Dall'aprile scorso, dopo l'ultimo tavolo tecnico convocato al Ministero dello sviluppo economico per la rimodulazione dell'accordo di programma per la reindustrializzazione dell'area interessata dalla chiusura dell'Antonio Merloni, è nuovamente calata la nebbia sulla vicenda e non è dato sapere quali siano e se si vi siano stati passi concreti e decisivi per il definitivo sblocco delle risorse previste nell'accordo tra Governo e Regioni e per la mobilitazione di queste risorse a sostegno di eventuali iniziative imprenditoriali e di interventi per il riassorbimento delle maestranze rimaste fuori dall'operazione J&P.

Parimenti, anche per quest'ultimo caso, va rimarcato che la soluzione rattoppo accolta dai tre commissari stia dimostrando tutte le criticità su cui eravamo dettagliatamente intervenuti: non c'è un piano industriale vero, quello accettato dal Ministero e dai commissari è perfettamente in linea, nelle sue diverse proporzioni, con l'ultima e più critica stagione della gestione precedente, quella che l'ha condotta alla fine, e pertanto la produzione non decolla, con la nuova gestione che continua a tenere a casa gli operai riassorbiti, nel regime di cassa integrazione accordatogli preventivamente dal Governo.

Per capire quanto la gestione dell'intera faccenda sia stata approssimativa e all'acqua di rose, non v'è di meglio che ricordare la situazione paradossale in cui ci si trova oggi: con le banche che fanno istanze di fallimento ed esposti per recuperare il credito vantato con l'Antonio Merloni e con gli operai rimasti fuori da quell'operazione costretti ad allearsi con gli istituti di credito ed andare anch'essi per le vie giudiziarie, in soccorso alle azioni intentate dalle prime.

Nel caso dell'Accordo di programma, si fa dunque necessario evitare altre approssimazioni, altri ritardi ed altri pasticci ed è urgente mettere in campo interventi di reindustrializzazione che possano effettivamente ricreare le condizioni del lavoro e da cui l'economia del nostro territorio possa trarre benefici concreti, tangibili e duraturi. Va intanto definitivamente capito se le risorse messe a disposizione del Governo siano realmente e il più immediatamente possibile spendibili: nell'incontro dello scorso aprile è stato ribadito l'impegno, ma ancora la carta non canta e dopo quattro anni dalla promessa originaria è lecito dubitare che i 35 milioni di euro possano ancora continuare a definirsi un fantasma.

Se invece ci sono e si possono spendere subito, va allora accuratamente evitato di spenderli disperdendoli nei soliti mille rivoli che servono solo ad alimentare clientele e corporazioni o spezzettandoli per iniziative episodiche, mal coordinate e senza un progetto industriale di fondo vero e capace di realizzare un nuovo modello di sviluppo per il nostro territorio. E se questi soldi ci sono veramente, continuare a tenerli a bagnomaria e perdere altro tempo è, nella situazione di oggi, letteralmente criminale.

Ad oggi lo scenario si presenta così nel seguente modo e non gioca in favore dell'urgenza di dare risposte alla crisi economica e sociale del nostro territorio, a dare risposte a coloro che sono rimasti fuori nella vicenda Merloni e a coloro che già vivevano una condizione di disoccupazione di lunga durata, di sottooccupazione o di occupazione nell'economia sommersa: da questo Governo non è attendibile una politica industriale in senso proprio e la sua perdurante assenza non favorisce certo iniziative imprenditoriali di qualsivoglia natura che possano avvalersi degli strumenti e delle eventuali risorse dell'accordo di programma per progetti significativi e tendenzialmente stabili di reindustrializzazione dell'area, tanto meno nel campo della riconversione ecologica dell'economia, della green economy, della ricerca e dell'innovazione; il sistema delle imprese, in linea generale e a partire da quello umbro, è talmente fragile che non riesce più ad osare investimenti neanche in presenza degli incentivi, delle risorse e delle facilitazioni previste in quell'accordo di programma, con il rischio incombente una loro distribuzione non mirata venga utilizzata da quelle più spregiudicate solo per tirare a campare, non per la creazione di nuove attività o riconversione effettiva di quelle esistenti e senza alcun risvolto occupazionale vero; dalla stessa Invitalia chiamata dall'accordo tra Governo e Regioni a svolgere una funzione di mobilitazione degli eventuali investimenti e di intercettazione delle manifestazioni di interesse è lecito non attendersi granchè in quanto le dinamiche che presiedono alla sua gestione lasciano supporre impegni maggiori o rivolti in esclusiva a quei territori da cui provengono i membri del suo consiglio d'amministrazione, tutti nominati dai capi delle varie correnti politiche e tutti messi lì proprio a garanzia di precisi interessi politici, economici e geografici; le istituzioni e la politica regionali sono nude e si stanno dimostrando pressochè impotenti a ricreare le condizioni per un rilancio dell'economia, con un impegno che sulla vicenda Merloni si è altrettanto dimostrato incongruente, episodico e molto altalenante, senza alcuna volontà di osare almeno un'iniziativa concreta, neanche per la valutazione della fattibilità di alcune proposte che pur sono state via via messe in campo, come nel recente caso della nostra, sul trasferimento delle produzioni Ikea dall'estero all'Italia; a queste criticità si aggiungono quelle derivanti dallo stato attuale della crisi economica e finanziaria italiana ed internazionale e quelle derivanti dalle politiche economiche e sociali recessive ascrivibili al liberismo e alla dottrina dell'austerity.

