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di Pasquale Giordano ROMA – “Abbiamo la sensazione che nemmeno questa strage silenziosa scuota dal torpore una classe politica che ha accantonato la questione penitenziaria”. Parole dure e forti che rendono il senso dell’inumana condizione delle carceri italiane. Sono le parole pronunciate dal segretario della UIL Penitenziari, Eugenio Sarno, ma è difficile trovare qualcuno che lavorando o vivendo suo malgrado in un carcere dica diversamente. Nel fine settimana un altro detenuto si è ucciso. È successo a Catania, nel carcere Bicocca, dove un detenuto ha usato una lametta per recidersi la carotide. Le statistiche ufficiali raccontano che con questo sono saliti a 38 i suicidi in carcere, ma è bene far notare che il suicidio non è l’unico modo di morire di carcere, tanto che dall’inizio del 2010 sono più di cento i decessi in carcere. Senza contare i suicidi di 4 agenti di polizia penitenziaria e del provveditore regionale della Calabria del Dipartimento dell' Amministrazione Penitenziaria, Paolo Maria Quattrone, suicidatosi per essere stato rinviato a giudizio per i reati di minaccia e abuso d'ufficio. Da dazebao.org Le carceri italiane tra sporcizia e disperazione Sono terre di nessuno le carceri italiane, non perché viga l’anarchia, ma più semplicemente perché sono dimenticate da tutti, nascoste sotto il tappeto come si fa con la polvere. Cuore non vede, occhio non duole. I detenuti sono stipati in delle strutture adibite a contenere 43 mila detenuti, ma che ospitano più di 68 mila: un sovrannumero di circa 25 mila detenuti. Ovvero più del 150%. La situazione è così drammatica che anche chi è abituato a visitare le carceri con cadenza ordinaria rimane colpito. Prendiamo ad esempio la Casa Circondariale di San Sebastiano (Sassari) che negli scorsi giorni è stata visitata da una delegazione composta da Radicali e da volontari. Raccontano di topi e scarafaggi che escono dagli scarichi dei bagni, di piccioni che volano da una parte all'altra dei corridoi, di giornali usati al posto della carta igienica, del muschio che in piena estate dipinge e divora i muri scrostati e macchiati delle celle. Una situazione infernale che viene replicata nel corso della visita della deputata radicale Rita Bernardini all’Ucciardone di Palermo. È “un carcere completamente illegale – ha detto - un posto indegno di un paese civile. Ecco perché parlerei di veri e propri maltrattamenti e di torture.” All'Ucciardone è difficile svolgere le attività trattamentali, ovvero quelle attività (istruzione, lavoro, formazione professionale, attività culturali, ricreative e sportive) che rendono le carceri un luogo di rieducazione e non di punizione. “Quando le persone vivono in cella con le malattie, nella sporcizia, con tossicodipendenti evidentemente questo corrisponde a una forma di tortura.” “In alcune celle non funziona nemmeno lo scarico”. Le docce sono “una specie di grotte con le stalattiti. C'è il muschio, l'intonaco crollato. Su sette docce ne funzionano una o due. Dovreste vedere i piatti della cella di che colore sono. Sono vomitevoli.” “Abbiamo visto una cella blindata dove c'era un detenuto molto probabilmente affetto da tubercolosi - ha detto Rita Bernardini - Gli agenti e gli altri detenuti stavano a debita distanza. Ho chiesto perché non lo ricoverano e mi hanno detto che stanno facendo una verifica per vedere se effettivamente ha la tubercolosi". C'é un solo medico e un solo infermiere per settecento persone. Più di 100 morti dall’inizio dell’anno Al carcere romano di Rebibbia, è morto un detenuto argentino di 47 anni gravemente malato di cirrosi epatica che avrebbe dovuto significare l’incompatibilità fisica con il regime carcerario. Tra il 7 e l'8 luglio, nel carcere di Napoli Secondigliano sono morti due detenuti italiani, sembra a causa di gravi malattie di cui erano affetti. Dall’inizio dell’anno sono morti in carcere più di 100 detenuti: 30 si sono impiccati, 7 sono morti per avere inalato del gas, 64 detenuti sono morti per malattia, o per cause ancora da accertare. L'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) prevede che un detenuto in condizioni di salute critiche sia ricoverato in ospedale, per essere curato e, quando non c'è cura possibile, è necessario consentirgli di morire da persona libera, ma questo non viene fatto. Ogni anno più di 150 detenuti muoiono in cella, di questi 50 o 60 si suicidano: numeri drammatici che da almeno 20 anni sono pressoché stabili. Carcere: punizione o correzione? Stante che in Italia si presuma ci sia un solo intendimento dettato dalla legge, allora basta leggere l’articolo uno della legge 354 del 26 luglio 1975, nota come ‘Ordinamento Penitenziario’: “Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.[..]Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento é attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.” È difficile credere che molte carceri possano anche solo pensare di attuare un programma di reinserimento. Mancano i fondi e il personale. L’ordinamento prevede che il detenuto stazioni in cella la notte per poi trascorrere l’intera giornata in attività di rieducazione, ma "ad oggi - dice la radicale Bernardini - ci sono carceri in cui i detenuti arrivano a trascorrere anche 20-22 ore al giorno chiusi in una cella, spesso sovraffollata, dove è possibile soltanto stare in branda ad aspettare che il tempo passi in fretta. Condividi