di Fausto Bertinotti 

Se si pensa di dover fronteggiare un avversario difficile, la prima cosa da fare è cercare di capire bene chi è, di quale pasta è fatto, specie se esso si produce in un nuovo contesto. Il governo Meloni e la soggettività che lo esprime sono un avversario difficile per le forze che vi si oppongono e non solo per la disarmante debolezza del campo che queste compongono. Il nuovo governo è il governo della destra, della destra contemporanea. Per un verso esso richiama un balzo all’indietro, a un indietro molto lontano nel tempo, dato che da allora mai la destra si è presentata in Italia con l’ambizione di affermarsi da sola, duramente e interamente come tale.

Quando ha concorso alla vittoria dello schieramento di cui faceva parte svolgeva una funzione di complemento, altri lo guidavano e ne forgiavano l’immagine, si pensi per tutti al berlusconismo. Solo negli anni ‘50 la restaurazione anti operaia, l’innalzamento della frontiera anticomunista, il governo liberista della ristrutturazione, la “Costituzione tradita” e la collocazione internazionale atlantista nella Nato potevano indurre a parlare di un governo di destra. Ma oggi la destra vincente non è una citazione di un lontano passato, è la destra contemporanea, lungo un filo che connette, pur in presenza di differenze anche significative, tutte le destre in occidente, dagli Usa, al Brasile, all’Est europeo. Bisognerà dunque tenersi lontani dalla suggestione di attendersi da loro, come dalla nostra destra vincente, ciò che non vogliono, né possono, diventare.

Eppure c’è chi si ostina a chiedere di “dare vita ad un partito conservatore di modello europeo, impianto liberale, culturalmente avanzato, con ampie aperture pur mantenendo certi valori fondativi dell’idea di nazione”. Forse Cavour, ma una formazione così non esiste in nessun paese in tutto l’occidente. La destra vuole vincere e quando vince è tutt’altra bestia. È uno strano animale politico a tre teste: neoconservatore nell’impianto economico-sociale; reazionario sui temi della persona, dei diritti; corporativo nei confronti dei ceti che considera la propria base sociale. Fa un’operazione opposta a quella che Benedetto Croce consigliava ai liberali dopo la caduta del fascismo, quella di lasciare il liberismo in economia e tenersi il pensiero liberale.

La nuova destra, la destra della nostra contemporaneità, così diffusa in Occidente, quella oggi vincente in Italia è questo strano, forte e minaccioso animale politico. I molti esponenti borghesi che dalle pagine dei più grandi quotidiano gli rivolgono appelli affinché diventi come piacerebbe a loro sono destinati a restare delusi. Del resto quando sono stati ascoltati dal centrosinistra affinché si separasse dalle radici della sinistra, comunista e socialista, e dal suo popolo per diventare “forza di governo” si è visto come è finita. È questa destra reale dunque quel che va fronteggiato; inutile attendersi dei regali. Sul terreno dell’economia, nel suo nucleo centrale, la sua politica resta ancorata alla sostanziale continuità con quella praticata in Europa, e in Italia, in tutto questo ultimo e lungo periodo. Chiamala, se vuoi, agenda Draghi.

La collocazione internazionale, scelta con la svolta per candidarsi a governare il paese, ne fa da ombrello con l’opzione atlantista e la collocazione piena nell’Europa reale, fino alla politica di guerra ormai stabilmente adottata. Sul piano sociale, il governo Meloni attinge al classico e al neoclassico della destra in tutto il suo farsi, populista e liberista insieme. Essa perciò è disposta a venire in soccorso alla povertà estrema a condizione di mettere fuori dall’intervento pubblico la povertà ordinaria, il disagio sociale, il mondo del lavoro intero e tutta la diseguaglianza. Sui temi della persona, dei diritti, del riconoscimento delle diversità e della differenza, il governo di destra propone una scelta apertamente reazionaria.

Essa intende realizzare una politica che non solo costituisca una rivincita storica sulle culture e le conquiste nate del biennio-rosso ‘68- ‘69, ma un vero e proprio rovesciamento della cultura che vive nella Costituzione repubblicana. Del resto è stato scritto molto autorevolmente che allora fu proprio l’antifascismo che si è fatto Costituzione. Perciò è necessario intendere bene che l’offensiva di cui il governo della destra sta gettando le basi è stata favorita dalle manomissioni che la Costituzione ha patito nell’ultimo quarto di secolo e dalla sua riduzione a costituzione liberale invece che democratica quale essa ha voluto essere. La differenza investe prepotentemente la politica e ha un nome potente, eguaglianza. Nella pratica di governo e nella cultura politica che si è affermata nell’ultimo ciclo e in particolare proprio e drammaticamente dal centro-sinistra, proprio questa è stata dismessa così da offrirsi ora, ad armi spuntate, al tentativo della destra di perseguire la Grande Rivincita. Rafforzata dalla vittoria elettorale, messo in campo un governo così organicamente di destra da essere senza precedenti, essa vuole dispiegarsi a tutto campo con un forte investimento simbolico e ideologico.

