di Francesco Piccioni

Il giorno più lungo del sindacato italiano si consuma intorno a una «riforma» che lo confina ad un ruolo marginale. È chiaro infatti che per il governo Monti pretende di portare in Europa – da venerdì – la prova provata che i lavoratori, in Italia, non sono più un ostacolo alle pretese dell’impresa.
Ma il sindacato – in particolare la Cgil – non può «firmare» la certificazione della propria morte. Dietro la retorica sull’art. 18 come «freno agli investimenti», infatti, c’è il principio-chiave dell’autonomia del singolo lavoratore – e quindi della sua capacità/possibilità di organizzarsi in «lega». Se il singolo non può più aprir bocca – sulla velocità della catena o l’intensità della prestazione, i turni e gli straordinari, ecc – il sindacato non può più costituirsi come soggetto che rappresenta gli «interessi» di qualcuno. Al massimo, come «servizio». Un Caf o giù di lì.
Mario Monti glielo ha ricordato con quella frase feroce («il Parlamento rimane l’interlocutore principale del governo») che suona per metà banale, per metà eliminazione del sindacato dal novero degli interlocutori di peso.

Susanna Camusso, silente per tutta la serata, pesa bene le parole prima di intervenire, alle 22 passate in conferenza stampa a Palazzo Chigi e non lasciare dubbi sulla sua risposta al governo. «La responsabilità non è mai di qualcuno, responsabilità sarebbe stato costruire una riforma condivisa del mercato del lavoro», dice la segretaria generale rivolta al premier che ha appena lasciato la sala. «Dal governo non è arrivata nessuna mediazione. Si è occupato solo dei mercati e per niente dei lavoratori». Sul futuro, oggi c’è il direttivo. Ma Camusso è chiara: «Faremo tutto quello che serve per contrastare questa riforma. E non sarà una cosa di breve periodo. Dobbiamo decidere come accompagnare questa stagione rispetto alla quale faremo tutte le necessarie proposte per essere alle testa di un movimento che riporti il lavoro come tema centrale».

Questo non interessa affatto alla Cisl, l’unica a dare in serata un «giudizio positivo sulle linee guida», trincerandosi dietro formule fumose e il molto inusuale appello del presidente Napolitano a «trovare un accordo nell’interesse generale». Persino la Uil, stavolta, chiede «modifiche» (in particolare sull’art. 18) per poter condividere la stessa opinione. C’era infatti stata la richiesta di «elencare» le causali per i licenziamenti disciplinari sulle quali il giudice del lavoro dovrà decidere tra reintegro e indennizzo superiore alle 30 mensilità. Ma è chiaro che si tratta di sfumature che non salvano affatto il «potere deterrente» della norma-simbolo.. Al punto che Mario Monti, in sede di conferenza stampa, ha spiegato di aver raccolto un «consenso di massima» tra le parti sociali, «tranne che nella Cgil» e proprio sul punto di licenziamenti senza giusta causa.

In Corso Italia, in queste ore, non sono molti quelli desiderosi di farsi sentire. Fino a metà pomeriggio solo Gianni Rinaldini, coordinatore dell’area La Cgil che vogliamo, ha ribadito il giudizio totalmente negativo sul testo del governo. Sia per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali («penalizzano sia chi il lavoro non ce l’ha, sia chi il lavoro lo perde, riducendo ruolo, entità e durata della cig ed eliminando l’indennità di mobilità»), sia per l’art. 18. Preannunciando per il Direttivo nazionale di oggi pomeriggio una presa di posizione che conferma i «paletti» già posti all’inizio della trattativa.
Tutta l’attenzione si sposta dunque sul Direttivo Nazionale di oggi. In cui il sindacato di Di Vittorio dovrà decidere se suicidarsi spontaneamente – «firmando» domani 22 marzo quel che ha rifiutato ancora ieri sera – oppure trovare una via d’uscita autonoma, fondata in primo luogo sulla forza della sua rappresentanza sociale.

Venerdì, giorno in cui Monti deve partire per il tour europeo mostrando «lo scalpo» del sindacato, è anche il decimo anniversario della manifestazione di 3 milioni di persone in difesa «del 18» e contro il governo che lo voleva abolire. È quasi crudele contrapporre i due anniversari, ma occorre farlo, nonostante tutte le differenze. Ieri l’Italia è stata attraversata da un numero eccezionale di scioperi locali. Li aveva proclamati soltanto la Fiom – all’unanimità, ovvero con il consenso anche della minoranza «camussiana». Ma sono stati partecipati anche da altre categorie.

Fonte: Il Manifesto

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