di Piero Bevilacqua

Lo hanno scritto e affer­mato in molti. Que­ste ele­zioni regio­nali con­se­gnano una cer­tezza non camuf­fa­bile: Mat­teo Renzi è stato sec­ca­mente scon­fitto. È stato scon­fitto il segre­ta­rio del Pd e il pre­si­dente del Con­si­glio, non solo per­ché egli è stato un pro­ta­go­ni­sta della cam­pa­gna elet­to­rale in prima per­sona e sino all’ultimo giorno. Ma per­ché le cifre mostrano, al di fuori di ogni dub­bio, il forte arre­tra­mento nume­rico e poli­tico del Pd, ana­liz­zato dai com­men­ta­tori di ogni ten­denza. Dove vince, signi­fi­ca­ti­va­mente, è per il peso spe­ci­fico di sin­goli can­di­dati, ecce­zione che con­ferma la regola.

E mai come in que­sto ultimo anno il Pd era diven­tato "cosa" di una sola per­sona e della sua ristretta cer­chia di fedeli. Una iden­tità totale che non ha sop­por­tato scarti e distin­zioni, sia den­tro il par­tito che nel governo e in Par­la­mento. Ma la que­stione è un’altra. La domanda che occorre porsi è se que­sta scon­fitta segna un inci­dente di per­corso o se essa non apra una frat­tura irri­me­dia­bile nel mec­ca­ni­smo che Renzi aveva messo in piedi . E dun­que, per dirla con Norma Ran­geri, se essa costi­tui­sca "una scon­fitta che ria­pre i gio­chi".

Per affer­rare la por­tata stra­te­gica di que­sta scon­fitta occorre bre­ve­mente ram­men­tare le mosse vin­centi com­piute da Mat­teo Renzi. È evi­dente che un pas­sag­gio deci­sivo, il primo, più cla­mo­roso, è stata l’alleanza diretta con Ber­lu­sconi. Il patto del Naza­reno. Più spre­giu­di­cato di Letta, che si era fer­mato ad Alfano, Renzi (ah, que­sti cat­to­lici inte­me­rati!) ha scelto diret­ta­mente di por­tarsi in casa l’Orco, di strin­gere un patto con l’ Impre­sen­ta­bile. Il Ber­lu­sconi di allora era una per­fetta ana­tra zoppa, ancora con tanto potere, ma privo di agi­bi­lità poli­tica, come si diceva. Un avver­sa­rio ideale per Renzi, che poteva per­sua­derlo facil­mente del van­tag­gio reci­proco delle sue mosse, tanto più che si trat­tava di scelte gra­di­tis­sime al capo del centro-destra.

L’iniziativa, urti­cante per tanti diri­genti del Pd, per la sua base e per i suoi elet­tori, è stata abil­mente giu­sti­fi­cata dalla neces­sità di coin­vol­gere anche l’avversario per riforme di por­tata costi­tu­zio­nale. Que­sto passo con­den­sava una infi­nità di van­taggi. Intanto incas­sava l’ appog­gio del grosso del centro-destra per fare appro­vare una legge elet­to­rale su misura, desti­nata a ren­dere sta­bile il suo potere e ad accre­scere in forme ine­dite il con­trollo dell’esecutivo sull’intero sistema poli­tico. Una volta fatto ingo­iare il rospo costi­tu­zio­nale, Renzi è pas­sato al Jobs Act. Anche tale scelta rac­chiu­deva più scopi. Ingra­ziarsi la diri­genza di Con­fin­du­stria, comin­ciando a cemen­tare un nuovo blocco col potere impren­di­to­riale e nello stesso tempo mostrare il pro­prio volto con­di­scen­dente ai voleri di Bru­xells. È qui che i capi di stato dei sin­goli paesi rice­vono l’investitura, come i cava­lieri medievali.

Ma que­sti pas­saggi, lo scon­tro aperto con la Cgil e da ultimo il Ddl sulla "Buona scuola", hanno creato una novità la cui por­tata Renzi ha gra­ve­mente sot­to­va­lu­tato. Egli avrebbe voluto declas­sare i con­flitti in casa Pd, come gli sgarbi incon­clu­denti di una mino­ranza. Ma ha fatto male i conti per­ché tale mino­ranza, sia pure incon­clu­dente, ha mostrato un Pd diviso e lace­rato, e que­sto ha rotto l’incanto. Per­ché incanto c’era stato nei con­fronti di Renzi, nei primi mesi di governo, con la distri­bu­zione degli 80 euro e soprat­tutto con l’immagine di un par­tito che pareva aver ritro­vato la pro­pria unità e capa­cità d’azione sotto la guida di un coman­dante di grande ener­gia e abi­lità tat­tica.