La lente d’ingrandimento posta su come si chiamano le cose costituisce un indicatore della tendenza. Basta ad illustrarle, una per tutte, la parola merito scagliata contro la formazione, l’educazione, l’istruzione. Merito è una parola maledetta perchè nasconde sotto il velo dell’oggettività una concreta propensione alla strutturazione della diseguaglianza fino all’esclusione. Il padrone ha usato, nelle politiche salariali, gli “aumenti di merito” per spezzare l’unità del mondo del lavoro, per fissare una propria gerarchia contro la crescita e la diffusione della professionalità. La scuola di classe l’ha usata, anche senza dichiararlo, per svuotare la rivoluzione sociale segnata in Italia dall’ingresso, per la prima volta nella sua storia, dei figli dei lavoratori, dei contadini, degli operai nella scuola fino all’università. Quel merito, messo sopra alla scuola, è una pietra su una prospettiva che, seppure solo enunciata e avviata tra mille difficoltà, ha dato la possibilità a tanti insegnanti e studenti di provate a far vivere una scuola per tutti e per tutte, malgrado le leggi e le tante Gelmini.

La destra vuole ora richiudere quella porta, cominciando proprio dalla definizione del ministero. Altro che picconare il lungo e ancora incompiuto ‘68. È don Milani, è “lettera a una professoressa”, che si vorrebbero cancellare. Loro stanno sempre con i Pierino e contro i Gianni e ora il governo è loro. “Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta” scrivevano in “lettere a una professoressa”. Gianni, no – scrivevano – perciò lo escludevano. Gianni c’era ieri e c’è oggi magari con la pelle scura e avendo cominciato a parlare in un’altra lingua. Il vostro merito lo condannerebbe provando a nascondere in quel concetto la discriminazione sociale che si produce. Cose di destra. L’unione di cultura e pratica fa di questa destra una realtà forte e forte dell’inesistenza di una alternativa di sinistra. Ogni suo avvio di e già cosa ci accinge a fare questa destra al governo. L’attacco al reddito di cittadinanza, invece che al caro bollette annuncia il suo liberismo sociale antipopolare.

In mare contro i migranti già è all’opera l’osceno rilancio del muro salviniano. Sulla piazza tornano i manganelli della polizia contro i manifestanti pur se in formazione ridotta. Sulla giustizia un ministro come Nordio innalza un monumento al carcere. Questa destra dunque al governo non si contiene per niente, piuttosto si radicalizza. La sinistra politica non c’è più come da ultimo ci hanno detto le elezioni e come ci ha detto il dibattito parlamentare sulla costituzione del governo Meloni nel quale l’unica forza di opposizione si è rivelato il partito di Conte. Inutile contare sulle divisioni interne alla maggioranza di governo. Il capo del governo ne è il principe che ha incorporato tutta la destra mangiandosi la Lega di Salvini, nullificando il centro e lasciando spazio a qualche ininfluente bandierina soltanto.

E’ proprio l’opposizione, dunque, che va reinventata nella paresi sociale come nella cultura politica. Bisognerebbe ritrovare le parole di un programma e di un’alternativa di società. Anche per questa parte le parole dovrebbero essere pietre. Non tutte necessariamente nuove. Alcune antiche dovrebbero essere condotte a vita nuova. E’ il campo della battaglia delle idee. Pace, giustizia, libertà per riaprire il grande scontro di civiltà il cui obiettivo, oggi più acuto persino che nel passato, è il “pieno sviluppo della persona umana”, di qualsiasi persona.

Le politiche, e in specie proprio quelle che non si vogliono arrendere al presente, quelle che vogliono riaprire la contesa dopo la sconfitta, vivono solo se capaci di dare una risposta efficace al tema della forza. L’opposizione sociale al governo della destra è una sfida decisiva. Nel conflitto sociale si giocherà la parte principale della contesa che la destra ha aperto. Nella nascita e nella vita di un movimento popolare si vedrà se parole come pace, eguaglianza, diritti sono proprie pietre.

Fonte: il Riformista

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