Il documentario descrive gli effetti, sulle cose e sulle persone, della prolungata aggressione israeliana alla città palestinese di Jenin, nel nord della Cisgiordania. L’attacco, durato per tutta la prima metà dello scorso aprile, si è concluso con la distruzione totale del quartiere centrale del campo profughi, un chilometro quadrato fitto fitto di abitazioni in cui vivevano stipate circa 15.000 persone. Dopo i massicci bombardamenti effettuati dai giganteschi tank Merkava e dagli elicotteri Cobra (che, con i micidiali Apache Longbow della Boeing, sono venduti ad Israele dall’”amico americano” in numero sempre crescente, sono stati i mastodontici CATerpillar blindati (anch’essi di fabbricazione statunitense) a spianare tutto ciò che era rimasto ancora in piedi. L’effetto finale non differisce molto dall’ammasso contorto di metallo e cemento a Ground Zero: centinaia di vittime, in maggioranza persone inermi, impastate con le macerie. Un film praticamente autoprodotto. Un autore, Mohammad Bakri, approdato da poco alla regia, assai più noto per i suoi intensi ruoli cinematografici. Un documento duro, incentrato sulle testimonianze delle vittime, un grido d’accusa corale contro la brutalità dell’occupante. Un artista da sempre scomodo, perché comunista, perché palestinese ma con passaporto israeliano, uno che non sta zitto e che denuncia. Non un film-inchiesta, all”anglosassone”, semmai un film-urlo. Protagonisti le macerie e la rabbia dei sopravvissuti. Iyad Samoudi, produttore esecutivo del film, è stato assassinato dall’esercito israeliano il 23 giugno, al termine delle riprese. In Israele il film è stato colpito dalla censura governativa ed il suo autore, Mohammad Bakri, ha subito pesanti intimidazioni da parte dei servizi segreti israeliani.

https://www.youtube.com/watch?v=7cvCtCfT6Lk 

Fonte: Web

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