di Michele Giorgio

È andata come previsto alla vigilia. Commentando ieri dal suo bunker in Libano l’assassinio attribuito a un drone israeliano del numero due di Hamas, Saleh Aruri, avvenuto a Dahayeh martedì sera alla periferia meridionale di Beirut, il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah nel suo atteso discorso di ieri non ha deviato dalla linea adottata negli ultimi tre mesi di evitare una guerra aperta con Israele. Rivolgendosi a una folla di sostenitori riuniti per l’anniversario dell’omicidio (compiuto dagli Usa) del generale iraniano Qassem Soleimani della Forza Quds, Nasrallah a un certo punto ha spiegato che, quando Hezbollah ha aperto «il fronte in Libano, lo ha fatto a sostegno del popolo oppresso a Gaza».

Questa azione, ha proseguito, «ha tenuto in considerazione la nostra visione strategica, la necessità di sostenere Gaza e le difficoltà in Libano». In sostanza Hezbollah è pronto alla guerra, se Israele attaccherà si troverà di fronte una forza formidabile ma non intende portare il Libano in una guerra che avrebbe conseguenze incalcolabili. «Le nostre battaglie non avranno limiti né controllo», ha affermato il leader del movimento sciita che poi ha aggirato la questione che si era aperta martedì sera di un attacco israeliano che ha violato la sovranità del Libano e avvenuto in un’area di Beirut dove Hezbollah mantiene le sue strutture civili (quelle militari in gran parte sono a sud).

Piuttosto Nasrallah, che ha elogiato la figura di Saleh Aruri, un suo interlocutore abituale, si è dilungato sui successi che avrebbe raggiunto la «resistenza» a sostegno della causa del popolo palestinese. Ha reso omaggio ai «martiri caduti di recente» – Hezbollah ha avuto più di cento suoi combattenti uccisi da Israele lungo il confine a cui si aggiungono oltre venti civili morti sotto le bombe – affermando «il vostro sangue, i vostri sacrifici avranno conseguenze positive per la Palestina, il Libano, l’Iraq, la Siria, lo Yemen e l’intera regione». Dopo i bombardamenti israeliani di Gaza, ha aggiunto, «è caduta l’immagine dello Stato ebraico nel mondo…Il mondo ha visto che Israele non ha rispettato alcuna risoluzione internazionale».

Ad ascoltarlo con attenzione c’erano i libanesi, il gabinetto di guerra israeliano – ieri il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha visitato le truppe al confine con il Libano – e tutti i palestinesi. Nasrallah parlerà di nuovo venerdì: anche in questo caso si esclude che possa annunciare una guerra totale con Israele. Il discorso del leader sciita libanese ha chiuso una giornata in cui i palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est hanno attuato uno sciopero generale per l’assassinio di Aruri. Da Ramallah Mohammed Shttayeh, il premier dell’Autorità nazionale palestinese, ha fatto le condoglianze ad Hamas e accusato Israele di aver commesso un «crimine».

Per Gaza, il centro della crisi, è stato un altro giorno di bombardamenti. Il giorno di un altro esodo. Sugli abitanti di sette distretti del campo profughi di Nusseirat sono piovuti centinaia di volantini sganciati da drone. «Vi trovate in una zona di combattimento pericolosa. Per la vostra sicurezza l’esercito israeliano vi esorta ad evacuare immediatamente quest’area». Sono bastate queste poche frasi a scatenare il panico. Prima centinaia di palestinesi, poi migliaia hanno caricato pochi averi su auto e carretti e percorrendo le strade danneggiate, allagate e fangose di Nusseirat si sono diretti verso Rafah, dove solo negli ultimi giorni sono giunti altri 100mila sfollati. Un esodo accompagnato dai boati di esplosioni sempre più vicine.

In un servizio da Nusseirat mandato in onda da Al Jazeera si è visto un drone sganciare quelli che in apparenza sembravano lacrimogeni o fumogeni, allo scopo di affrettare l’evacuazione del campo profughi. In quelle stesse ore a Maghazi quattro persone sono state uccise in un attacco aereo. Altri tre palestinesi, tra cui un bambino di due anni, sono stati uccisi in un attacco aereo su una casa a Rafah. I cacciabombardieri e i carri armati israeliani hanno intensificato gli attacchi anche contro un altro campo profughi, Al-Bureij. Bombardamenti e cannonate hanno mietuto vittime in diverse parti di Gaza. Il bilancio totale dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre ha raggiunto il numero di 22.313, 128 dei quali tra martedì e mercoledì, ha comunicato il ministero della Sanità di Gaza.

Da parte loro le Brigate Qassam, l’ala armata di Hamas, sostengono di aver ucciso dieci soldati israeliani ad Al-Bureij e di aver colpito cinque carri armati e mezzi da trasporto truppe. Israele non conferma ma ammette che due dei suoi militari sono morti nelle ultime ore, 177 a Gaza dal 20 ottobre. Restano oscure le circostanze in cui è rimasto ucciso un ostaggio israeliano a Gaza, Sahar Baruch, 25 anni, del Kibbutz Beeri, rapito il 7 ottobre. I comandi militari hanno solo detto che è rimasto ucciso durante un’operazione di salvataggio per liberarlo, senza fornire dettagli. Il suo corpo è a Gaza. Hamas, dopo l’assassinio di Saleh Aruri, coinvolto nelle trattative per lo scambio tra sequestrati israeliani e prigionieri politici palestinesi, ha interrotto ogni negoziato. Israele però sostiene che il Qatar, che media tra le due parti, non avendo reagito all’uccisione di Aruri, fa capire che continuerà il suo ruolo.

A Gaza, intanto, il quadro igienico-sanitario precipita ulteriormente, in conseguenza dello sfollamento di 1,9 milioni di abitanti sotto l’urto dei bombardamenti israeliani. Sfollati che vivono da settimane ammassati a Rafah, sul confine con l’Egitto, e in piccole porzioni di zone costiere.  Dal 7 ottobre sono stati segnalati più di 400.000 casi di malattie infettive, con circa 180.000 persone affette da infezioni delle vie respiratorie superiori.

A questi si aggiungono i 136.000 casi di diarrea, la metà tra bambini di età inferiore ai cinque anni. Inoltre, dall’inizio della guerra è stato possibile vaccinare solo una porzione minima di neonati e bambini. Sono gli ultimi dati forniti dalle Nazioni unite che avvertono di non aver potuto fornire assistenza umanitaria salvavita nel nord di Gaza negli ultimi giorni a causa di rifiuti di accesso e di raid israeliani. Funzionari dell’Onu due giorni fa hanno visitato l’ospedale di Khan Yunis, poco dopo che cinque persone, incluso un bambino di cinque giorni, erano sono state uccise, forse da una cannonata. Hanno riferito di aver constatato danni gravi alla struttura sanitaria che ospita anche 14.000 sfollati.

Fonte: il Manifesto

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