di Roberto Bertoni.

Una volta, tanti anni fa, Enzo Biagi domandò a Pietro Nenni chi fosse per lui un socialista e questi rispose: "È un uomo nato per portare avanti quelli che sono nati indietro". Pietro Nenni, figlio della miseria e segnato da due guerre mondiali, aveva conosciuto il carcere in gioventù per una manifestazione contro la guerra di Libia e suo compagno di cella era stato un personaggio destinato ad avere, purtroppo, un ruolo alquanto rilevante nella storia del nostro Paese: Benito Mussolini, all'epoca anche lui socialista e anti-interventista.
La madre di Nenni, ogni mattina, rubava un dito di latte a coloro cui lo consegnava per portarlo al suo figlioletto che era in collegio. E quando dovettero riparare a Parigi per scampare al fascismo, la domenica, ponevano il rosmarino sopra le patate così da lasciar credere ai vicini che ci fosse l'arrosto e che anche i Nenni potessero permettersi l'arrosto.
Ho raccontato questi brevi tratti biografici del grande leader socialista per rimarcare, ancora una volta, quanto sia importante la credibilità personale in politica. Del resto, lo sosteneva anche Enrico Berlinguer, quando asseriva che per chiedere sacrifici alla classe lavoratrice occorre una provata rettitudine morale, altrimenti si creano nel Paese delle sacche di rivolta difficilmente governabili. Erano gli anni della P2, gli anni in cui un grande segretario della CGIL come Luciano Lama sposava la linea dei sacrifici, in questo appoggiato dalla destra comunista di Amendola, e in cui lo stesso Berlinguer rivendicava l'austerità, intesa come sobrietà e modestia, come imprescindibile valore di sinistra. Anni tremendi, con la Banca d'Italia sotto assedio, la liquidazione della Banca Privata che costò la vita ad Ambrosoli, i casi di Calvi e Sindona, lo IOR nelle mani di Marcinkus e la fortuna di potersi affidare a un presidente della Repubblica di nome Pertini, a un ministro del Tesoro di nome Andreatta e ad un governatore della Banca d'Italia di nome Carlo Azeglio Ciampi.
Credete che lo stesso non valga oggi per Sanders e Corbyn? Ciò che sfugge a molti commentatori, cui spero che questi piccoli cenni storici abbiano fornito qualche indizio, è l'importanza dell'autentcità nella vita e nella carriera di un uomo politico di primo piano.
Il PD, tanto per esser chiari, si è rivelato un fallimento storico non solo per il mutare del quadro geo-politico ed economico rispetto a quando è stato concepito nel 2007 ma anche perché, nonostante la buona fede di Veltroni, ha commesso l'errore di affidarsi ad una serie di personaggi sbagliati e di dirigenti inadeguati, con la valida ma insufficiente eccezione della parentesi bersaniana, purtroppo segnata anch'essa da troppi compromessi ed eccessive ambiguità.
E poi ha commesso un altro colossale errore: detestare i giovani. Cominciò nel 2007, tardo governo Prodi, con l'allora ministro Fioroni che non trovò di meglio che architettare una riforma delle superiori in base alla quale un ragazzo poteva essere bocciato anche se non aveva recuperato un'unica materia nella quale fosse risultato insufficiente. Scrissi allora che nessun insegnante degno di questo nome l'avrebbe mai attuata, che ritenevo questa norma inutilmente punitiva e che un approccio all'insegna della sfiducia e della cattiveria gratuita avrebbe creato un muro di incomunicabilità devastante fra il PD e le nuove generazioni. Il partito era agli albori e ricevetti molte critiche per queste mie posizioni; fatto sta che mentre nel mio liceo, fino all'anno prima, le elezioni dei rappresentanti d'istituto e per la Consulta provinciale erano, più o meno, delle primarie del centrosinistra, l'anno successivo i fascisti che oggi definiremmo vicini a CasaPound erano ben presenti e discretamente pericolosi.
Lo stesso è avvenuto, sempre di più, in ambito universitario, fino al tracollo attuale, con il PD trasformato in una ridotta di over 65 residenti ai Parioli, probabilmente gratificati da quell'altra geniale idea che è stata l'abolizione indiscriminata dell'IMU sulla prima casa.
È tuttavia sulla scuola e sull'università che il suddetto partito, nell'ultima legislatura, ha dato il peggio di sé, fra alternanza scuola-McDonald's, trasferimento forzato di insegnanti, offese continue ai ragazzi in rivolta e, quel che è peggio, esaltazione di una visione nozionistica, indegna finanche di un quiz televisivo, del concetto stesso di cultura e di sapere. Una frattura epocale, dunque, una disfatta che si è materializzata abbondantemente nelle urne e che si vedrà con ancor maggiore nitidezza il prossimo 4 marzo.
Per tutti questi motivi, ritengo che la proposta di Liberi e Uguali di rendere l'università un principio universale, accessibile a tutti, sia non solo giusta ma addirittura doverosa, il primo passo per invertire la rotta e mutare il paradigma egemone nell'ultimo decennio.
Nella visione del PD, infatti, ciò che conta è punire, valutare, esaltare le eccellenze e pazienza per coloro che non ce la fanno e rimangono indietro. Nella visione che coltivo io personalmente, e che mi sembra coltivi anche Liberi e Uguali, la scuola e l'università devono servire, invece, non tanto ad esaltare i migliori quanto, per l'appunto, a portare avanti quelli che sono nati indietro.
Diceva Victor Hugo che aprire una scuola equivale a chiudere una prigione, e Gesualdo Bufalino aggiungeva che la mafia sarà sconfitta da un esercito di maestri elementari.
