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Ivan Della Mea, l'indimenticato cantautore rivoluzionario che con i suoi canti ha infiammato gli animi di tanti giovani progressisti accompagnando l'intera stagione del '68, è tornato a farsi vivo dopo anni ed anni di silenzio politico. Lo ha fatto indirizzando una lettera all'Unità che l'ha pubblicata oggi nelle rubrica dedicata al lettori nella quale si infittiscono le missive accorate di quanti non riescono a darsi pace per gli scandali scoppiati in tante parte del Paese coinvolgendo ovunque esponenti del partito, il PD, che si considera erede diretto del Pci di Gramsci e Berlinguer. Una lettera, quella di Ivan della Mea, che conferma il carattere fiero di chi non rinnega i suoi trascorsi. Una lettera che riteniamo utile pubblicare per intero, anche perché ritroviamo in essa un convincimento che anche noi abbiamo più volte espresso: ovvero che la "morale comunista" è andata persa via via che si è distrutto, per "strappi" successivi, il più grande partito operaio d'occidente. Eccone, dunque, il testo: "Cara direttrice o caro direttore, cari tutti e due, per enne elezioni amministrative il Pci si vide premiato contraddittoriamente rispetto alle elezioni politiche. Gli amministratori comunisti godevano meritata fama di capacità e di onestà. Lo stesso Pci, ancora inviso ai più, era moralmente inattaccabile. Alle prime avvisaglia di cedimenti su questo fronte Enrico Berlinguer pose con forza la "questione morale" (1980). Tocca dire, con qualche determinismo, che alla crescente affermazione di un comunismo italiano affrancato dal Pcus, più democratico e aperto, corrisposero dapprima alcuni scricchiolii, cedimenti poi, sul piano morale (fine anni ottanta). L'alterità comunista era credibile perché integri e onesti erano i comunisti, integro e onesto era l'intero partito. Noi iscritti ci sentivamo diversi perché onesti. Al primo affrancamento da fideismi e tautologie (Pci, Pds, Ds, Pd) ha fatto e fa riscontro l'altrettanto e progressiva caduta della tensione morale. Certo, nessuno oggi crede più che i comunisti mangiano i bambini e stuprano le monache. Altrettanto certo è che oggi nessuno crede più che gli ex picisti poi pidiessini poi diessini oggi pidisti siano moralmente inattaccabili. Parrebbe dover concludere che laicità e maggiore democrazia interna siano incompatibili con l'onestà. Forse è per questo che io resto comunista, vetero e comunista: per memoria e per storia di quella onesta e di quella tensione morale vissute e da vivere. Buon tutto". Ed è proprio per questo che anche noi, al pari di Ivan Della Mea, non ci vergogniamo di considerarci vetero e comunisti. Condividi