di Andrea Colombo

Per un’intera gene­ra­zione poli­tica la legge elet­to­rale meglio cono­sciuta come "legge truffa", pro­mul­gata il 31 marzo 1953 e rima­sta in vigore per una sola tor­nata elet­to­rale, nell’aprile dello stesso anno, è stata un mito: la dimo­stra­zione di come la mobi­li­ta­zione popo­lare, restando nei limiti della più asso­luta lega­lità, potesse bat­tere e umi­liare una mano­vra auto­ri­ta­ria. Quello fu peral­tro l’unico caso di legge elet­to­rale varata con il voto di fidu­cia prima dell’Italicum. Decenni più tardi se ne par­lava ancora come di una enor­mità intol­le­ra­bile. I tempi cambiano.

Cam­biano parec­chio, per la verità. Renzi, se gli squa­der­nas­sero di fronte quella che allora pareva una quasi inim­ma­gi­na­bile for­za­tura, se la cave­rebbe con un’alzata di spalle: "Robetta". Figu­rarsi, se un par­tito o una coa­li­zione supe­rava il 50% bal­zava auto­ma­ti­ca­mente al 65%. Il bello è rega­lare seggi a chi dalla mag­gio­ranza è lon­ta­nis­simo. Sennò ci stiamo pren­dendo in giro e miriamo a non cam­biare niente. All’epoca, quei seggi rega­lati, for­te­mente voluti da De Gasperi che ci scom­mise e ci perse l’intero suo futuro poli­tico, sem­bra­vano invece fare a caz­zotti con i prin­cipi basi­lari della demo­cra­zia, meri­te­voli per­tanto di fare a caz­zotti anche in Par­la­mento e nelle piazze. Senza esa­ge­rare però, per­ché erano legione quelli che scal­pi­ta­vano per met­tere il Pci fuori legge, e gli ame­ri­cani mar­tel­la­vano invo­cando la dra­stica misura.

Qual­siasi cosa si pensi del Migliore, nes­suno potrà mai revo­care in dub­bio l’estrema abi­lità che dimo­strò in quel fran­gente. Togliatti puntò anche sulla piazza, però evi­tando di sca­te­narla: in anni nei quali le dita cor­re­vano facil­mente al gril­letto, esa­ge­rare signi­fi­cava spa­lan­care le porte alla messa fuori legge. L’opposizione puntò dun­que su una bat­ta­glia par­la­men­tare che, pur persa in par­tenza, avrebbe potuto susci­tare un moto di indi­gna­zione popo­lare tale da scon­fig­gere fuori dal Par­la­mento ciò che non poteva essere fer­mato al suo interno.

Poteva fun­zio­nare e in effetti fun­zionò. Tutto sta in come si affronta l’incombenza, però. Se denunci che una legge ammazza la demo­cra­zia e poi, quando arriva nell’aula, ti fai tro­vare in venti, tanto ancora non si vota e poi è pure lunedì, non puoi spe­rare che le masse ti pren­dano sul serio. Se ti sfondi i pol­moni in decine di ore di ostru­zio­ni­smo e poi, se del caso, non esiti a menare le mani anche tra gli austeri ban­chi, il discorso cam­bia. Alla Camera l’ostruzionismo durò giorni e giorni. Le regole del tempo lo per­met­te­vano, i par­la­men­tari d’opposizione si gua­da­gna­vano lo sti­pen­dio e fecero faville. Il 14 gen­naio De Gasperi, pre­si­dente del con­si­glio, mise la fidu­cia sulla legge elet­to­rale.

Togliatti provò a evi­tare la for­za­tura offrendo la sospen­sione dell’ostruzionismo in cam­bio di un refe­ren­dum popo­lare sulla legge. Quando Il pre­si­dente del con­si­glio rifiutò l’offerta e passò alla fidu­cia, i fra­telli Pajetta stac­ca­rono i brac­cioli delle pol­tron­cine e ini­zia­rono a rotearle come mazze. Era demo­cra­zia anche quella. In piazza, che di solito incide più di Face­book, suc­ce­deva di peg­gio. Botte da orbi 150 arre­sti a Roma, peg­gio e ovun­que il giorno dopo, con tanto di diret­tore dell’Unità, Pie­tro Ingrao, man­ga­nel­lato dalla Celere. Ma qual­che somi­glianza con la situa­zione attuale in realtà c’è. Il capo dello Stato, Luigi Einaudi, non disse una parola, per «non inter­fe­rire nelle pro­ce­dure parlamentari».

La gio­stra ripartì un paio di mesi dopo al Senato. De Gasperi voleva la fidu­cia anche lì. Il pre­si­dente del Senato Giu­seppe Para­tore ras­se­gnò le dimis­sioni con­tro la pre­po­tenza del governo. Roba che solo a leg­gerla per Pie­tro Grasso ser­vi­reb­bero i sali. Deci­sio­ni­sta, De Gasperi lo sosti­tuì di repente col mal­ca­pi­tato Meuc­cio Ruini, a cui toccò pre­sie­dere una seduta con­vo­cata addi­rit­tura la dome­nica di Pasqua, un’ideona che man­de­rebbe in visi­bi­lio Renzi, ma desti­nata finire con botte da orbi.

I sena­tori fecero il pos­si­bile, e con suc­cesso, per supe­rare i col­le­ghi depu­tati: lan­cio d’oggetti e volumi, insulti a ruota libera ("Pre­si­dente, lei è un porco", fir­mato San­dro Per­tini), assalti alla pre­si­denza, schiaf­foni, pol­trone ado­pe­rate dai com­messi per eri­gere bar­ri­cate in difesa del povero Ruini, che comun­que finì con la testa rotta, mini­stri presi a sberle, il sot­to­se­gre­ta­rio Andreotti lasciato a pre­si­diare i ban­chi del governo, col cestino della carta strac­cia in testa a mo’ di elmo.

La legge passò. Alle ele­zioni la coa­li­zione gui­data dalla Dc non ottenne il 50%. La legge fu abro­gata, in giu­gno.

Tante volte le bat­ta­glie par­la­men­tari ser­vono. Quando si com­bat­tono davvero.

Condividi