Ancora due condanne dell’Italia per i suoi hotspot
di Francesco Buffa*
Sadio c. Italia, n. 3571/17, sentenza del 16 novembre 2023, e AT ed altri c. Italia, ricorso n. 47287/17, sentenza del 23 novembre 2023. Ancora due condanne (una di esse, anzi, doppia e l’altra triplice) per l’Italia in tema di immigrazione, con specifico riferimento alle condizioni di un Centro per richiedenti asilo in Veneto e di un Centro di Soccorso e Prima Accoglienza in Puglia.
1. Si segnalano due sentenze della CEDU che hanno recato nuove condanne dell’Italia in tema di immigrazione, con specifico riferimento alle condizioni di un Centro per richiedenti asilo in Veneto e di un Centro di Soccorso e Prima Accoglienza in Puglia.
La prima sentenza, Sadio, riguarda le condizioni del centro per richiedenti asilo di Cona (Venezia).
Il ricorrente, all’epoca ventenne, lamentava che il centro era sovraffollato e che mancavano le strutture di base, come riscaldamento e acqua calda adeguati, oltre che l’accesso alle cure mediche; il ricorrente lamentava inoltre la mancanza di assistenza psicologica e legale e un numero insufficiente di membri del personale e di interpreti.
La Corte ha esaminato le prove prodotte (una serie di fotografie che mostravano, tra le altre cose, dormitori sovraffollati; un'interrogazione parlamentare presentata da un deputato a seguito della visita a Cona, dal quale risultava che nel centro erano ospitate 1.256 persone che vivevano in sette grandi tende sovraffollate, che l'assistenza sanitaria, fornita da medici locali che dovevano prendersi cura di un numero elevato di pazienti, era inadeguata, e che alcune persone risiedevano nel centro da più di un anno; una relazione sulla visita al centro da parte dell'organizzazione non governativa Associazione Giuristi Democratici, che evidenziava che i migranti erano stipati in piccoli edifici di mattoni e grandi tende senza un adeguato riscaldamento, con letti a castello posizionati così vicini tra loro che non c'era spazio per passare tra loro, con tavoli e sedie della mensa in numero insufficiente rispetto al numero delle persone che mangiavano, che durante il giorno nel centro era presente un solo medico, mentre di notte e durante le vacanze era presente solo un'infermiera).
Sulla base di tali elementi, la Corte ha quindi affermato che, tenuto conto della durata e delle condizioni della sua sistemazione nel centro di accoglienza per adulti di Cona, il ricorrente era stato sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e che vi era stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione. La Corte ricorda che il numero dei minori non accompagnati arrivati in Italia era drammaticamente aumentato nel periodo in cui si erano verificati i fatti di specie e, tuttavia, richiamando il proprio precedente Darboe, la Corte afferma che le difficoltà derivanti dal crescente afflusso di migranti e richiedenti asilo in particolari Stati dalle frontiere esterne dell’UE non esentano gli Stati membri del Consiglio d’Europa dai loro obblighi ai sensi dell’articolo 3, che è di carattere assoluto e come tale non derogabile in alcun caso: «the Court can only reiterate its well-established case-law to the effect that, having regard to the absolute character of Article 3, the difficulties deriving from the increased inflow of migrants and asylum-seekers, in particular for States which form the external borders of the European Union, does not exonerate member States of the Council of Europe from their obligations under this provision».
Per altro verso, la Corte ha rilevato che il Governo non aveva indicato alcun rimedio specifico con il quale il ricorrente avrebbe potuto lamentarsi delle sue condizioni di accoglienza a Cona ed ha pertanto constatato una violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
In conclusione, l’Italia è stata condannata al risarcimento del danno non patrimoniale (di EUR 5.000) ed al rimborso delle spese legali.
2. Con la seconda sentenza in epigrafe, AT ed altri, la Corte ha condannato l’Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione (condizioni disumane e degradanti), violazione dell'articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione (illegittima privazione della libertà), violazione del combinato articolo 13 con Articolo 3 della Convenzione (diritto ad un rimedio legale effettivo).
Il caso riguarda migranti, tutti minorenni, che avevano raggiunto la costa italiana a bordo di una imbarcazione di fortuna il 22 maggio 2017 e che erano stati quindi trasferiti nel Centro di Soccorso e Prima Accoglienza di Taranto, ove erano state prese loro fotografie ed impronte digitali; tutti avevano richiesto subito la protezione internazionale.