Ora, si può tranquillamente discutere se sia meglio esentare tutti dalla tassazione o se sia preferibile, piuttosto, introdurre una franchigia e una maggiore progressività fiscale ma su un punto non si può transigere: dinanzi al massimo livello di istruzione non deve esserci povero né ricco. Non può essere il censo o uno stupido test a crocette, caposaldo di quella barbarie contraria allo spirito della Costituzione che è il numero chiuso, a stabilire se un ragazzo possa studiare all'università o meno. L'università, come l'acqua, come la RAI, come l'ambiente e come la sanità, dev'essere considerato un bene comune imprescindibile nonché una risorsa essenziale se vogliamo dare un futuro a questo Paese.
Perché è inutile blaterare di Europa o di life long learning quando l'Europa ci chiede di arrivare almeno al 40 per cento di laureati entro il 2020 per rendere sostenibile il welfare e noi rispondiamo innalzando le rette e perdendo qualcosa come sessantamila immatricolati in dieci anni.
Un paese che umilia i propri giovani, che li tiene ai margini, che li rende sudditi delle multinazionali peggiori anziché cittadini liberi e critici, che cerca di farne dei soldatini anziché delle teste pensanti e che soffoca in culla qualunque loro sogno di libertà e di emancipazione è un paese senza futuro. E se Renzi vuole comprendere le ragioni del suo tracollo referendario, lasci perdere i social network e si faccia un giro tra i mie coetanei, tra coloro che sono dovuti andare all'estero per veder riconosciuta la propria dignità, tra i giovani condannati al precariato esistenziale che impedisce di mettere su una famiglia, tra coloro che non votano più, che si lasciano andare, che si perdono ma che vedono ancora nella tutela della Costituzione l'ultimo baluardo cui aggrapparsi per non scomparire definitivamente.
Il mio discorso si ispira volutamente a quanto disse Calamandrei agli studenti, essendo Calamandrei colui che sosteneva anche che trasformare i sudditi in cittadini è un miracolo che solo la scuola può compiere.
Oggi, se fosse ancora tra noi, credo che asserirebbe che trasformare questi giovani cittadini italiani in cittadini d'Europa e del mondo è un miracolo che solo l'università può compiere. E badate che Calamandrei era un liberale, uno di coloro che si ispiravano a quegli ideali mazziniani e azionisti oggi così misconosciuti, colui che, riaprendo l'università di Firenze, in piena guerra, non ebbe paura di sostenere che l'italia avesse ancora qualcosa da dire. Era un Paese distrutto, povero, in macerie ma aveva ragione Calamandrei e la Costituzione, programma politico della Resistenza, ne è la testimonianza più nobile e significativa.
Rendere l'università accessibile a tutti, puntando anche su borse di studio e alloggi studenteschi, su nuove aule e su un investimento capillare nella docenza e nella ricerca è un dovere morale per una Nazione che oggi, oltre a non programmare e a non fare sistema, spreca inutilmente risorse in bonus, mance e altre umiliazioni del concetto stesso di cittadinanza e non valorizza i propri straordinari talenti.
La sera del 16 settembre 2013 ospite di Porta a Porta era Enrico Letta ed io ero euforico perché avevo passato il maledetto esame di Statistica e potevo finalmente laurearmi: ad un certo punto, intervenne in trasmissione una madre che disse allalora presidente del Consiglio di aver dovuto spiegare alla figlia di dover rinunciare all'università perché non poteva permettersela. Mi sentii quasi male e, quando ho avuto l'onore di partecipare alla Scuola di Politiche, uno dei primi impegni che ho assunto con me stesso è stato quello di provare a costruire delle proposte per far sì che una storia del genere non si verificasse mai più in nessun angolo del Paese.
La giustizia sociale non può che essere al centro della proposta politica di una forza di sinistra: portare avanti gli ultimi, rimettere in moto l'ascensore sociale, fare in modo che siano i figli degli operai, prima ancora di quelli dei professionisti, a vedere nella cultura un'occasione di riscatto. Con meno di questo, tanto vale lasciar perdere.
Quando, nel 2012, mi fu chiesto perché votassi Bersani alle primarie del PD, risposi che c'erano tanti motivi, primo dei quali il fatto che l'idea che il figlio di un benzinaio di Bettola potesse arrivare a Palazzo Chigi costituiva un potentissimo messaggio di speranza per l'intero Paese. I centouno hanno ucciso quel sogno e quella speranza e da allora, non è un caso, le ingiustizie e le discriminazioni sono fioccate ovunque.
Qualcuno dirà: ma così si rischia di penalizzare le eccellenze. Rispondo con il messaggio che mi inviò la mia straordinaria professoressa di lettere alle medie: se io pensassi solo ai migliori, vi ritrovereste un domani a parlare da soli. Era l'esatto opposto del thatcherismo culturale all'epoca imperante e oggi non ancora del tutto sconfitto.
L'università come bene comune, pertanto: libera, accessibile, stimolante e, per chi non può permettersela, assolutamente gratuita.
E un nuovo vocabolario in cui i verbi principali siano: accogliere, aiutare, comprendere, valorizzare, lottare contro ogni ingiustizia e contro ogni discriminazione, rendere tutti cittadini e consentire a tutti la massima libertà di scelta.
Un'Italia più giusta e, soprattutto, più buona: la chiedeva Enzo Biagi nel suo editoriale del 22 dicembre 1944 sul primo numero di " Patrioti", il giornale della brigata Giustizia e Libertà - divisione Bologna. E, al pari di Biagi, la chiedevano tutti gli altri partigiani che per la libertà dell'Italia dal nazi-fascismo rischiarono e spesso persero la vita. Proviamo a realizzarla noi, a cominciare proprio dalla costruzione di un'università più giusta, più sensata e in cui venga contrastata adeguatamente la malvagità che purtroppo infesta da anni la nostra società.

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