di Geraldina Colotti

La nostra caro­vana uma­ni­ta­ria è ancora bloc­cata. Domani alle 17,30 saremo in piazza De Fer­rari: il mas­sa­cro di Gaza deve finire», dice al mani­fe­sto Ste­fano Rebora, pre­si­dente dell’associazione geno­vese Music for peace-Creativi della notte. Dopo il pre­si­dio e il cor­teo con le comu­nità arabe, a Piazza Cari­ca­mennto l’associazione aprirà le porte del Soli­dar­bus. «All’interno di un vec­chio auto­bus recu­pe­rato – spiega Rebora – è visi­bile una mostra iti­ne­rante che docu­menta il prezzo pagato dai pale­sti­nesi nel corso degli attac­chi israe­liani: dal mas­sa­cro del campo pro­fu­ghi di Jenin all’operazione Piombo fuso ad oggi. Altre imma­gini spie­gano le nostre mis­sioni. Dal palco interno lan­ce­remo un’ulteriore cam­pa­gna di rac­colta medi­ci­nali con sca­denza a par­tire da otto­bre 2015. Abbiamo por­tato a desti­na­zione 5 caro­vane uma­ni­ta­rie. Dal 23 giu­gno ne abbiamo un’altra pronta a par­tire per Gaza, ma è ancora ferma a Genova».

Cosa sta succedendo?

Abbiamo rac­colto cen­ti­naia di ton­nel­late di aiuti uma­ni­tari desti­nati alla popo­la­zione civile della Stri­scia di Gaza: due ambu­lanze, sei con­tai­ner di medi­ci­nali, appa­rec­chia­ture medi­che, attrez­za­ture per disa­bili, ali­menti per i bam­bini. Ora alla nostra segre­te­ria si sus­se­guono le tele­fo­nate di richie­ste urgenti da parte degli ospe­dali. Ma i per­messi per par­tire non arri­vano, nono­stante le pro­messe del nostro mini­stero degli Esteri: non pos­siamo arri­vare nella Stri­scia di Gaza, né dal lato egi­ziano, né da quello israe­liano. Ci dicono di andare al porto di Ash­dod, ma non pos­siamo farlo senza garan­zie. Abbiamo già fatto espe­rienza di come agi­scono gli israe­liani. Durante Piombo fuso siamo stati bloc­cati per 31 giorni. Israele pre­tende pac­chi di misure par­ti­co­lari e sostiene da avere lo scan­ner per i con­trolli solo a Ash­dod. Ma lì le cose pos­sono durare mesi: il tempo di far sca­dere medi­ci­nali e ali­menti. E siamo in estate. Quanto tempo potranno resi­stere sotto il sole i con­tai­ner? Music for Peace chiede che ven­gano rispet­tate la Quarta Con­ven­zione di Gine­vra e il Primo Pro­to­collo Addi­zio­nale, secondo il quale la popo­la­zione civile ha diritto all’assistenza, vi è l’obbligo di faci­li­tare il rapido e non limi­tato pas­sag­gio di tutti i con­vo­gli uma­ni­tari e il per­so­nale di soc­corso dev’essere rispet­tato e pro­tetto. Qua­lora aves­simo la pos­si­bi­lità di par­tire, il mate­riale che non dovesse giun­gere in tempo sarà por­tato a desti­na­zione nella caro­vana successiva.

Come fun­ziona la raccolta?

Noi non chie­diamo soldi, né rim­borsi milio­nari per pro­getti impro­ba­bili. Con le Ong si vede di tutto. Pensa che Oxfam ha preso fondi per inse­gnare ai pale­sti­nesi come alle­vare mon­toni: un’attività che pra­ti­cano da secoli. Da noi, le per­sone arri­vano con il loro sac­chet­tino di medi­ci­nali, ali­menti, gio­chi, grucce. La rac­colta cul­mina con un Festi­val basato sull’idea che la soli­da­rietà è dalla gente alla gente. Dagli ospe­dali che hanno rin­no­vato le attrez­za­ture abbiamo rice­vuto mac­chine per radio­lo­gia, sale ope­ra­to­rie… Ad alcune ditte spe­cia­liz­zate abbiamo chie­sto gra­tui­ta­mente la super­vi­sione. Abbiamo anche orga­niz­zato un pro­getto edu­ca­tivo che ha coin­volto 20.000 stu­denti pro­ve­nienti da tutta Ita­lia, ma senza rim­borsi viaggi: ognuno prov­ve­deva da sé, noi abbiamo offerto solo il cibo. E quando por­tiamo il mate­riale lo dif­fon­diamo su tutto il ter­ri­to­rio, badando anche lì a con­te­nere le spese del viag­gio: non serve man­dare eser­citi di volon­tari, per essere effi­cace, l’impegno prin­ci­pale deve svol­gersi soprat­tutto in Italia.

 

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