di Vincenzo Vita

La voce fatta cor­rere sulla neces­sità di ricor­rere alla vec­chia legge Gasparri per rin­no­vare il con­si­glio di ammi­ni­stra­zione della Rai è stata, vero­si­mil­mente, un "falso movi­mento". In verità, l’obiettivo del governo è chiaro: chiu­dere subito la pra­tica della riforma della "gover­nance" secondo l’articolato dell’esecutivo, o giù di lì: Atto Senato 1880. Infatti, la com­mis­sione com­pe­tente ha impresso una forte acce­le­ra­zione al dibat­tito, per pas­sare pre­sto in aula e tra­man­dare il testi­mone ai deputati.

Entro l’estate, la Rai di rito ren­ziano deve decol­lare, costi quel che costi.

Pec­cato che il dise­gno di legge, oltre ad essere cor­rivo verso la cul­tura del comando, con la figura dell’amministratore dele­gato (o ammi­ni­stra­trice per gen­tile regalo del Capo?) dotata di pieni poteri, sia pieno di apo­rie e di buchi. Per tutti, l’articolo 5 dedi­cato alle abro­ga­zioni, che di fatto eli­mina le spe­ci­fi­che mis­sioni dell’azienda pub­blica, al punto che un’approvazione let­te­rale per­met­te­rebbe alla Rai di tra­sfor­marsi natu­ra­li­ter in una casa di moda o in una car­tiera. O in qual­che altro genere mer­ceo­lo­gico. Così per dire.

Chissà se il velo­cis­simo iter par­la­men­tare per­met­terà di emen­dare, rive­dere, appro­fon­dire, come ha richie­sto con un felice appello MoveOn.

C’è di più. Tra le audi­zioni svolte spicca quella dello scorso mar­tedì, il 19 mag­gio, di Ingrid Del­tenre, diret­trice gene­rale dell’Uer(Unione euro­pea di radio­dif­fu­sione). La severa signora sviz­zera ha voluto sot­to­li­neare che, se pas­sasse il ddl gover­na­tivo, l’Italia diven­te­rebbe l’unico paese euro­peo in cui l’ad viene indi­cato diret­ta­mente dal governo, per di più con una durata di soli tre anni, come in Bulgaria.

Insomma, siamo di fronte alla seconda edi­zione dell’"editto bul­garo", dopo quello dell’infausto giorno del 2002, quando l’allora pre­mier Ber­lu­sconi attaccò Biagi, San­toro e Lut­tazzi (quest’ultimo vit­to­rioso dopo una lunga vicenda giu­di­zia­ria) da Sofia. Cen­sura pla­teale tre­dici anni fa, con­trollo buro­cra­tico – e con quante auto­cen­sure in fieri– nel pro­getto di Renzi, peral­tro in forte odore di incostituzionalità.

Tra l’altro, la rap­pre­sen­tante dell’Uer ha evo­cato la con­so­li­data pra­tica euro­pea di dif­fe­ren­ziare le fun­zioni di indi­rizzo e con­trollo da quelle di gestione. In tale dire­zione vanno diverse ipo­tesi all’attenzione del dibat­tito del Senato, che appa­iono in sin­to­nia con lo spi­rito comu­ni­ta­rio, al con­tra­rio delle ten­ta­zioni auto­ri­ta­rie, post-democratiche, che iden­ti­fi­cano in maniera ormai chiara le poli­ti­che di Palazzo Chigi.

La vicenda della Rai è un pas­sag­gio signi­fi­ca­tivo, che ci rac­con­terà tante cose sulle cul­ture poli­ti­che prevalenti. Natu­ral­mente, di come sarà il futuro del ser­vi­zio pub­blico non si dibatte, né della filo­so­fia del rin­novo della Con­ces­sione nel 2016. L’Italia uscirà dall’Europa? Strac­cerà i Trat­tati europei?

PS. Ancora sulla "par con­di­cio", abro­gata in modo extra­par­la­men­tare. Dopo l’"ospitata" di Renzi all’"Arena" di Giletti dome­nica 17 mag­gio, ecco il rie­qui­li­brio chie­sto dall’Agcom con l’invito a Ber­lu­sconi a "Che tempo che fa". Una curio­sità: il pre­si­dente del con­si­glio ini­zia con 3 milioni e 87mila spet­ta­tori e con­clude con 3 milioni e 492mila; l’ex Cava­liere passa da 2 milioni e 123mila a 4 milioni e 197mila.

Insomma, Ber­lu­sconi – pur visi­bil­mente pro­vato — è mal­grado tutto un pezzo di tele­vi­sione, nel senso che lo schermo si riflette per­fet­ta­mente in lui.

E vice­versa. Ma quale rie­qui­li­brio? La "par con­di­cio" non è un duello e, Sal­vini a parte, qual­cuno cono­sce le liste da votare domenica?

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