di Francesco Piccioni

La Fiom era circondata e doveva provare a uscire dall’angolo. Lo fa alla sua maniera, con intelligenza e determinazione, calcolando attentamente i rapporti di forza attuali, sul piano sindacale e su quello politico.
Al di là delle frasi di circostanza, appare infatti chiaro che delle forze politiche convocate a giugno per sottoporre loro il problema della tutela del lavoro, soltanto l’Idv di Di Pietro e gli «extraparlamentari» di Rifondazione, ecc, sono praticamente pronti a mettere in piedi un’iniziativa referendaria (sulla maggioranza del parlamento attuale, e forse anche del prossimo, è bene fare non troppo conto) per annullare la cancellazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e l’art. 8 della «manovra d’agosto» 2011, firmata da Maurizio Sacconi, che permette accordi aziendali in deroga ai contratti nazionali, alle leggi e forse anche ai dieci comandamenti.

 

Il Comitato centrale della Fiom finirà di discutere oggi, ma le proposte avanzate dal segretario generale, Maurizio Landini, sono state illustrate in una conferenza stampa molto seguita. Referendum a parte, che ovviamente vede le tute blu favorevoli e pronte a raccogliere le firme, senza porre problemi di «primogeniture» né di presenza nel comitato promotore, i temi principali per i metalmeccanici dell cgil sono due: il rinnovo del contratto nazionale e la crisi del tessuto industriale italiano. Una situazione di «assoluta emergenza» che impone «un’assunzione di responsabilità da parte di tutte le controparti».

 

Sul contratto, soprattutto, la situazione è molto complicata. Fim e Uil hanno cominciato a discutere con Federmeccanica del rinnovo dell’accordo separato del 2009, che la Fiom non ha firmato e non riconosce (non a caso ha gestito anche alcune cause giudiziarie sulla base del contratto unitario del 2008, scaduto comunque il 31 dicembre scorso). Già questo cosituisce addirittura una «violazione palese dell’accordo interconfederale del 28 giugno» 2011, firmato anche dalla Cgil ma duramente contestato dalle tute blu. Ma il fatto più grave è che il 19 settembre, nel prossimo incontro tra Federmeccanica, Fim e Uilm, possa essere siglato un «contratto» sulla base delle richieste delle imprese. Un insieme di «deroghe» che cancella di fatto la contrattazione nazionale: minimi salriali flesibili e non obbligatori, aumento dell’orario da 40 a 45 ore (250 ore di straordinari non contrattabili nella piena disponibilità delle aziende), non pagamento dei primi tre giorni di malattia, totale derogabilità a contratti e leggi).

 

Il pericolo – avverte Landini – «è che se nemmeno l’accordo del 28 giugno riesce ad avitare i contratti separati, salta ogni quadro di regole». Lì dentro, nonostante i tanti vuoti, c’era almeno la certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali. Così, invece, «due sigle che rappresentano meno del 20% pretendono di firmareaccordi validi per tutti». Mentre la Fiom che tra iscirtti e voti prende molto di più delle altre sigle messe insieme, è esclusa. «In politica vogliono il premi di maggioranza, qui la maggioranza è tenuta fuori».

 

La proposta che il Cc dovrebbe approvare è dunque semplice: «facciamo un ‘accordo per il lavoro’ che valga da qui al 2013». Ognuna delle parti si tenga le proprie proposte per dopo, quando e se la crisi sarà superata. Ora, dice Landini, «la priorità è difendere i posti di lavoro e impedire la scomparsa di interi settori industriali», di interi territori produttivi. Le questioni che andrebbero affrontate in questo «patto» sono dunque la defiscalizzazione di quote di salario a livello nazionale (non soltanto di quello «aggiuntivo» o degli straordinari), evitare chiusure e licenziamenti facendo ricorso – come nel tanto nominato e mai studiato «modello tedesco» – ai contratti di solidarietà e incentivando fiscalmente (diminuendo il relativo «cuineo») soltanto quelle imprese disposte ad accordi di questo tipo.

 

Sono temi che coinvolgono direttamente il governo, com’è ovvio, chiamato anche a «discutere di politiche industriali», perché non è possibile accettare – come nel caso dell’Alcoa – un «non si può far nulla». Altri passaggi riguardano la possibilità di usare il fondo pensione integrativo – «savaguardando gli scopi per cui esiste» – per favorire la difesa del patrimonio industriale, invece che investendoli in buoni del tesoro o azioni straniere. O anche la riunificazione dei contratti dell’industria in uno solo.
Avvertendo che la Fiom «non accetterà mai «accordi illegittimi» e che «metteremo in campo tutti gli strumenti a nostra disposizione», la segreteria chiederà al prossimo Direttivo della Cgil di fissare – finalmente – la data dello sciopero generale proclamato in marzo. Ma rimasto nei comunicati.

Fonte: controlacrisi.org

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