roma che ha indicato a Polinori, in qualità di segrettario del Pd di Perugia, il proprio orientamento.

Che fare per evitare il misfatto? Come contraerea si ritira fuori la carta preparata. Ovvero la candidatura di Leonelli in quel collegio, lanciata come corpo contundente contro Bocci. Bocci ora deve decidere le contromosse. Lui non vede affatto bene Leonelli, al quale Bocci imputa di essere stato eletto come segretario regionale unitario del Pd, ma poi di essersi via via alleato con la presidente Marini, tanto che quanto accaduto in queste ore e il rifiorire della sua candidatura hanno dietro la spinta della presidente. Ma allo stesso tempo Bocci non può andare contro Leonelli a testa d’ariete perché è pur sempre il segretario regionale del partito, oltre che renziano della prima con addentellati nel ‘giglio magico’, e un attacco, soprattutto a Roma (dove si decide), non vedrebbe visto di buon occhio. Non solo, ma occorre anche non surriscaldare i rapporti perché poi si rischia che un pezzo di partito alle urne non ‘tiri’.

Sul collegio uninominale Perugia-Trasimeno e sulle contromosse di Bocci torneremo tra poco. Per ora fermiamoci qui.

Con una postilla. Si era parlato di una battaglia tra Walter Verini e Giampiero Giulietti (che vanta una buona amicizia con il tesoriere del partito, Bonifazi, e tramite lui fa arrivare la sua voce al ‘giglio magico’ renziano) per le candidature in Altotevere. Ma la cosa si deve essere sistemata, perché nella trasmissione ‘Nautilus’, curata da Gianfilippo Della Croce e andata in onda ieri sera sul canale 11 – Trg del digitale terrestre, Verini ha affermato che con Giulietti non c’è nessuna battaglia e che “non ci sono problemi per entrambi”. Ovvero, che dovrebbero essere entrambi candidati e che per i due, evidentemente, da Roma giungono buoni segnali, se non vere e proprie garanzie. Va ricordato che Verini è lo storico stretto collaboratore di Walter Veltroni e che, nei rapporti con Renzi, per tanti motivi Veltroni pesa molto e il suo peso negli ultimi mesi è cresciuto. Comunque, staremo a vedere come andrà a finire.

Perché la Marini non vuole a tutti i costi Bocci nel collegio uninominale Perugia-Trasimeno

Certamente la Marini e Bocci, da quanto si apprende da fonti bene informate circa i loro rapporti, non si possono vedere. “Non ingannino - affermano le nostre fonti - le foto ogni tanto fatte insieme a qualche appuntamento istituzionale o di partito, dove entrambi sorridono. La verità è che si detestano”.

Ma il vero motivo della strenua opposizione della Marini alla candidatura di Bocci su Perugia-Trasimeno è politico e, insieme, di destino personale. La presidente sa che Bocci punta alla candidatura, nel 2020, alla presidenza della Regione. E teme l’ascesa, in termini di peso politico e di consensi nel partito e nella società umbra, che Bocci ha avuto in questi anni. Ha sperimentato e sperimenta l’efficacia e la forza del gruppo dei 5 ‘bocciani’ (compreso Guasticchi, che però va classificato come ‘bocciano’ anomalo) in consiglio regionale, dove l’hanno messa più volte in difficoltà su diverse questioni, costringendola a duri negoziati e tra le quali c’è anche la vicenda delle famose dimissioni dell’assessore alla Sanità, Luca Barberini. A nessuno, poi, è sfuggita la presenza, in alcune manifestazioni organizzate dal sottosegretario o dai suoi, personaggi del Pd di area ex Ds che prima erano collocati altrove nella geografia interna del partito.

La Marini territorialmente non è stata mai fortissima di suo, e anche lo ‘schiaffo’ subito qualche mese fa nelle elezioni comunali della ‘sua’ Todi dà un’idea delle difficoltà. Ha sempre puntato a trovare un referente che, in qualche modo, la facesse contare nei vari territori.

