Domenica, 26 dicembre, il Lebowski avrebbe dovuto affrontare l’Inter. O almeno, così avevamo deciso in un nostro lucido sogno a occhi aperti.

Questo sarebbe stato possibile se il sistema-calcio del nostro paese avesse applicato una formula per la Coppa Italia che alle nostre latitudini appare folle e rivoluzionaria, ma in realtà in molti altri paesi è utilizzata normalmente e piace molto al pubblico. Poi, sarebbe bastata un po’ di fortuna nel sorteggio, e domenica prossima si sarebbe scritta una pagina di storia.

Invece, come sappiamo, la riforma della Coppa è stata quanto di più reazionario si potesse immaginare: invece di aprire ai dilettanti, si è chiuso anche alla Serie C. Giocano solo le squadre di A e B, “per garantire uno spettacolo di livello”. In effetti, il brivido di vedere le riserve del Genoa sfidarsi con le riserve della Salernitana in pieno dicembre davanti a 522 spettatori paganti, deve avere un qualche fascino che solo noi non riusciamo a cogliere, e che sarebbe stato irrimediabilmente rovinato dalla presenza nel tabellone dei sedicesimi di finale di qualche squadra di C o di D. 

Ma non vogliamo farne una questione tecnica: è chiaro che serve anche ruotare i giocatori e vedere all’opera tutta la rosa, e una Coppa può essere l’occasione giusta per farlo. Anche nella “nostra” formula giocherebbero molte riserve, almeno nelle squadre maggiori, e va bene così. 

La questione, lo ribadiamo, è politica. O quantomeno, di “politica dello sviluppo sportivo”. La riforma attuata è una sorta di brutta copia della Superlega. I grandi devono giocare solo tra di loro e spartire tra loro i diritti tv, guai se vanno a calcare un campo di provincia, sia mai che il quinto terzino della rosa debba rischiare di infortunarsi. E così, una competizione che potenzialmente potrebbe riaccendere la passione di interi territori diventa un percorso blindato in cui la più forte gioca in casa, e non importa se lo stadio è deserto, tanto gli ascolti in tv delle semifinali e della finale saranno buoni, e quindi il tornaconto è salvo. 

E tutti gli altri muti. Le decine di piazze della provincia italiana di Serie C e D, che in una sfida di cartello potrebbero riempire stadi da 30mila posti, facendo innamorare dei propri colori le giovani generazioni della città. Le centinaia di società dilettantistiche che si sbattono per sopravvivere, e potrebbero avere una boccata d’ossigeno decisiva, non per forza arrivando a sfidare l’Inter, ma anche accontentandosi di qualcosa meno. 

Del resto, lo vediamo nel nostro piccolo: nei paesi in cui andiamo in Promozione, quando arriva il Lebowski lo stadio è pieno. Il paese sente la sfida, e non solo gli anziani appassionati incalliti. Arrivano i ragazzini, tanti. Portano i propri colori, provano a tifare, a volte con rispetto e ammirazione, altre con ostilità e sfottò (che bello, vivaddio!). La società ospitante fa l’incasso dell’anno. E per fare questo basta che arrivino 100 idioti del Lebowski. Pensiamo se ogni anno arrivassero il Pisa, il Perugia, il Foggia. E una volta nella vita, l’Inter o il Napoli o chi volete voi. 

I signori si lamentano che le nuove generazioni stanno abbandonando il calcio. Noi vediamo coi nostri occhi che questo non accadrebbe, se il calcio fosse alla portata di tutti e tutte, e non fosse chiuso in una torre d’avorio. Poi certo, ci sarebbe da parlare di redistribuzione di risorse strutturale, di investimenti sull’attività di base e di mille altre cose, ma sono questioni più complicate, che non si risolvono con una trovata estemporanea. Ma per riportare un po’ di passione e di respiro economico, basterebbe davvero così poco.

Per fortuna, le voci discordanti continuano a esserci, anche all’interno del calcio di Serie A e del mondo dell’opinionismo. Stavolta è stato il mister dell’Empoli Andreazzoli a dichiarare: “questo format non mi piace molto, mi aggrada di più il modello inglese. Fatta così, è la coppa di chi è più forte e più potente, vorrei che fosse paritaria, che si cominciasse tutti assieme e si finisse tutti assieme”. A volte gli stessi concetti vanno ripetuti fino allo sfinimento per far sì che un cambiamento avvenga davvero. Vale almeno la pena di provarci.

Condividi