PERUGIA - Abbiamo già scritto (luglio 2014) che “la discussione sulla legge elettorale regionale è destinata, di fronte all’incalzare dei drammatici dati sull’occupazione e sul reddito degli Umbri, a suscitare l’attenzione dei soli addetti ai lavori”, e che il futuro dell'Umbria “dipende più da una svolta nell’atteggiamento delle classi dirigenti a tutti i livelli che dai tecnicismi delle leggi elettorali”. E però, giacché una nuova legge va fatta – se non altro per cancellare l'orribile listino degli “eletti a prescindere”- dicemmo allora che una buona legge dovrebbe garantire la rappresentanza dei cittadini, assicurare alla coalizione vincente i numeri per governare, e porre un limite efficace ai costi della politica, cioè al privilegio di chi può investire molti soldi nella campagna elettorale. Di qui la proposta di un impianto proporzionale corretto con un modesto premio di maggioranza, e di attribuire i seggi sulla base di un collegio unico regionale, con candidature distribuite su 20 subcollegi uninominali, sul modello delle vecchie Province.

Ci sembrava evidente, infatti, che “altro è fare campagna elettorale per un bacino di 35mila elettori, altro provare a raggiungerne 700mila. Senza contare che, con un solo candidato per ogni partito, si risparmierebbero i costi e le manifestazioni di impudicizia che spesso caratterizzano la corsa alle preferenze”. La proposta è caduta nel vuoto, senza che nessuno si prendesse il disturbo di criticarla.

Se torniamo ad occuparcene, dopo cinque mesi segnati da ben altri problemi, è perché nel frattempo nulla si è deciso, e perché dietro l'apparenza di un minuetto tra tecnici e professionisti della politica si sta delineando uno scontro non esplicito ma sempre più evidente. In parole povere, la questione riguarda essenzialmente il Partito democratico e può essere così sintetizzata: il Pd intende davvero promuovere, come nei decenni passati, una coalizione di centrosinistra, rappresentativa di una pluralità di voci ed esperienze, oppure punta a “fare da sé” e a realizzare – anche attraverso i tecnicismi di una legge elettorale che penalizzi la rappresentanza attraverso elevate soglie di sbarramento- una sorta di autosufficienza in Consiglio regionale, rottamando il centro sinistra e con esso ogni residuo rapporto a sinistra?

La domanda è rilevante, credo, non solo per chi, come Sinistra ecologia libertà, si appresta a decidere le forme del proprio impegno nelle prossime elezioni, ma più in generale per tutti quei cittadini che guardano con preoccupazione al venir meno, giorno dopo giorno, di un rapporto riconoscibile tra vita e politica, tra i loro bisogni e la possibilità di vederli rappresentati là dove si prendono le decisioni, e che si chiedono se davvero si possa pensare di salvare un Paese -o una regione- facendo a meno della sinistra.

 

Fausto Gentili
coordinatore regionale di Sinistra ecologia libertà

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