Ognuno dei referenti gioca per sé ma ad essi la presidente della Regione fornisce, anche per il peso istituzionale che ha, una ‘coperta’ utile. La Marini, quindi, che a differenza di Bocci non ha una sua propria elettorale, stringe alleanze sui territori. Alleanze che possono cambiare, secondo le situazioni e la convenienza. In Altotevere, ad esempio, ci sono Giampiero Giulietti e l’assessore regionale Fernanda Cecchini. E c’era poi il gruppo dei ‘giovani turchi’ (Boccali a Perugia, Giulietti in Altotevere, Todini a Marsciano, Rossini a Todi). Ma il gruppo di fatto si è sciolto e Boccali a Perugia ha perso le elezioni (anche con qualche successiva polemica verso la Marini, come emerge dal libro “Tutta colpa di Boccali?”, intervista con Daniele Bovi), come pure Rossini a Todi. A Foligno, dove all’inizio la Marini contava sull’apparato lorenzettiano che, con in testa la ex presidente della Regione, è stato decisivo per la sua candidatura a Palazo Donini nel 2010, gode ormai di deboli appoggi. Gran parte dell’apparato lorenzettiano si è infatti squagliato con scelte diverse tra l’uno e l’altro personaggio e i rapporti con l’ex presidente Lorenzetti, a quanto si sa, da tempo sono freddissimi, del tipo distacco glaciale.

Marini, che a Perugia non è mai stata amatissima, sa l’importanza del capoluogo negli equilibri politici del partito e, caduto Boccali, si è trovata in difficoltà. Il personaggio su cui ha puntato via via è Giacomo Leonelli e l’approdare – benché tardivo - della presidente tra i renziani di rito orfiniano (Orfini è il presidente nazionale del partito e di quel che rimane della corrente dei ‘giovani turchi’), con la partecipazione della Marini lo scorso anno sul palco della Leopolda dove sembrava una renziana della prima ora, ha saldato bene il rapporto. Solo che Leonelli era stato eletto segretario regionale con un accordo anche con i bocciani e il suo virare verso Palazzo Donini al sottosegretario e ai suoi non è andato certo giù.

Insomma, per Marini avere un ruolo a Perugia è decisivo, altrimenti per lei la trattativa con Bocci, quando sarà il momento di decidere il candidato alla presidenza della Regione, nel 2020, non sarà un negoziato, ma una resa. E poi, in questa situazione di ulteriore debolezza dopo le ‘scoppole’ già prese (tra cui la vittoria striminzita alle regionali del 2015, quando ha ottenuto il 42% dei voti, contro il 39% di Ricci) la Marini rischia di diventare, nei tre anni che mancano alle elezioni regionali, quello che gli americani dicono quando il presidente ha ridotti margini di manovra: un’anatra zoppa. Sotto tiro dei ‘bocciani’ e senza troppe difese, costretta a negoziare al ribasso. Il che la metterebbe in difficoltà anche nel trattare il proprio futuro - politico o amministrativo, per lei si parla anche di un incarico non elettivo a Bruxelles - perché essere deboli sul proprio territorio è, alla fine, essere deboli anche a Roma. Dove peraltro il suo riferimento, Orfini, bisognerà vedere che fine farà, in quanto tutto dipenderà dal risultato elettorale.

Insomma per la Marini Perugia è strategica per l’oggi e per il domani e il pensiero che Bocci, magari venendo eletto con un buon margine, sia nelle condizioni di alterare gli equilibri a suo favore nella città capoluogo di regione, per lei non è certo allegro.

Anche perché, nella strategia della Marini, c’è la volontà di essere determinante per la scelta della candidatura Pd a sindaco di Perugia, nel 2018, nelle difficilissime elezioni contro il sindaco Andrea Romizi. E appare chiaro quale nome la Marini ha in mente (o meglio, aveva in mente): Giacomo Leonelli. Ma il ‘nemico è alle porte’ e questa carta va giocata subito, adesso, per fermare Bocci.

La contromossa di Bocci

Gianpiero Bocci è un politico navigato e sa fare i passi giusti. Uno che ha imparato nella Dc che l’avversario – o il nemico – non si uccide mai con la spada, ma col veleno. E se possibile lentamente, non di botto. Metodo che lascia meno tracce e che non comporta la vista del sangue politico.

Sa che, al momento, tirare la corda potrebbe non essere per lui vantaggioso, che comunque ha bisogno di tutti in un’elezione che, per il Pd, anche in Umbria stando ai sondaggi non è facile. Deve vincere, e anche con un buon margine. Così alla mossa della Marini risponde con un: se ci sono problemi su Perugia perché è spuntata la candidatura di Leonelli, a me va bene anche candidarmi all’uninominale in Senato. Ovviamente nel collegio che, con qualche ritocco territoriale, comprende la provincia di Perugia.

