L'Inps certifica il dramma del lavoro in Umbria.
In Umbria continua a peggiorare la qualità del lavoro e ad aumentare la precarietà, come dimostrano i dati forniti dall'Osservatorio nazionale dell'Inps riferiti al periodo gennaio-ottobre 2016.
Tre sono gli indicatori molto preoccupanti per la nostra regione: il crollo delle assunzioni a tempo indeterminato; le trasformazioni in contratti a tempo indeterminato; l'aumento esponenziale dell'utilizzo dei voucher.
I numeri delle assunzioni a tempo indeterminato sono clamorosamente negativi: si passa, infatti, dalle 17.689 unità del 2015 alle 10.111 del 2016, evidenziando un dato percentuale che è il piu' alto tra le regioni d'Italia, con un -42,8% a fronte di un -20,9% del resto del Paese.
Anche le trasformazioni in contratti a tempo indeterminato di altre tipologie sono crollate: -42%. Molto di più della media nazionale: 18,2% delle nuove assunzioni in Umbria, 22% in Italia.
Infine il boom dei voucher "comprati dal tabaccaio" che sono oltre due milioni, per la precisione 2.084.397, con un aumento del 33% rispetto al 2015 e del 66% rispetto al 2014. Numeri e percentuali che certificano che alla fine dell'anno saranno circa 30mila le lavoratrici e i lavoratori umbri sfruttati con questo nuova forma di retribuzione.
Questi dati confermano, purtroppo, il fallimento totale e senza appelli delle politiche del lavoro del governo Renzi e contemporaneamente ribadiscono il "declino" economico e sociale dell'Umbria.
Diventa quindi sempre più urgente predisporre un "Piano Regionale del Lavoro" per creare nuova e buona occupazione e introdurre una sorta di "reddito di cittadinanza" per le decine di migliaia di umbri privi di un reddito o che sono ormai in condizioni di povertà assoluta e relativa.
L'Umbria è arrivata ad un punto di rottura sociale. Quindi o si inverte la direzione di marcia con una profonda svolta politica o si aprirà nel breve periodo una stagione in cui si vivrà una acuta crisi economica e democratica mai registrata in precedenza nella nostra regione.
Stefano Vinti,
Assemblea Nazionale di Sinistra Italiana
Giovedì
22/12/16
11:37
Manca un piano del lavoro?
Ma, chi dovrebbe elaborarlo? se non la classe politica che ci governa!
Allora il problema a monte, non é che manca un piano del lavoro, ma che fino ad oggi il" piano di lavoro" attuato dalla classe politica al governo si mostra inefficace a ridurre gli effetti della crisi sulle popolazioni Umbre (e non solo).
La crisi del lavoro quindi sancirebbe l'incapacità dei Politici al governo di elaborare strategie=politiche in grado di contrastare il fenomeno, ma anche quello delle opposizioni a produrre proposte alternative.
Quindi, per la verità, é inesatto dire che mancano politiche del lavoro, più propriamente si dovrebbe affermare che le politiche del lavoro attuali non sono efficaci, almeno nel medio periodo o che, al peggio, che sono attivate nell'interesse di qualcuno che però non è il cittadino qualunque (visto il risultato).
Chi s'intende di macro-economia elementare sa che un prodotto per essere competitivo, a parità di qualità, deve costare meno.
Non potendo agire sulla leva inflazionistica che consentirebbe di abbassare i prezzi sui mercati esteri né agire abbassando ulteriormente il costo del denaro, né quello delle materie prime che importiamo, non resta che abbassare i costi del personale.
La precarizzazione del lavoro, con rincorsa al ribasso, s'inquadra in questa strategia obbligata.
Uscire dalla crisi quindi sarebbe facile, a dire di molti economisti: basterebbe che lo Stato indirizzasse una larga parte della spesa su progetti virtuosi (o almeno restituisse subito i suoi debiti alle imprese in sofferenza) e soprattutto riacquistasse la sovranità monetaria che gli consentirebbe di stampare in proprio il denaro necessario al suo funzionamento senza doverlo prendere a prestito dalle banche, appesantendo il debito pubblico.
La leva dell'inflazione, governata tramite i tassi d'interesse bancari, consentirebbe di "inflazionare" anche il debito che lo Stato ha verso le banche che si ridurrebbe drasticamente fino a scomparire, potendo iniziare a battere gratis moneta in proprio.
Le esportazioni aumenterebbero perché l'inflazione compenserebbe l'aumento del costo delle materie che importeremmo a prezzi maggiori, avendo un saldo attivo nella bilancia dei pagamenti esteri.
Domandiamoci ora, se questa soluzione "politica" fosse quella giusta, quale stato o quale organizzazione riceverebbe dei danni e quindi si opporrebbe con tutte le sue forze?
Al cittadino comune tutto ciò non interessa e probabilmente non capirebbe nemmeno.
In una collettività che ha il senso dell'appartenenza, spetterebbe ai più colti e dotati l'onere di affrontare questi problemi nell'interesse di chi non sa o non vuole sapere (politici inclusi).
La questione del lavoro, come si vede, non è quella principale, ma solo una conseguenza di uno scontro di potere che avviene a livelli ben più alti.
Da lì bisognerebbe iniziare, poi il resto si dipana da se.