In particolare, la Corte ha esaminato le condizioni di vita dei ricorrenti nel CSPA di Taranto, designato come punto di accesso italiano ai sensi dell'art. 17 del decreto -legge n. 13 del 17 febbraio 2017.
Invocando gli artt. 3 e 8 della Convenzione, i ricorrenti avevano lamentato che le condizioni di accoglienza nel CSPA tarantino era stato misere, che il centro era destinato agli adulti, era sovraffollato e che le condizioni di alloggio erano malsane.
Richiamavano a sostegno una relazione del Vicepresidente della Commissione per i diritti dell'uomo del Senato della Repubblica del gennaio 2017, dalla quale risultava che i ricorrenti rimanevano nel centro oltre il periodo massimo previsto per questa tipologia di centri (che erano progettati solo per l’iniziale accoglienza e soggiorni molto brevi), che vi era un insufficiente riscaldamento nelle tende , soprattutto di notte, e una carenza di prodotti igienici e di vestiti; la maggior parte degli ospiti indossavano le infradito e solo pochi avevano scarpe. Quanto alla loro salute, il medico presente aveva riscontrato la diffusione di scabbia, influenza e raffreddore, mentre molti dei migranti avevano chiari segni di torture fisiche e maltrattamenti legati al periodo trascorso in Libia e molte donne avevano dichiarato di aver subito violenza sessuale, anche di gruppo, e vi erano anche molte persone vulnerabili che mostravano gravi disturbi mentali.
Le pessime condizioni igieniche e la mancanza di spazio nel Centro erano state poi documentate dai ricorrenti con la produzione di varie fotografie (e comunque non erano state contestate dal Governo italiano). La Corte ha quindi accertato che ricorrenti erano stati sottoposti a trattamento disumano e degradante, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
La Corte ha poi rilevato che i ricorrenti erano rimasti nel centro per circa un mese e venti giorni, e ciò senza una base giuridica chiara e accessibile e in assenza di un provvedimento motivato che disponesse la loro restrizione, sicché i migranti erano stati arbitrariamente privati della libertà, in violazione del primo capo dell'articolo 5 § 1 f) della Convenzione. I migranti, infine, non avevano potuto contestare i motivi della loro detenzione di fatto davanti a un tribunale. La Corte ha quindi ravvisato altresì la violazione dell'articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione.
Infine, basandosi sul combinato disposto dell'articolo 13 della Convenzione con gli Articoli 3 e 5, i ricorrenti avevano anche lamentato che, a causa della mancanza di nomina di un tutore legale nel loro caso, era stato impossibile per loro contestare dinanzi alla Corte medesima le violazioni della Convenzione. La Corte ha quindi accertato anche la violazione del combinato disposto degli articoli 13 e 3 della Convenzione.
In conclusione, l’Italia è stata condannata al risarcimento del danno non patrimoniale (EUR 6.500 ciascuno) ed al rimborso delle spese legali.
