SPOLETO – Stanca di vedere il progetto fermo e del tutto disattesi gli impegni che il Comune di Spoleto aveva assunto nei suoli confronti, Lucia portoghesi si è rivolta direttamente al sindaco Daniele Benedetti per denunciare lo stallo in cui versa il Museo del Tessuto e del Costume, un progetto che tarda a decollare.

 

Per chi non lo ricordasse, Lucia Portoghesi è la Storica del Tessuto che anni fa ha ceduto al Comune di Spoleto la suaa collezione privata composta da importanti reperti storici che abbracciano il periodo dal XIV al XX secolo. Nella convenzione all’epoca stipulata si stabiliva fra l’altro, che come contropartita alla donazione ed al suo impegno nella direzione del museo deveva esserle erogato un vitalizio mensile. Ebbene, ad oggi con il pagamento del vitalizio il Comune è in ritardo di circa nove mesi, ma cosa che l’interessata ritiene ancora più grave è il fatto che non le è mai stato consentito di occuparsi della programmazione e della direzione del museo, questo nonostante le sue ripetute conferme di disponibilità dichiarate anche attraverso la stampa.

Questa, comunque, la lettera integrale indirizzata al sindaco Benedetti il cui oggetto recita cosi:

“ Considerazioni di una povera Studiosa del Tessuto e del Costume sulla triste fine della propria collezione storica”

Gentilissimo Signor Sindaco,

sono costretta a rivolgermi a Lei ancora una volta per iscritto, dato che non ho mai avuto la fortuna di conoscerla personalmente, nonostante avessi ripetutamente chiesto al suo ufficio un colloquio, che Lei, così preso dalle cure dell’amministrazione, non ha ancora trovato il tempo di concedermi.
 

Questa volta sono qui in primo luogo per complimentarmi con il personale dell’Assessorato alla Cultura, per aver così abilmente trovato una formula salva vita per la Mostra attualmente visibile presso il cosiddetto Museo del Tessuto e del Costume: la formula dell’accostamento alla Storia attraverso la fantasia, è una trovata geniale, perché si sa bene come non possano esserci limiti alla fantasia che può tutto giustificare e resta una valida difesa verso qualsiasi critica o appunto.

Ricordiamo che per questa mostra, avevo indicato ritrovamenti archeologici con frammenti di tessuto che avevano un riscontro anche nella tessitura popolare nel Sud d’Italia.
Nessuno mi ha più contattata né telefonicamente né per iscritto: non ho l’abitudine di voler imporre la mia presenza se non desiderata. Vorrei ricordare a Lei e agli Spoletini che Lei rappresenta, che un Museo non è solo un locale ove si espongono degli oggetti più o meno ordinatamente, ma è
essenzialmente un luogo di studio, di conoscenza e di cultura, attraverso un’azione didattica.

Questo concetto è valido sia per i musei che racchiudono Opere d’Arte, che parlando di valori assoluti hanno forse meno bisogno di guide culturali, sia, come in questo caso, per un museo nato come Museo Storico (le ricordo il titolo della convenzione “Museo di documentazione del tessuto e costume storico”) che deve offrire le chiavi di lettura per una raccolta tutta rivolta alla vita
quotidiana in Italia attraverso il costume.

Il costume che tanto risente del pensiero coevo in mille sfaccettature necessita di una guida ed  è quello che si chiama inquadramento storico, del tutto mancante nell’ordinamento attualmente adottato.

Soprattutto richiede un minimo di studio dei materiali esposti, evidentemente del tutto insufficiente nel nostro caso, in cui non ci si indigna di fronte a:

-       un abito della metà del XIX secolo che, data l’altezza del manichino, arriva alla caviglia dimenticando che all’epoca la sola vista di una caviglia provocava turbamento (vedi romanzi dell’Ottocento);
 

-       la povera Alexandrin in punta di piedi perché il manichino moderno prevedeva tacchi a spillo, dimenticando che la moda Impero prevedeva un una piega al centro; in cui non si riesce a rendersi conto che qualora si privilegi la presentazione su manichino, è il manichino che deve adattarsi al vestito e non viceversa, rischiando di tradire concetti e linea di un epoca e di uno stile che possono bene essere rappresentati anche da un solo abito.

Come già scrissi nel catalogo Sul filo della lana a cura di Philippe Daverio
“...sarà l’architetto che ha immaginato l’architettura gotica nel suo slancio verso l’alto, ad aver portato l’ignoto sarto a spostare tutto l’interesse della figura femminile verso l’alto, ingegnandosi per quanto possibile di slanciarla con tagli sapienti, con il segno alto della vita, le piccole spalle, il fluire delle vesti? o sarà stata la dolce poesia degli stilnovisti? O le Madonne sconvolte dal turbine divino di Simone Martini con gli angeli annuncianti avvolti, in quei tessuti bianchi e oro di così difficile attribuzione se cinesi o italiani dei pochi frammenti superstiti?”...

