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Aveva appena 13 anni nel 1956 Pina Brustolin quando partì per Bologna, dalla sua Arsiè, la cosiddetta “porta delle Dolomiti” in provincia di Belluno, per andare a fare la “serva”, come si diceva un tempo, a Bologna. Allora altro lavoro non c’era e questa era per tante ragazze della sua età l’unica strada possibile per rendersi autonome e per dare una mano alla famiglia. Oggi, Pina Brustolin ha superato i 60 anni e ne ha fatta di strada, ma continua ad occuparsi di domestiche, o meglio ancora, di “colf”, come si usa dire più correttamente ora, come responsabile nazionale”Acli-Colf”, la più diffusa associazione di settore che opera per la tutela dei diritti delle lavoratrico domestiche. Nella sua lunga “carriera” è stata perciò testimone di profonde modificazioni e dal suo “osservatorio privilegiato” ci spiega anche le ultime evoluzioni che si stanno registrando in questo tempo di crisi: «Dopo l’arrivo di tante donne straniere – spiega - torniamo ad occuparci anche delle italiane che chiedono di fare servizi ad ore per arrotondare il reddito familiare magari messo in crisi da un licenziamento o dalla cassa integrazione». Le italiane, però, si vergognano di dire che vanno a «fare le ore» in un’altra casa. «Magari sono studentesse che si vogliono pagare gli studi o donne che hanno perso il posto che avevano in fabbrica o dal parrucchiere e così preferiscono farsi pagare in nero (dai sei a nove euro l’ora), perché considerano questo lavoro una tappa, un impegno temporaneo che finirà presto». Ma quante sono oggi le donne di servizio italiane? La risposta a questo interrogativo non è facile: ufficialmente l’Inps ha nei suoi computer 1.544.101 rapporti di lavoro registrati che corrispondono a 774 mila lavoratrici-lavoratori domestiche di cui, però, solo 74 mila sono italiane. Altre stime di Acli Colf dicono che l’aliquota delle italiane sul totale è del 23 per cento. Di sicuro, tuttavia, il sommerso è diffusissimo anche perché, conferma Pina Brustolin, le italiane non condividono la casa con il datore di lavoro e, soprattutto, non fanno le badanti che si prendono cura degli anziani. Le colf-badanti straniere, invece, hanno ormai una visione molto attenta dei loro diritti perché a loro «le carte in regola» servono per il permesso di soggiorno senza il quale rischiano l’espulsione e, tra poche settimane, anche il processo penale perché il governo ha voluto introdurre nell’ordinamento il reato di immigrazione clandestina. Numeri che in questi mesi sono cambiati. Profondamente. Le domestiche italiane che con la crisi sono tornate a chiedere un lavoro non fisso sono, secondo il profilo tracciato dalle Acli colf, «prevalentemente sposate, separate o vedove, di età superiore ai 40 anni». E ancora: «Svolgono lavori domestici a ore, alcune si dedicano agli anziani ma non in forma di co-residenza». Mentre le immigrate lavorano maggiormente nella cura delle persone anziane o malate, e sono consapevoli dell’importanza del loro ruolo, le italiane si dedicano alle tradizionali incombenze domestiche di pulizia, stiro, cucina. Ufficialmente non sono «lavoratrici domestiche», ma casalinghe o lavoratrici disoccupate. Per motivi fiscali, ma anche perché ritengono il lavoro che fanno come un’occupazione di ripiego, che abbandonano appena possono. Molte di loro, poi, devono continuare perché sono pensionate ex colf cui l’Inps corrisponde il minimo di 459,58 euro al mese. E c’è da dire che le prospettive di lavoro sono incerte anche in questo campo: «A una domanda più consistente di servizi a ore non corrisponde infatti un’offerta altrettanto elastica». Secondo una recente indagine dell’Irs (Istituto di ricerche educative e formative), le famiglie italiane spendono ogni anno 9 miliardi e 352 milioni di euro per retribuire il lavoro delle assistenti familiari che corrisponde al 10 per cento della spesa sanitaria sostenuta dalla Regioni ed è in linea con la somma che lo Stato spende per gli assegni di accompagnamento (10 miliardi di euro). Ma ora, come lo Stato decide i suoi tagli, anche le famiglie rinunciano a qualcosa: perché, conclude Pina Brustolin, una «lavoratrice licenziata torna a fare la casalinga a tempo pieno per la sua famiglia e, a ore, magari anche per chi le dovesse offrire un lavoro». Condividi