Di Stefano Galieni

Il contesto internazionale in cui nasceva, dopo la guerra la Costituzione italiana è profondamente cambiato. All’epoca aveva senso – in un contesto di blocchi contrapposti – evitare la possibilità che i trattati internazionali potessero essere sottoposti a passaggio referendario, all’epoca aveva senso limitare l’utilizzo dello stesso strumento per questioni inerenti il bilancio dello Stato. All’epoca c’era la politica a dominare sull’economia, c’erano i conflitti a fungere da strumento di contrattazione interna e si guardava ad un futuro in cui la parola guerra doveva essere bandita dalla Storia. Oggi non è più così. Oggi sono economia e finanza a dominare e decidere, spesso scavalcando gli organismi elettivi dei singoli Stati, esiste uno spazio decisionale ademocratico, mai eletto da nessuno che si permette di imporre strategie economiche che determineranno il futuro di intere generazioni.

Insomma il campo di calcio non è più lo stesso, il pallone è diverso, il campionato si gioca sotto altre regole ma si pretende che alcuni elementi strutturali non solo non possano essere modificate ma diventino un elemento dirimente per poter restare in gioco. Il risultato del vertice di Bruxelles non solo sancisce la vittoria totale delle decisioni tedesche e in sub ordine francesi ma prepara un nuovo trattato, ancora più stringente che riguarderà 26 paesi europei. Solo alcuni di questi, i più democratici, porranno i vincoli del nuovo trattato a votazione dei propri parlamenti, per gli altri ciò non è possibile. La sola minaccia di decisioni parlamentari o peggio ancora, popolari, è vista come essa stessa elemento scatenante della crisi. Se parlano i popoli in pratica si innervosisce la nuova entità divina, il mercato, guai a disturbarne le imperscrutabili decisioni, guai a voler interferire con la nuova fede. Invece ciò di cui si avrebbe bisogno per mettere a tacere questa sanguinaria divinità ed uscire positivamente dalla crisi è proprio un surplus di democrazia.

Qualcosa si potrebbe ancora fare. Sarebbe intanto necessario che una parte responsabile dei parlamentari di Pd e IdV votassero contro l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. Se non si raggiunge la maggioranza dei due terzi la modifica va posta a referendum. Sarebbe una occasione ottima per spiegare ai cittadini e alle cittadine cosa significa questa modifica. Ovvero far sapere che se il pareggio di bilancio diviene dogma, per ottenerlo si dovranno produrre ogni anno manovre da 40 miliardi di euro, riduzione della spesa sociale, dei salari, delle pensioni, dei servizi, delle risorse agli enti locali. Possono i cittadini essere messi in condizione di decidere su questo? Ma non basta, lo stesso nuovo trattato europeo, che sarà pronto a marzo e si rivela più stringente per i singoli paesi, può essere approvato da tecnocrati e banchieri di mezza Europa senza che chi ne subirà le conseguenze possa decidere. Un tema su cui c’è paura.

Ogni volta infatti che in Europa si è votato sui trattati, le persone hanno risposto in maniera diversa dai partiti di centro destra e di centro sinistra. Non è un caso. Voglia di rompere l’U.E.? Affatto. Voglia di ricostruirla non a partire da una moneta falsa e da una banca privata come la BCE, voglia di costruirla con e per i popoli che la vivono e non per chi dagli accordi finora stretti ha tratto solo profitti ineguali. Voglia di una Europa politica e non monetaria, del benessere diffuso e della cooperazione e non bacino di utenza degli speculatori e di chi preme solo sui diritti e sul costo del lavoro. A chi straparla di futuro da costruire anche con i sacrifici imposti dalle manovre di Monti, si proponga questo percorso!

Fonte: controlacrisi.org
 

Condividi