Mi è stato comunicato che il Museo segue un ordinamento per settori, ma allora come non ci si rende conto che assemblando oggetti tanto diversi per funzione ed epoca come le cuffie, ad esempio, si possono solo ingenerare tante confusioni?

E se si tratta di esposizione per settori, come mai manca completatamene il settore merletti, con i numerosi pezzi unici presenti nella collezione, attraverso cui è possibile ricostruire la storia del merletto in Italia?

E mi chiedo ancora come mai nella sezione tessuto dove è importante che sia ben leggibile il modulo decorativo, qui malamente rappresentata da tre cappucci di piviale privati dei relativi galloni, viene privilegiata la posizione orizzontale, senza tenere conto che sia tessuti che costumi sono creati per una visione verticale e per pezzi particolarmente fragili almeno inclinata?
 

Perché poi anche quando la sezione è presente, come nel caso dei tessuti eseguiti su telaio domestico, si ignorano tutti quelli provenienti dalla mia ex-collezione che rappresentano anche altre produzioni popolari italiane?

Resta pure poco spiegabile perché la sezione degli abiti liberty presenti nella collezione del Museo spoletino, che tanto successo ebbe alla Mostra di Cortona del 1977, sia del tutto ignorata; per non parlare degli oggetti di arredo che avrebbero dovuto valorizzare gli esemplari di antica biancheria,
come le due casse veneziane da corredo in ferro battuto e velluto del XV secolo.
 

Non si accampino ragioni di spazio esiguo, perché i locali possono sempre essere utilizzati in maniera razionale e comunque gli oggetti possono essere esposti a rotazione, come avviene in ogni buon museo.

Manca inoltre la documentazione informatica, che permette allo studioso di conoscere tutto il patrimonio del museo, dal momento che a suo tempo il Comune ha già finanziato l’apposita schedatura fotografica.

Quando fu firmata la convenzione, ben diverse erano state le prospettive; la scelta fra Perugia e Foligno ricadde su Spoleto dove, avendo la sottoscritta tenuto un corso triennale per il restauro dei tessuti antichi, si poteva contare su validi elementi, che avrebbero portato avanti il complesso discorso del restauro e della conservazione del tessuto e del costume.
 

Nel nostro progetto ci sarebbero stati corsi annuali sul costume e sul tessuto, come sulle tecniche del restauro, anche con argomenti specifici dedicati ad epoche o a tecniche particolari, come avviene a Firenze, mentre il Museo avrebbe offerto ampi sussidi didattici per le scuole di ogni ordine e grado.

Come già avvenne per il breve periodo in cui il costituendo Museo rimase aperto a Palazzo Arroni,  avrebbero animato la quotidiana attività mostre in concomitanza con gli argomenti della Settimana di studi sull’Altomedioevo o del Festival dei Due Mondi, come l’iconografia di Salomè realizzata interamente a mie spese, il costume nel decimo secolo, Musica barocca e tessuti barocchi, Le vie della seta, Le vesti di Guglielmo d’Altavilla, unica manifestazione con catalogo perché finanziato dalla Fondazione Antonini.

La mia profonda amarezza nasce da possibilità sprecate per inspiegabili risentimenti contro la mia
persona, che hanno portato al non utilizzo di una studiosa di riconosciuto valore (e tale mi ritengo senza falsi pudori essendo fra l’altro il mio curriculum, in gran parte visibile su internet, alla portata di chiunque lo voglia consultare)  che naturalmente avrebbe potuto offrire tutto il supporto gratuito al Museo come verbalizzato nella convenzione, equivalendo la rendita vitalizia, che troppo spesso subisce ritardi abissali (al momento attendo il pagamento delle mie spettanze da oltre otto mesi) allo stipendio di un direttore di Museo.

Dopo lo sfratto da Palazzo Arroni, per anni non si sono voluti trovare locali adatti ad un museo nonostante l’interessamento dell’allora assessore alla cultura Dott. Giorgio Pressburger, poi improvvisamente, il museo è stato allestito molto velocemente nella sua veste attuale, dimenticando persino di invitarmi all’inaugurazione.

Continuo ancora ad offrire a Spoleto la mia professionalità, non certo sminuita nel tempo, come dimostra il mio ultimo lavoro di restauro su una giornea e un farsetto del 1481 delle vesti di Diego Cavaniglia, ma senza nessuna attenzione da parte di un’amministrazione che preferisce pagare
persone, non sempre qualificate nel settore, piuttosto che fruire della collaborazione gratuita della scrivente .

Con l’occasione sono a rinnovare la richiesta di un incontro con Lei che rappresenta l’amministrazione della città di Spoleto firmataria della convenzione

Dott.ssa Lucia Portoghesi

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