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editoriale di Alessandro Cardulli - dazebao.org Quello che sta accadendo a Pomigliano è solo lontano parente della marcia “dei quarantamila” quadri e dirigenti che, agli ordini del padrone, scesero in piazza contro i lavoratori e il sindacato che tentavano di difendere il posto di lavoro. Una lotta dura, uno scontro destinato a lasciare il segno, non solo sul terreno sindacale ma anche su quello politico, il coinvolgimento di Torino, storia di una lotta operaia che ogni tanto viene richiamata, chi la tira da una parte chi dall’altra. Una storia di discriminazioni Ma la stessa Fiat abituata ad una pratica di discriminazione politica e sindacale, fece scendere in campo i suoi “quadri”, i capi dei reparti, i dirigenti che operavano dietro e fuori dalle quinte, perché voleva vincere e far passare i piani di ristrutturazione, far pagare alla Fiom un prezzo altissimo. Ma non voleva umiliare i lavoratori come ora sta facendo, colpendoli nella dignità di persone, di cittadini. Qui sta la “novità”. Per questo a chi richiama gli anni bui delle lotte alla Fiat, i “reparti confino” dove venivano chiusi i comunisti, gli iscritti alla Fiom, chi osava scioperare, gli stessi lavoratori di Pomigliano, dal sindacato e dallo stabilimento rispondono che ora la situazione è più grave. I “reparti confino” esistono ancora, forse non hanno mai cessato di esistere, così le discriminazioni. Ma ciò che sta accadendo a Pomigliano in questi giorni è la violenza dei dirigenti, dei quadri Fiat, esercitata nei confronti dei lavoratori e delle loro famiglie. Il comiziaccio di Marchionne Sergio Marchionne, il manager illuminato, il “salvatore della Fiat”, come ha avuto modo di dire Fassino, il dirigente del Pd , ha dato l’ordine ai suoi ed è partita una vera e propria caccia all’uomo. Disgustoso, non troviamo altri aggettivi, il comiziaccio che ha tenuto ieri, non degno di chi si ritiene un moderno capo di una grande gruppo industriale. Ha menato il can per l’aia con la storia dell’incontro di calcio dell’Italia: gli operai di Termini Imerese avrebbero scioperato per due ore proprio per vedere la partita. E non in solidarietà con i lavoratori di Pomigliano, contro il suo piano. Ma la storia non è questa. Era stata la direzione aziendale ad annunciare che sarebbero stati cambiati i turni di lavoro, che venivano istallati dei maxi schermi per dar modo di seguire la partita. Poi la direzione ha cambiato idea ed è scattata la protesta dei lavoratori. Un vecchio metodo della Fiat: provocare per poi colpire chi reagisce. Più volte nella storia delle tante vertenze aziendali, quando i dirigenti si sono trovati in difficoltà al tavolo di trattativa, succedeva sempre qualcosa: una volta un operaio tirava un sasso e rompeva un vetro, un dirigente veniva preso a male parole, un camion che trasportava le auto veniva bloccato. E il tavolo di trattativa saltava. Vecchie storie che tornano nuove. Il Pdl ruota di scorta della Fiat E a Pomigliano a far da ruota di scorta a Marchionne ci pensa il sindaco del Pdl che attacca “i fannulloni” che devono essere cacciati dalla fabbrica. Il Pdl si mobilita per la fiaccolata, è promossa e organizzata dalla direzione aziendale che deve diventare un evento cittadino. Lunedì è annunciata una seduta congiunta del Consiglio comunale di Pomigliano e del Consiglio provinciale di Napoli a sostegno del sì al referendum. Come una tenaglia vengono presi d’assalto i lavoratori. Dall’esterno, dalla forze politiche locali della maggioranza, da parlamentari del Pdl, da ministri fino a Berlusconi. Dall’interno praticamente ogni lavoratore, in un modo o nell’altro, viene contattato. Gli si chiede la partecipazione alla fiaccolata e al referendum. Non si dice “saluti alla famiglia” ma è chiaro che per strada insieme al lavoratore ci devono essere moglie e figli, genitori e parenti. La direzione aziendale convoca i lavoratori Domenica addirittura viene convocata un’assemblea in fabbrica per “spiegare” le ragioni del sì. Convocata dal padrone, non dai sindacati che hanno firmato l’accordo capestro. Ancora lettere e dvd a tutti i dipendenti. Chi non parteciperà alla fiaccolata e non andrà a votare per il referendum se la vedrà brutta. Non solo: dal referendum deve uscire un plebiscito altrimenti il manager illuminato lascia la produzione della Panda in Polonia. Basta un 55% di sì? No. Un 60%. No siamo ben lontani, un plebiscito ci vuole. Lavoratori a capo chino, col capo cosparso di cenere devono sfilare, in senso figurato per ora, davanti a Marchionne, togliendosi il cappello e gridando, perché tutti sentano, “sì padrone!”. Titoli dei giornali e tg annunceranno che Pomigliano ha detto sì all’accordo. Non è vero. Lo sa bene Marchionne che la sua sarà, comunque, una vittoria di Pirro, una brutta pagina nella storia e nella cronaca di questo paese, un brutale attacco alla democrazia. Dovrebbe sapere che umiliare una persona, negandogli non solo i diritti sindacali, ma anche la libertà di esprimersi, non porta da nessuna parte, così come l’arroganza e il disprezzo per i lavoratori. Ci sono spalle ancora forti sulle quali poggia la libertà e la democrazia. I lavoratori di Pomigliano non sono soli. Condividi