3. Nella giurisprudenza della CEDU, i principi generali applicabili al trattamento delle persone detenute in centri di detenzione per immigrati sono esposti in dettaglio nel M.S.S. c. Belgio e Grecia (§§ 216-22), Tarakhel (§§ 93-99, CEDU 2014) e Khlaifia e altri c. Italia ([GC], n. 16483/12, §§ 158-69, 15 dicembre 2016). In particolare, secondo la Corte, le condizioni di accoglienza dei minori richiedenti asilo devono essere adattate alla loro età, per garantire che tali condizioni non creino in loro una situazione di stress e ansia, con conseguenze particolarmente traumatiche. In caso contrario, le condizioni in questione raggiungerebbero la soglia di gravità richiesta per rientrare nel divieto di cui all’articolo 3 della Convenzione (v. Tarakhel, citata, §§ 119). La Corte ricorda che l'articolo 3 della Convenzione non prevede eccezioni. Questo divieto assoluto della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti dimostra che l’articolo 3 sancisce uno dei valori fondamentali delle società democratiche che compongono il Consiglio d’Europa (si veda Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 88). Per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, il maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità, la cui valutazione dipende da tutte le circostanze del caso, e in particolare dalla natura e dal contesto del trattamento, dalla modo in cui è stato inflitto, la sua durata, i suoi effetti fisici o mentali e, in alcuni casi, il sesso, l'età e lo stato di salute della vittima (si veda, tra le altre, Raninen c. Finlandia, 16 dicembre 1997, § 55). Con riferimento più specifico ai minori, la Corte ha più volte constatato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione a causa della collocazione in centri per migranti di minori accompagnati e non accompagnati (in alcuni casi, collocati in centri di detenzione amministrativa). Per quanto riguarda i minori accompagnati, vanno ricordati i seguenti casi: Muskhadzhiyeva e altri c. Belgio (n. 41442/07, §§ 55-63, 19 gennaio 2010); Kanagaratnam c. Belgio (n. 15297/09, 13 dicembre 2011); Mahmundi e altri c. Grecia (n. 14902/10, §§ 72-74, 31 luglio 2012); Popov c. Francia (nn. 39472/07 e 39474/07, §§ 91-103, 19 gennaio 2012); A.B. e altri c. Francia (n. 11593/12, §§ 107-15, 12 luglio 2016); R.R. e altri c. Ungheria (n. 36037/17, §§ 58-65, 2 marzo 2021); M.H. e altri c. Croazia (nn. 15670/18 e 43115/18, §§ 183-204, 18 novembre 2021) e N.B. e altri c. Francia (n. 49775/20, §§ 47-53, 31 marzo 2022). Per quanto riguarda i minori non accompagnati, si fa riferimento alla seguente giurisprudenza: Mubilanzila Mayeka e Kaniki Mitunga (sopra citata, §§ 50-59); Rahimi c. Grecia (n. 8687/08, §§ 95-96, 5 aprile 2011); Abdullahi Elmi e Aweys Abubakar c. Malta (nn. 25794/13 e 28151/13, §§ 111-15), 22 novembre 2016; SF e altri c. Bulgaria (n. 8138/16, §§ 78-83, 7 dicembre 2017); Khan c. Francia (n. 12267/16, §§ 92-95, 28 febbraio 2019); Sh.D. e altri c. Grecia, Austria, Croazia, Ungheria, Macedonia del Nord, Serbia e Slovenia (n. 14165/16, §§ 52-62, 13 giugno 2019) e Moustahi c. Francia (n. 9347/14, §§ 65 -67, 25 giugno 2020).
È anche importante tenere presente che secondo la Corte l’estrema vulnerabilità del minore è il fattore decisivo e ha la precedenza sulle considerazioni relative al suo status di immigrato clandestino (vedi Mubilanzila Mayeka e Kaniki Mitunga, sopra citata, § 55). I bambini hanno bisogni specifici legati non solo alla loro età e alla mancanza di indipendenza, ma anche al loro status di richiedenti asilo. La Corte ha inoltre osservato che la Convenzione sui diritti dell'infanzia incoraggia gli Stati ad adottare misure adeguate per garantire che un bambino che cerca di ottenere lo status di rifugiato goda di protezione e assistenza umanitaria, sia da solo che accompagnato dai suoi figli. o i suoi genitori (si vedano, a questo proposito, Popov, § 91, e Tarakhel, § 99, entrambi sopra citati).
Le sentenze in segnalazione riguardano specificamente l’Italia e si aggiungono ad altri precedenti condanne dell’Italia sempre nella stessa materia. In particolare, i principi riguardante le condizioni di alloggio negli hotspot sono stati dettati nel caso JA e altri c. Italia (n. 21329/18,§§ 58 e 65, 30 giugno 2023, sul quale ci si consenta di richiamare la segnalazione di chi scrive su questa Rivista); per quanto riguarda le condizioni di alloggio nel rispetto dei minorenni, i principi in tema sono stati affertati in Darboe e Camara c. Italia (n. 5797/17, §§ 167-73, 21 luglio 2022); sul diritto dei migranti di contestare i motivi della loro detenzione di fatto davanti a un tribunale, si veda Khlaifia e altri c. Italia [GC], no. 16483/12, §§ 117 e 132 e ss ., 15 dicembre 2016. Infine, sui principi generali concernenti il diritto a un ricorso effettivo davanti alla CEDU, si rimanda ancora a alla già citata Darboe e Camara c. Italia(§ 128).
*consigliere della Corte di cassazione
Fonte: questionegiustizia.it
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