“L'acqua è uno dei beni primari per i cittadini, un bene che viene pagato poco, troppo poco, dalle aziende
private che attingono alle sorgenti dei territori umbri per l'imbottigliamento senza garantire ricadute significative per le comunità locali e per le finanze regionali. Per questo occorre una modifica della
legge di ricerca, coltivazione e utilizzazione delle acque minerali volta ad aumentare sensibilmente il prezzo del canone per la concessione di coltivazione. Oltre a questo è necessario che i proventi dei canoni per l'imbottigliamento vengano investiti in opere di manutenzione della rete idrica, in informazione sulle qualità dell’acqua pubblica, nel miglioramento delle risorse idriche, anche con ricadute nei territori
interessati da insediamenti industriali di imbottigliamento”.
Con queste parole Oliviero Dottorini, capogruppo dell’Italia dei Valori in Consiglio regionale, interviene in merito alla gestione pubblica di un
bene primario come l’acqua e annuncia una proposta di modifica alla legge finanziaria che innalzerà i canoni di concessione per l'imbottigliamento delle acque minerali, oggi fermi ad un euro ogni metro cubo, cioè circa 2 lire al litro: "Il tutto - spiega Dottorini - dovrà essere calcolato sul volume complessivo di acqua prelevata al lordo delle quantità impiegate per le attività di lavaggio, risciacquo e sanificazione".
“I canoni - spiega Dottorini - sono fermi ormai a tre anni fa, quando riuscimmo a farli aumentare da una a due lire al litro. E’ giunto il momento di riaprire quel capitolo, intervenendo in modo più efficace per
tutelare i beni pubblici della nostra regione. E’ bene ricordare che in Umbria sono attive 17 concessioni di acque minerali ai fini dell’imbottigliamento e con un prelievo complessivo annuo di circa 12.300 milioni di litri, con un consumo procapite di 192 litri annui. Stiamo parlando di un business senza uguali, perché di fatto la materia prima acqua, sempre più preziosa
e strategica, non costa nulla alle aziende in termini di concessione pubblica, e questo fa crescere l'imbottigliamento con una rapidità incredibile. Le famiglie pagano l’acqua che sgorga dai rubinetti domestici come potabile e nella maggior parte dei casi è buona, garantita e costa alle singole famiglie l'equivalente di due lire del vecchio conio. Al
contrario l’acqua in bottiglia, prelevata dalle grandi aziende a canoni irrisori, una volta imbottigliata e portata sugli scaffali dei supermercati viene venduta a prezzi non inferiori alle 400-600 vecchie lire al litro con ricarichi sproporzionati. Le aziende in questo modo
sfruttano i territori e i beni pubblici senza ricadute per le comunità locali e senza ritorni occupazionali significativi, investendo per lo più in pubblicità e trasporti, scaricando tra l'altro sulla collettività il
grave problema dello smaltimento dei contenitori in Pet. Per questo sarà importante che i maggiori introiti che deriveranno alla Regione dai nuovi canoni - ha precisato Dottorini - servano a finanziare una informazione
corretta per invitare a bere l'acqua dei nostri rubinetti e per garantire a tutti i cittadini la conoscenza delle qualità organolettiche dell’acqua
che sgorga dai rubinetti.
Attualmente invece risulta per i cittadini difficile e macchinoso, se non impossibile, conoscere la qualità dell’acqua della rete pubblica. Per questo chiediamo che la Regione, insieme ad Arpa, Asl, Ati e aziende di gestione, metta in rete le analisi periodiche dell’acqua
potabile suddivise quartiere per quartiere e accessibili a tutti, così come accessibili a tutti deve essere un rapporto dedicato allo stato di salute della risorsa idrica umbra e la possibilità per il singolo
cittadino di richiedere analisi complete dell’acqua del proprio rubinetto, senza aggravi di costi, così come avviene nei maggiori paesi europei.
La mancanza di trasparenza, infatti, unita alla scarsa pubblicità che viene fatta dell’acqua e a un’accondiscendenza eccessiva nei confronti delle
attività estrattive della regione, induce solo a sospetti e non incentiva certo l’uso dell’acqua pubblica”.
Da ACS Distribuzione
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