di Alessandro Portelli

Certe volte la memo­ria serve per dimen­ti­care. Se uno cam­bia la scritta sul can­cello di Ausch­witz e ci mette la P2 al posto di «Arbeit», non è una cita­zione, è una paro­dia. Come minimo, è una man­canza di rispetto. In realtà, è molto di più: la pre­tesa iper­bo­lica che i due ter­mini siano inter­cam­bia­bili ottiene il risul­tato non di accen­tuare l’importanza dell’elemento nuovo ma di smi­nuire il senso di quello vec­chio. Dav­vero Shoah e P2 si equi­val­gono? Oppure, ricor­darsi a spro­po­sito della Shoah per le beghe di casa nostra non sarà un modo per non guar­darla in faccia.

Per par­lare d’altro fin­gendo di par­larne. Sull’unicità della Shoah dovrebbe non essere neces­sa­rio tor­nare. È una tra­ge­dia unica, per le dimen­sioni e soprat­tutto per il senso: un mas­sa­cro ordi­nato per far spa­rire dalla fac­cia un popolo intero, e milioni di indi­vi­dui rei di essere solo quello che erano. Per decenni, abbiamo addi­rit­tura avuto paura di guar­darla negli occhi e non ne abbiamo voluto par­lare; poi, (anche a forza di gior­nate della memo­ria), ne abbiamo fatto un ter­mine del discorso ordi­na­rio. Ogni nuovo cat­tivo è «un nuovo Hitler», da Sad­dam a Milo­se­vic, da Ghed­dafi ad Ahmadi Nejad fino (lo ha detto Hil­lary Clin­ton) a Putin. Non è una cosa inno­cente: come ha dimo­strato un son­dag­gio del Washing­ton Post, «Evo­care Hitler rende gli ame­ri­cani più dispo­ni­bili all’intervento in Ucraina».

L’effetto di que­ste iper­boli stru­men­tali, tut­ta­via, non è di accen­tuare il nostro disgu­sto per dei dit­ta­tori cri­mi­nali, che se lo meri­tano da soli, ma di smi­nuire e bana­liz­zare il disgu­sto per Hitler. Tutte le simi­li­tu­dini fun­zio­nano in due dire­zioni. Cioè, se Ghed­dafi è un Hitler, allora Hitler non era che un Ghed­dafi qual­siasi . E se il nazi­smo è una riforma sani­ta­ria, be’, quasi quasi… L’unico modo per pren­dere per buoni que­sti vaneg­gia­menti è di dimen­ti­carsi che cosa era dav­vero Hitler, tra­sfor­mare il nazi­smo e la Shoah in signi­fi­canti vuoti, usati per desi­gnare qual­siasi cosa, e quindi niente. She­ryll Nuxoll, sena­trice dell’Idaho, è solo una fra i tanti ideo­logi di destra secondo cui la riforma sani­ta­ria di Obama è «just like Hitler», e i cit­ta­dini saranno ridotti «come gli ebrei cari­cati sui treni verso i campi di con­cen­tra­mento». La cosid­detta legge di God­win, ovvero «Legge delle ana­lo­gie col raz­zi­smo», afferma che «più dura una discus­sione online, più alta è la pro­ba­bi­lità che qual­cuno con­fronti qual­cosa o qual­cuno a Hitler o al nazi­smo» (e natu­ral­mente è online anche que­sta, come la mag­gior parte delle spa­rate di Grillo).

Oltre all’offesa alla memo­ria delle vit­time, al senso delle pro­por­zioni e alla mate­ria­lità della sto­ria, la spa­rata gril­lina infatti ottiene anche il risul­tato di svuo­tare il suo stesso mes­sag­gio. Come sem­pre, la reto­rica del gril­li­smo con­si­ste nel mesco­lare cose sen­sate a spa­rate assurde, e nell’alzare i toni in modo da ren­dersi inau­di­bile. Un esito dell’improvvida spa­rata di Grillo è anche quello di invol­ga­rire giu­ste pre­oc­cu­pa­zioni per il destino del nostro paese. Anche gente seria come Zagre­bel­ski e Rodotà avverte che cor­riamo il rischio di una deriva auto­ri­ta­ria; ma para­go­narla al nazi­smo signi­fica solo gon­fiare oltre misura, riem­pire di aria (fritta), la per­ce­zione dei rischi reali che cor­riamo e inde­bo­lire i loro solidi argo­menti.
Un’ultima nota­zione. È vero quello che dice Grillo: Napo­li­tano (che non sem­pre ha ragione) è vec­chio. Beppe Grillo è del 1948. Com­bina l’ingiustificato gio­va­ni­li­smo dei rot­ta­ma­tori con l’età pen­sio­na­bile. Auguri.

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