Sul Mes la fiera dell’ipocrisia
Alfonso Gianni ( il manifesto 24/12/2023)

Quello che colpisce nel dibattito parlamentare e non solo, nelle reazioni e nei commenti seguiti al voto contrario alla ratifica della riforma del Mes, è lo sconsolante politicismo che li ispira. Un mediocre politicismo, perché il merito della questione viene saltato a piè pari per fare posto all’opportunismo e all’equilibrismo in funzione del quadro politico-partitico. In questo squallore si colloca la dichiarazione di Giorgetti per cui il Mes andrebbe ratificato per ragioni economico-finanziarie, salvo dovervi rinunciare per salvaguardare gli equilibri nella maggioranza. Non è l’ambito ritorno alla supremazia della politica nei confronti dell’economia. Al contrario è l’immiserimento di entrambe. Così come l’appellarsi al volere del Parlamento è pura ipocrisia dopo che questo è stato svilito da una legge elettorale incostituzionale  e poi ridotto a notaio dall’overdose di decreti-legge del governo Meloni, nonché dalla blindatura della stessa legge di bilancio. Le forze di opposizione, con l’esclusione, almeno nel voto d’aula, del M5S, si sono ben guardate dal discostarsi dal mainstream, tacciando il voto contrario al Mes di antieuropeismo. Lasciando così ampio spazio al dispiegarsi della demagogia nazionalista delle destre.  Mentre Sinistra italiana si è rifugiata nell’astensione probabilmente per tenere in equilibrio l’alleanza elettorale con i Verdi, perdendo però l’occasione di fare vivere in Parlamento una critica di sinistra al Mes che fondatamente esiste da anni.  L’accusa di antieuropeismo appare grottesca persino dal punto di vista formale. Va ricordato che il Mes non è una istituzione europea – con buona pace di Carlo Cottarelli che così la giudica “di fatto” -, ma un organismo istituito il 2 febbraio del 2012 in base ad un accordo tra i governi dell’eurozona. E’ un parto della logica intergovernativa che ha dominato con sempre maggiore insistenza nei vertici europei. Il suo compito è l’assistenza finanziaria ad uno Stato membro che la richiede, ma che per ottenerla deve passare le forche caudine della valutazione di sostenibilità del debito. Nella versione “riformata” tale valutazione compete, oltre che alla Commissione europea, alla Bce e, se necessario, al Fmi, anche agli organi del Mes e al suo direttore generale. In sostanza il Mes diventa una figura ibrida, una po' una banca e un po' un’ agenzia di rating. Soprattutto perché il monitoraggio sulla sostenibilità avverrebbe anche nei confronti dei paesi che non hanno ancora richiesto un intervento del Mes, con la giustificazione di rendere l’organismo sempre pronto ad ogni bisogna. Se si considerano assieme questo ruolo del Mes con la “riforma” del Patto di stabilità e crescita, che il governo italiano ha invece sottoscritto - ascrivendolo come una vittoria dell’abilità negoziatrice della Presidente del consiglio e, con maggiore senso della misura, del ministro dell’economia - si ravvisa una evidente duplicazione delle competenze già in capo alla Commissione europea, la quale dovrebbe valutare proprio le condizioni finanziarie in cui si trova ogni singolo paese, in via preliminare alla  accettazione del piano di rientro dal debito proposto dal rispettivo governo. Essendo il Mes un organo indipendente rispetto alle istituzioni europee, la sua interferenza potrebbe portare a valutazioni divergenti da quelle della Commissione con la conseguenza di complicare il processo decisionale o addirittura di rivedere il piano. In ogni caso il messaggio lanciato ai famigerati mercati non sarebbe dei più confortanti.  Il “compromesso” - tale lo ha definito  Giorgetti – sul Patto di stabilità contiene, per alcuni aspetti,  elementi addirittura peggiorativi rispetto alla stessa formulazione della Commissione. L’aggiunta delle nuove funzioni del Mes renderebbe ancora più evidente non solo la ristrettezza dei margini economici per manovre espansive – se non per spese belliche - ma una forma di commissariamento dei governi nazionali, che potrebbe stringersi ulteriormente in una gabbia a seconda del quadro economico interno ed internazionale. C’è chi pensa di riaprire la questione dopo le elezioni europee, altri che già progettano un Mes a 19 paesi, con l’Italia fuori. Ma non è certo questo Mes che potrebbe spingere verso un’Europa solidale.

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