Dalla conferenza stampa di Corso Trieste il messaggio è chiaro: No ai soprusi, allo stravolgimento della rappresentanza, allo strappo ai diritti e alle libertà delle persone. Questa è la cittadinanza dei lavoratori, e costruisce quella di domani. Si ricomincia il 28 gennaio con lo sciopero generale di categoria, accompagnato da tutte le forze che sono scese in piazza insieme alla Fiom il 16 ottobre

di Anna Maria Bruni
La “settimana più lunga” della storia della Fiom, almeno riguardo alle relazioni sindacali, è cominciata domenica con l’incontro-fiume che la segreteria del sindacato delle tute blu ha avuto con la segreteria Cgil, che le ha viste inchiodate fino a tarda notte ai piani alti di Corso Italia per poi uscirne concordando sul rifiuto dell’accordo e sulla partecipazione della Cgil allo sciopero del 28 gennaio.

Ma il sindacato dei metalmeccanici ha cominciato a camminare sul filo fin dal No all’accordo proposto dalla Fiat, e non ha nessuna intenzione di tornare indietro, perché “questo è un accordo senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali”, scandisce il leader Maurizio Landini nel corso della conferenza stampa di ieri, “e qualunque sindacato, nel momento in cui ha apposto la firma su quell’accordo, ha accettato di cambiare la natura del sindacato confederale così come lo abbiamo conosciuto”. Se la notte porta consiglio, quella seguita all’incontro di domenica non ha fatto che aumentare, se possibile, la determinazione verso il No, corroborato dalle iniziative messe in campo per estendere sostegno e partecipazione a quello che è senza dubbio un nuovo corso impresso dalla Fiom già con il referendum di Pomigliano, e decollato con il 16 ottobre. A cominciare dallo sciopero generale di 8 ore della categoria indetto per il 28 gennaio, che “vedrà in piazza manifestazioni regionali – illustra il segretario Fiom - a cominciare da quella dell’Emilia-Romagna che si svolgerà il giorno prima, il 27, per evitare che non venga retribuita una festività locale che sarebbe attaccata alla giornata del 28.

Questa occasione, la prima appunto a dare il via allo sciopero, vedrà insieme in piazza a Bologna i numeri uno di Fiom e Cgil Landini e Camusso, mentre in tutte le altre manifestazioni regionali del giorno successivo “vi sarà la partecipazione degli altri componenti delle due segreterie nazionali”, fa sapere Landini, aggiungendo che “il 28 saranno in piazza tutte le forze che insieme a noi si sono mobilitate il 16 ottobre”, dal movimento studentesco alle associazioni territoriali e della società civile, l’adesione al 28 è stata unanime. Non solo, ma è stata persino creata ad hoc un’associazione, “Lavoro e libertà” , che porta firme come quella di Cofferati, Bertinotti, Rossanda, Tronti, tanto per dirne “tre”, che in pochi giorni ha raccolto più di 600 adesioni. L’associazione invita peraltro ad aderire alla sottoscrizione lanciata dalla Fiom (si può versare raggiungendo la pagina apposita dal sito del sindacato) – altra iniziativa lanciata in questi giorni – per sostenere una battaglia che, fin dall’organizzazione delle manifestazioni, ha anche costi non indifferenti. Ma non basta, perché con “il rientro questa mattina dei primi 300 lavoratori di Mirafiori dalla Cig – rinfresca la memoria Giorgio Airaudo, segretario nazionale e responsabile del settore – ci siamo messi fuori dai cancelli e abbiamo distribuito l’accordo firmato il 23 dicembre dagli altri sindacati”. “Ci è sembrato un atto dovuto, per rispetto dei lavoratori che sono stati chiamati a votarlo – precisa il responsabile sindacale – e ci è sembrato molto strano che i sindacati firmatari non lo abbiamo distribuito”. “Ma del resto – fa sapere – l’accordo è stato firmato un po’ alla chetichella, a fabbrica chiusa, e in commissione ristretta, neanche con tutti i delegati. Forse per questo ci à venuto istintivo chiamarlo l’accordo della vergogna”, Ed è così che è titolato l’opuscolo, unica libertà che la Fiom si è presa, una copertina “sessantottina”, che ricorda “studenti e operai uniti nella lotta”.