Una soluzione di mediazione che, alla fine, potrebbe anche passare, perché salverebbe capra e cavoli. Non mette in un angolo la Marini, consente a Bocci di avere un sostegno più convinto da parte di questa fetta del partito, lo rende un senatore di grande peso negli equilibri politici umbri e lo rafforza comunque per le partite dei prossimi anni.

Quanto alla Marini, l’interesse principale è non correre il rischio di vedere Bocci diventare il ‘re’ di Perugia, marcando così una supremazia che Bocci e i bocciani potrebbero giocare anche nella candidatura a sindaco di Perugia.

Certo, la Marini preferirebbe che Bocci sia candidato nel collegio uninominale che comprende la Valnerina, così da tenere lontano i ‘barbari invasori’. Ma sa che tutto non potrà avere.

Ma allora, che succede? E la Cardinali?

L’eventuale candidatura di Giacomo Leonelli nel collegio uninominale di Perugia-Trasimeno comporta una serie di questioni. Intanto della candidature femminili, perché nei collegi uninominali le donne, o gli uomini, hanno una riserva di legge e quindi in uno dei tre collegi della Camera, come in uno del Senato, dovrà essere candidata una donna. Se Leonelli va all’uninominale della Camera e Bocci a quello del Senato, salta la senatrice uscente Valeria Cardinali. Che sarebbe difficile vedere piazzata nel collegio Altotevere-Foligno o addirittura in quello di Terni. Per lei, semplicemente, nell’uninominale non ci sarebbe più posto ed è molto, molto difficile che, con gli appetiti che ci sono e i probabili parlamentari in meno rispetto al 2013, possa essere candidata in una posizione utile al proporzionale. Se proprio vedrà la mala parata, la Cardinali potrebbe negoziare la candidatura a sindaco di Perugia l’anno prossimo, ma si sa dove sono scritti questi impegni in politica: sull’acqua.

Senza contare lo spirito in cui si trova e si troverebbe la Cardinali, dopo che aveva visto il traguardo della candidatura vicinissimo grazie alla mail di Polinori, che appunto indicava come candidati nell’uninominale lei (Senato) e Bocci (Camera).

La brutta figura di Polinori

Non è un bell’esordio per il neo segretario del Pd di Perugia, Paolo Polinori. Ha fatto girare una mail con i nomi delle candidature e la segretaria comunale l’ha sconfessato. Ovviamente come si fa secondo la scuola dorotea, famosa corrente della fu Dc nota per il suo potere e per la capacità di dire sempre le cose di traverso e mezze verità, che poi sono le bugie peggiori. E di votare sempre all’unanimità dopo guerre politiche con morti e feriti.

Così la segreteria comunale del Pd di Perugia, dopo una lunghissima riunione che non è stata per nulla facile, in una nota nella sostanza dice due cose: la prima è che “le diverse figure istituzionali” sollecitano la candidatura di Leonelli (in filigrana per “le diverse figure istituzionali” leggere in primis, se non in esclusiva, Catiuscia Marini); la seconda allarga il giro, dicendo che vanno prese in considerazione non solo le candidature di Bocci e Cardinali, ma anche altre, tra cui prima di tutto quella di Leonelli, e poi figure della società civile. Insomma, l’obiettivo del documento è mandare a Roma il messaggio che Polinori, con quella mail, ha dato fuori di testa. E che dargli retta verrebbe preso male dal Pd di Perugia, oltre che dalle “varie figure istituzionali”. Sapendo bene che, probabilmente, su quei due nomi Polinori aveva avuto il via libera da Roma e infatti a Roma il documento approvato in realtà parla. In sostanza, il neo segretario comunale ne esce politicamente annichilito.

Ma se Leonelli viene eletto, chi sarà scelto come candidato a sindaco di Perugia del Pd? Il procuratore Cardella è un nome da sventolare, ma il più probabile è Carlo Calvieri

Se sarà candidato e se sarà eletto, l’andata di Leonelli alla Camera fa saltare il progetto, che ci viene confermato da fonti Dem e che è stranoto nel gruppo dirigente del Pd regionale e di Perugia, di candidarlo a Perugia come anti Romizi nelle elezioni comunali del prossimi anno.