Tutte queste considerazioni di realismo ci inducono a pensare che anche in presenza di un'immediata disponibilità dei soldi dell'Accordo di Programma, chi è chiamato a concretizzarlo sul territorio non sarà in grado di farlo, non in maniera tale da varare iniziative di rilancio economico ed industriale innovative, stabili, di respiro e durature. Depone in favore di quest'ultima considerazione il fatto che dall'apertura formale della crisi di una delle più grandi realtà industriali dell'Umbria e delle Marche fino ad oggi, non ci pare di ricordare che siano mai state avanzate idee e proposte vere in questo senso: l'impegno delle Istituzioni e della politica si è doverosamente ma esclusivamente dedicato alla garanzia dell'attivazione e della prosecuzione degli ammortizzatori sociali. Le uniche idee che si ricordano, si parva licet, sono state le nostre e ne vogliamo avanzare un'altra in questa occasione, di fronte ad uno scenario che più cupo non potrebbe essere.

Se il mondo delle imprese non è in grado o in condizione di fare direttamente la sua parte in questo territorio o non ha interesse a farla, se permane l'assenza di qualsivoglia atto di politica industriale degna di questo nome da parte del Governo, se non c'è altra possibilità di sfruttare quelle risorse per progetti di reindustrializzazione efficaci, allora è meglio che i soldi dell'Accordo di programma possano essere destinati a chi ha ne bisogno e a chi potrebbe investirli per creare nuove e molto concrete iniziative per la creazione dei posti di lavoro necessari a riassorbire subito quelli persi con la chiusura della Merloni e con la crisi del suo indotto e quelli mai creatisi per chi disoccupato lo è da tempo e non per suo piacere e non gode di alcun paracadute sociale che non sia la propria famiglia.

I 35 milioni di euro vengano dati ai Comuni dell'area Merloni e si accompagni questo trasferimento con misure straordinarie di finanza pubblica in deroga ai Patti di stabilità interni in modo da consentirne l'utilizzo immediato per investimenti volti a creare nuova occupazione.

Le opportunità di utilizzo sono pressochè infinite, tutte importanti e tutte in grado di generare ulteriori e vere occasioni di crescita economica e di sviluppo locale, soprattutto in direzioni strategiche ed innovative, garantendo al contempo un valore aggiunto al territorio con benefici evidentissimi di cui tutta la comunità potrebbe goderne. Si renderebbero possibili investimenti pubblici per la cura e la manutenzione del territorio, per la conservazione del patrimonio ambientale e culturale, per l'adeguamento dell'edilizia scolastica e degli edifici pubblici, per il recupero urbanistico delle Città, per un vasto piano di opere pubbliche anche stradali piccole ma numerose ed urgenti, per il welfare e le reti sociali e per l'incentivazione e la diffusione di iniziative cooperative. Ovvero, tutto ciò che serve di più alle nostre Città, tutto ciò che i Comuni non sono più in grado di garantire, tutto ciò dalla cui mancanza risente fortemente l'economia locale.

Gli investimenti gestiti e messi in campo direttamente dai Comuni grazie all'utilizzo di quelle risorse sarebbero in grado di far lavorare le imprese in attività, di crearne delle altre, di assorbire e reimmettere almeno temporaneamente al lavoro chi è da anni ed è rimasto oggi in regime di cassa integrazione, di generare nuova occupazione e di sedimentare un patrimonio di nuove competenze professionali e lavorative potenzialmente riutilizzabili anche in forme cooperative e di autoimprenditorialità.

L'utilizzo delle risorse dell'accordo di programma per un piano di interventi pubblici direttamente in capo ai Comuni del territorio interessato dalla crisi della Merloni si renderebbe possibile solo sgravandoli da alcuni dei vincoli del Patto di stabilità e a questo fine serve l'impegno del Parlamento e delle Istituzioni regionali. Si potrebbe addirittura pensare di creare un'Agenzia pubblica intercomunale a costo zero che predisponga in virtù di criteri di assegnazione precisi e cogenti delle risorse economiche la programmazione, la progettazione, l'aggiudicazione e la gestione degli interventi individuati per ogni singolo Comune.

Con una simile operazione così in controtendenza rispetto al baratro attuale e rispetto al vuoto di idee che non serve di certo per contrastare la recessione economica, i soldi dell'Accordo di programma andrebbero tutti a buon fine, non se ne sprecherebbero neanche in minima parte ed avrebbero una poderosa funzione di rilancio dell'economia del nostro territorio, del tutto inimmaginabile con l'utilizzo che altrimenti se ne vorrebbe fare.

Su questa proposta costruiremo nelle prossime settimane una forte iniziativa politica auspicando che possa incontrare sostegno e favore anche nelle Istituzioni, per il suo perfezionamento e per la sua concretizzazione. In caso contrario, faremo in ogni modo affinchè almeno stavolta ci si risponda con chiarezza e precisione perchè no e quali sarebbero, se ve ne sono, gli impedimenti e le controindicazioni.

Gianluca Graciolini

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