Una necessità che torna oggi pressante, e non per niente, se la parola d’ordine del 28 rilancia aggiornandola quella del 16 ottobre, “da Pomigliano a Mirafiori, difendiamo il contratto e i diritti. Il lavoro è un bene comune”, il passo ulteriore, determinato dalla necessità di affermare un altro modello di sviluppo che metta insieme diritto al lavoro e diritto allo studio è “Uniti ce la possiamo fare”. Tendenza opposta a quella del “piano Marchionne”, ben coniugato con la politica del governo, che da una parte vara leggi che stravolgono il lavoro, e dall’altra – ultime le interviste del ministro del lavoro Sacconi e dello sviluppo economico Romani su Repubblica – dichiara apertamente che non è ruolo dello Stato quello di mettere bocca nelle “strategie” industriali. Cosa del resto impossibile, visto che non è dato conoscerle, mentre “le notizie che arrivano in questi ultimi giorni – sottolinea Airaudo – pubblicate sui media più importanti, ci fanno sapere alcuni interessanti dettagli dell’acquisizione Crysler, fra i quali che il costo diminuirebbe proporzionalmente al peggioramento della Fiat in Italia.

Cosa che fa sorgere legittimamente il dubbio se i lavoratori italiani siano chiamati a restituire al governo Usa il debito contratto per il risanamento Crysler”. E che forse l’alternativa “lavoro in cambio di diritti” secondo la quale la Fiom viene considerata tanto intransigente è falsa, perché questo piano appare più come un’ottima operazione finanziaria, che non un buon piano industriale, in grado di tutelare la continuità produttiva degli stabilimenti del gruppo, Mirafiori compresa. Del resto, ricorda Airuaudo, “i 300 lavoratori rientrati oggi lavoreranno per 8 giorni sulla linea Mito, unica che ancora tira un po’, per poi tornare in cig, e questa volta per crisi”. “Ma Mirafiori produce auto da quando esistono – è ancora Airaudo, perentorio – dal 1901, è una fabbrica che ha un know-how che ci vengono da fuori per fare i prototipi, tanto che l’impianto della Yaris (Toyota, ndr) è stato fatto lì”. E questo non è patrimonio che appartenga a Marchionne, tanto quanto la professionalità dei lavoratori.

Così come “non appartiene a Marchionne la decisione se la Fiom resterà in fabbrica”. E’ lapidario Landini, nel confermare che comunque vada, certo “non lasceremo soli i lavoratori”. Dalle lotte alle iniziative giuridiche, dalle casse di resistenza alla raccolta delle firme, la difesa del lavoro e dei diritti marcia di pari passo e non può essere separata. Ragione di più per credere che un ricatto non celi affatto la preservazione dei posti di lavoro, tanto più “perché altrove abbiamo firmato, - sottolinea Landini - da luglio ad oggi, più di mille accordi: alla Brembo, alla Ferrari, alla Indesit, alla Ilva, alla Beretta, alla Lamborghini – l’elenco è lungo – e sono tutti accordi nell’ambito del contratto del 2008”, mentre di pari passo “il rinnovo delle Rsu in altrettante fabbriche ha visto la Fiom salire dal 61 al 66%, mentre la Fim scende dal 21,7 al 18 e la Uilm dal 13,2 al 10,7”. Segnale che il consenso verso la Fiom aumenta, e sarà in piazza a Torino già il 12 per una fiaccolata insieme agli intellettuali che hanno lanciato l’appello su Micromega, e a tutta la società civile. Quella che, come dicono gli studenti, “non molla mai”.

 

Da controlacrisi.org
 

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