Ecco quello che dice sulla questione un alto dirigente del Pd della provincia di Perugia, che abbiamo sentito: “Il progetto, è vero, era quello di candidare Leonelli a sindaco di Perugia. Sarebbe venuto fuori gradualmente, la cosa andava preparata bene e presentava dei rischi, ma è vero che questo era il progetto. Adesso bisognerà puntare su un personaggio della società civile e si pensa al procuratore Fausto Cardella”.

Ma in verità quello di Cardella – anche perché non abbiamo potuto appurare se lui sia d’accordo ed eventualmente a quali condizioni – sembra più un nome da specchietto per le allodole. Perché già sono in corso contatti e movimenti, compresi sondaggi presso le varie anime del partito, per puntare su Carlo Calvieri, avvocato, professore universitario e con un curriculum ricchissimo, che peraltro ha avuto qualche ruolo, anche se per un periodo non lungo, in qualche organo direttivo del Pd umbro. Sondaggi sul nome di Calvieri sono stati fatti anche tra alcuni esponenti della sinistra Pd, dove ha riscosso consensi. “Calvieri – afferma uno di questi esponenti – sarebbe un ottimo candidato. È stimato, è inserito in molti ambienti. E potrebbe anche attirare quei voti della ‘Perugia che conta’ che le scorse elezioni hanno appoggiato in toto Romizi. Avremmo invece perplessità molto forti sul nome di Leonelli”.

Insomma, se Leonelli andasse a Roma un’alternativa c’è già e ci si sta lavorando. Ma le logiche e i tempi della politica mutano spesso e questo, al momento, resta un progetto. Che però viene portato avanti. Segretamente. Ma, come potete leggere, non tanto.

E Cardella? Resta in campo, ma da oggi sappiamo che non è più la sola carta importante. Anzi, da quello che si muove pare essere al secondo posto. Tuttavia c’è tempo perché torni prima scelta.

Va ribadita una cosa: non abbiamo potuto appurare se i due personaggi, Cardella e Calvieri, abbiano dato un qualsiasi sponda, magari un piccolo cenno di apertura, a questi progetti. Può essere che ne siano non diciamo del tutto ignari (le voci su una possibile candidatura Cardella a Perugia le conoscono tutti), ma che mai siano stati davvero sondati.

Tu chiamale, se vuoi, illazioni. Ma possiamo assicurare che le fonti ascoltate, nel Pd, sono autorevoli.

Ora la decisione del tavolo romano. Possibili sorprese

Questo lo scenario. Ma le vere decisioni verranno prese in una stanza ristretta del Pd nazionale, dove vigila Matteo Renzi. Ovviamente dopo aver parlato, sondato, sentito l’umore dei territori (ecco perché l’urgenza del documento della segretaria del Pd di Perugia dopo la mail di Polinori), fatti i conti su quanto va dato alla corrente di minoranza, quella di Orlando, che poi se la deve vedere con i vari sottogruppi di cui è composta.

In uno scenario, peraltro, dove in base un po’ tutti i sondaggi il Pd otterrà circa la metà dei parlamentari che aveva, se non meno. Per restare alla Camera dei deputati, i dem nel 2013, grazie al super premio di maggioranza, ottennero ben 294 deputati. Oggi i sondaggi gliene danno circa 150 e una parte debbono essere assicurati ai ‘nanetti’ (Europa+ della Bonino, Insieme e la compagine ‘petalosa’ della Lorenzin). I ‘nanetti’ sono dati da tutti i sondaggi stare sotto il 3% nel proporzionale e quindi qui non prenderanno seggi, ma i loro voti – lo abbiamo spiegato nel precedente articolo – andranno automaticamente al Pd, che quindi otterrà nel proporzionale più seggi rispetto ai voti che otterrà di suo. Inoltre, quel 4-5% che i sondaggi danno ai ‘nanetti’ servirà moltissimo in vari collegi uninominali, dove la coalizione che arriva prima vince tutto. I ‘nanetti’, quindi, vogliono posti sicuri nell’uninominale, non potendoli avere nel maggioritario, e bussano cassa. Con insistenza e forza, a cominciare dalla Bonino.

Insomma, non sembra che, sempre stando ai sondaggi, ci sia troppa trippa per gatti. I posti sono pochi, gli aspiranti tanti solo se si contano i parlamentari uscenti, più i nuovi aspiranti. È come far diventare quadrato un cerchio. Per questo non sono escluse vere e proprie sorprese.

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