di Daniele Cibruscola PERUGIA – Un partère d'eccezione per l'incontro sui migranti – e per i migranti – di questa mattina in Regione. Tra gli altri, alla presentazione qui in Umbria del XVII rapporto sull'immigrazione (a firma Caritas/Migrantes), sono infatti intervenuti: il sottosegretario del ministero alla solidarietà sociale Cristina De Luca (Pd), l'assessore regionale alle politiche e ai programmi sociali Damiano Stufara (Prc), l'arcivescovo di Perugia Giuseppe Chiaretti e quello di Spoleto Giuseppe Fontana (rispettivamente presidente e delegato della Conferenza Episcopale Umbra). In un Paese di forti contraddizioni e scontri tra "ideali" e valori differenti, è piacevole notare come sui temi importanti si sia ancora capaci di dialogare. Ed è proprio quello che è avvenuto oggi a Palazzo Donini. Le distanze culturali dei presenti si sono infatti annullate di fronte alla situazione di precaria esistenza vissuta quotidianamente dagli stranieri in Italia. E si sono anche annullate nella denuncia dell'attuale stato di cose, principalmente figlio della legge regolatrice Bossi-Fini in tema di immigrazione. "Regione e Conferenza Episcopale Umbra – ha detto Damiano Stufara – si sono sempre impegnate nella ricerca di soluzioni per facilitare l'inclusione di chi viene a stare da noi. (…) La nostra regione esprime un grado di accoglienza superiore a quello di molte altre, il problema è che abbiamo ancora un quadro normativo fondato su un certo tipo di ideologia. Ideologia che identifica l'immigrato irregolare (ma non solo) con la paura ed il pericolo". Parole, queste ultime, che pronunciate da un esponente di Rifondazione Comunista non destano particolare clamore. Ma le affermazioni dell'assessore sembrano quelle di un uomo di destra se confrontate con quelle dell'arcivescovo di Spoleto. "Non voglio più sentir parlare di integrazione – ha esordito l'uomo di Chiesa – voglio sentir parlare di inclusione". La domanda, legittima e condivisibile che si è posto monsignor Fontana, è se forse la parola extracomunitario non serva oggi a nascondere "altro". "Una parola che in realtà si riferisce alla condizione economica (di estrema povertà) di una persona, non alla sua provenienza geografica. Nessuno usa questa parola a proposito del calciatore milionario, del funzionario americano in visita ufficiale in Italia, o del dirigente giapponese di qualche azienda automobilistica che viene qui per stringere accordi commerciali". Parole dure, perché denunciano un alto grado di razzismo latente, diffuso tra la gente ma anche (a volte) tra le istituzioni. Un razzismo tra i peggiori pensabili. Quello, e lo ha detto esplicitamente anche Fontana, "contrario ad ogni valore Cristiano"; quello verso i più deboli. Poco importa forse, e questo dovrebbe essere un bene, il colore della pelle; ciò che conta, e questo invece è grave, è il “potere di acquisto” delle persone. E a criticare il modus operandi finora scelto dallo Stato Italiano ci ha pensato anche Cristina De Luca (Pd): “Come si può pensare – si chiede – che le cose cambino finchè il nostro Paese, dei fondi destinati ogni anno al tema “generale” dell'immigrazione, ne impiega il 98% per la sicurezza e solo il 2% per l'inclusione?”. Certo, in questo caso le parole conclusive dell'intervento di Fontana sembrano essere confermate: “Il problema non sono gli immigrati. Il problema, se c'è, siamo noi”.

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