Que­sta per­dita di imma­gine ege­mo­nica ha col­pito dura­mente Renzi. E per una ragione sem­plice. È oggi noto al più raf­fi­nato ana­li­sta come al sem­plice cit­ta­dino, che il ceto poli­tico è stato pri­vato del suo antico potere. La rap­pre­sen­tanza degli eletti nelle isti­tu­zioni dello stato non spo­sta di un’oncia il destino di nes­suno. Da qui il senso di inu­ti­lità del rito del voto. I dati dell’astensionismo intorno al 50% sono il tim­bro di auten­ti­ca­zione di tale cer­tezza di massa. Ma chi ancora crede e spera dà il voto a realtà che appa­iono dotate di una certa forza con­trat­tuale, o appa­iono nella loro radi­ca­lità anti-sistema. I par­titi divisi, le forze pic­cole e sparse, sono per­ce­pite come un inde­bo­li­mento ulte­riore della poli­tica. E comun­que un Pd ritor­nato ai fasti delle lotte inte­stine pre­ce­denti ha perso un bel po’ di appeal, anche fra i poten­ziali elet­tori di cen­tro destra, che Renzi con­tava di attrarre.

Ma il con­flitto con la sini­stra interna e soprat­tutto le scelte del governo hanno toc­cato radici pro­fonde del con­senso su cui si è retto sinora il Pd. E occorre ram­men­tare. Per ragioni di iner­zia cul­tu­rale, e per vari altri fat­tori, il Pd, agli occhi di tanti ita­liani, è apparso come l’erede sto­rico del vec­chio Pci. Se anche per un intel­let­tuale radi­cale come Mario Tronti, il Pd è ancora IL PARTITO, figu­ria­moci quanto tale iden­ti­fi­ca­zione abbia ope­rato nella mente di sem­plici mili­tanti ed elet­tori. E per que­sta lar­ghis­sima fascia del popolo della sini­stra – che in Ita­lia è vivo e vegeto nono­stante gli scon­giuri degli avver­sari – Il Jobs act ha signi­fi­cato la licen­zia­bi­lità e la ricat­ta­bi­lità dei dipen­denti da parte del padrone. Men­tre la Buona scuola e il preside-manager sono apparsi un cuneo lace­rante den­tro la comu­nità sco­la­stica, un diver­sivo auto­ri­ta­rio per non affron­tare il pro­blema cen­trale: la remu­ne­ra­zione secondo stan­dard euro­pei dei nostri insegnanti.

Dun­que, que­ste scelte di destra sono state punite dagli elet­tori di sini­stra, ma non pre­miate dagli elet­tori di destra. Per­ché, visto che il centro-destra è ancora più diviso del fronte avver­sa­rio? Credo che una rispo­sta sia da cer­care nel fatto che pres­so­ché nulla è cam­biato nella con­di­zione della grande mag­gio­ranza degli ita­liani. La pres­sione fiscale si man­tiene ele­vata, sia al cen­tro che in peri­fe­ria, ed è anzi in cre­scita, la disoc­cu­pa­zione non da segni di cedi­mento, salari e sti­pendi sono fermi, aumenta senza sosta il part-time. Nes­suno di que­sti dati è stato scal­fito dall’azione di governo, e Renzi va in giro span­dendo sor­risi di leti­zia per la ripresa in atto. Ma tale forma di comu­ni­ca­zione è alta­mente con­tro­pro­du­cente: mostra agli ita­liani solo la sua stra­bi­liante capa­cità di men­tire.

Non è tutto. Le forze di centro-destra, ma anche il movi­mento 5S, con­du­cono una poli­tica aggres­siva nei con­fronti dell’Ue, ormai respon­sa­bile sem­pre più deci­siva delle nostre disa­strose con­di­zioni. Ma Renzi, dopo i mot­teggi orgo­gliosi su « l’Europa cam­bia verso», dopo un seme­stre euro­peo senza sus­sulti, ha mostrato il suo per­fetto alli­nea­mento ai voleri di Bru­xel­les, il solito per­be­ni­smo euro­pei­sta di chi fa i com­piti a casa. Con un mini­stro dell’Economia, Padoan, che sem­bra dav­vero cre­dere nello scre­di­tato cate­chi­smo dei padroni dell’Ue. E que­sto ormai gli ita­liani non lo per­do­nano più a nessuno.

Dun­que, il pro­getto di Renzi è crol­lato. E ciò non è avve­nuto per impe­ri­zia. Se si è one­sti occorre rico­no­scere che l’uomo è senza sto­ria e senza cul­tura, privo per­ciò di visione. È solo tat­ti­ca­mente bravo: non basta per un grande paese nelle nostre con­di­zioni. Con que­ste ele­zioni la destra ita­liana ha annu­sato il san­gue e sa che può tor­nare a vin­cere, anche incre­men­tando, come fa Sal­vini, la guerra tra poveri, visto che la ridu­zione del wel­fare e la disoc­cu­pa­zione l’alimentano. E ha spe­ri­men­tato, anche con Toti, quanto sia con­ve­niente opporsi a Renzi invece di col­la­bo­rare.

Que­sta stam­pella dun­que verrà meno. A sini­stra per il momento non c’è gran che, men­tre resta in piedi la forza oppo­si­tiva dei 5S. Un movi­mento, com’è stato osser­vato, che ha mostrato la rapida matu­ra­zione di un gruppo diri­gente gio­vane, radi­cato nelle realtà locali, mal­grado l’estremismo infan­tile di Grillo e Casa­leg­gio. Il bipo­la­ri­smo che doveva met­tere ai mar­gini le «frange estreme» è a pezzi. Il par­tito della nazione resta un sogno di regime da riporre nel cassetto.

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