Gli storici antichi di Roma al tempo della Repubblica ci hanno lasciato testimonianze di alcune unioni matrimoniali volute dai padri e imposte alle figlie per stabilire accordi politici. Tali consuetudini si sono verificate anche in altri periodi più recenti, basti pensare alla storia delle monarchie europee quando i matrimoni sono sempre avvenuti e tuttora avvengono per convenienza politica.

Oggi alla ribalta ci sono le ragazze e ragazzine costrette in molti paesi del mondo, ad esempio sotto il governo dei talebani, a subire la stessa prepotenza da parte delle famiglie che le destinano all’infelicità costringendole ad accettare un marito non scelto da loro e il più delle volte non amato.

 

Tornando alla storia romana, così ricca di voci poetiche e storiche di alto livello e di grande umanità, dobbiamo constatare che imposizioni di matrimoni avvennero di frequente e ciò non depone a favore dell’idea di civiltà comunemente associata alla storia di Roma. Sappiamo che Cesare obbligò la figlia Giulia a sposare Pompeo, in seguito a un patto tra i due dettato dall’ambizione e dal desiderio di prevalere l’uno sull’altro. Questo matrimonio fu l’esito di un’abile strategia matrimoniale a favore di entrambi.

Cesare, tornato dalla Spagna a Roma, stipulò nel 60 a.C. con Pompeo (reduce dalle vittorie contro i pirati e contro Mitridate, re del Ponto) e Crasso (uomo ambizioso e noto per la sua immensa ricchezza) un accordo privato passato alla storia con il nome di «primo triumvirato».

 

Tale accordo, durato circa dieci anni, segnò la fine della repubblica e la premessa della futura guerra civile per la dittatura del più forte. In base ai patti intercorsi fra i tre più potenti uomini della politica romana, furono divise le sfere d’influenza: a Pompeo toccò l’Occidente, a Crasso l’Oriente, a Cesare il consolato per l’anno 59 durante il quale, ignorando del tutto il collega Bibulo, egli fece approvare dal senato una legge agraria - che assicurò ai veterani di Pompeo la distribuzione di terre -  ed anche tutti i provvedimenti presi da Pompeo in Oriente. Per sé ottenne il governo delle Gallie per cinque anni, in qualità di proconsole.

Per rafforzare l’alleanza con Pompeo Cesare aveva costretto la figlia Giulia, nata dalla prima moglie Cornelia, a rompere il fidanzamento con il giovane Servilio Cepione e a sposare Pompeo che aveva 52 anni, mentre lei era molto più giovane. Al fidanzato respinto, in cambio, promise di ottenere per lui la mano della figlia di Pompeo che era legata con un fidanzamento a Fausto, il figlio di Silla.

Ugualmente ispirato da opportunità politiche fu il quarto matrimonio di Cesare con Calpurnia, figlia di Lucio Calpurnio Pisone, che gli successe nel consolato nel 58. Fu con gli appoggi di Pisone e Pompeo che Cesare riuscì ad ottenere l’assegnazione del comando in Gallia.

Catone Uticense denunciò con amarezza questo mercimonio di vincoli nuziali, dichiarando pubblicamente «che in quegli anni si usavano le donne per assicurarsi un posto nella spartizione di province, cariche militari e pubbliche».

 

Pompeo, per sposare Giulia, aveva ripudiato Mucia, sua terza moglie che aveva fama di essere una nota adultera e di averlo tradito anche con Cesare come scrive Catullo nel carme 113. Svetonio, nella “Vita di Cesare” affermò che tra le donne sedotte da Cesare ci fosse anche la terza moglie di Pompeo:

«Pompeo fu accusato da molti di aver accettato per cupidigia di potenza la mano della figlia di quello stesso uomo che egli piangendo continuava a chiamare “Egisto” come l’amante di Clitennestra, moglie di Agamennone, e che l’aveva costretto a ripudiare sua moglie dopo che già gli aveva dato tre figli Gneo, Sesto e Pompea».

 (“Vite dei Cesari”, Cesare 50)

 

Talvolta poteva accadere che il matrimonio funzionasse nonostante non fosse stata una scelta libera della donna. Riguardo a quello di Giulia sappiamo che la giovane fu resa celebre presso i posteri per l’affetto sincero mostrato per quel marito imposto dal padre. Molto noto il ricordo che ne fece Valerio Massimo narrando un episodio come esempio di “Amore coniugale”:

«Quando durante i comizi per la rielezione degli edili le fu riportata a casa la toga insanguinata di suo marito Pompeo Magno, terrorizzata all’idea che egli avesse subito qualche violenza, svenne e fu dall’emozione costretta ad abortire fra terribili doglie, con grave danno per la repubblica: la cui pace non sarebbe stata turbata dalla follia di tante guerre civili, se l’accordo tra Cesare e Pompeo fosse stato conservato dal vincolo di parentela».

(Valerio Massimo, “Detti e fatti memorabili”, IV, 6, 4)

 

Anche altri storici affermarono che fu un bene che lei rimanesse in vita perché il vincolo di parentela evitò lo scontro tra i due ambiziosi uomini a lei vicini, essendo uno il padre e l’altro lo sposo. Velleio Patercolo (19 a.C. ca - 31 d.C. ca) confermò l’importanza che ebbe Giulia finché fu in vita nel mantenere la pace tra il padre e il marito:

«Da quattro anni Cesare si tratteneva nelle Gallie. La morte Giulia, garanzia reciproca di concordia tra Gneo Pompeo e Gaio Cesare, a causa della loro rivalità per la supremazia del potere, scatenò una lotta politica tra loro e degenerò a tal punto che non se ne vedeva né la fine né una misura fino all’uso delle armi e la strage tra cittadini».

(“Historiae ad Vinicium”, II, 47)

 

Anneo Floro, storico e poeta romano di origini africane (70/75 d.C. ca - Roma, 145 ca), nella sua opera, riassunto di circa 700 anni di guerre romane da Romolo ad Augusto, espresse la medesima considerazione:

«Dopo la morte di Giulia, figlia di Cesare che, sposata a Pompeo, conservava col patto del matrimonio la concordia tra genero e suocero, subito balzò fuori la rivalità. Infatti a Pompeo era sospetta la potenza di Cesare e a Cesare pesava l’importanza di Pompeo. Il primo non sopportava uno pari a sé, né il secondo uno superiore».

(“Bellorum romanorum libri”, II, 2, 13)

Lucano nel proemio del suo poema scrisse che la prematura morte di Giulia cancellò l’alleanza politica e la parentela fra Cesare e Pompeo e ciò fu una delle cause del conflitto:

 

[...] Se i fati ti avessero dato un più lungo

soggiorno nella luce, tu sola potevi trattenere

da una parte lo sposo furente, dall’altra il padre

e strappato loro il ferro congiungere le mani armate,

come le frapposte Sabine congiunsero generi e suoceri.

La tua morte infranse la lealtà e permise ai capi la guerra.

Li ha spronati la rivalità: tu, o Pompeo, temevi

che le nuove gesta di Cesare oscurassero i tuoi trionfi.

(“Farsaglia”, I, 114-119)

 

Lucano inoltre immaginò che Giulia morta apparisse in sogno a Pompeo e lo rimproverasse di essere passato subito a nuove nozze unendosi a una donna che lo avrebbe portato alla rovina. Le accuse che la sua ombra scaglia contro Cornelia sono dure, non la considera nuova moglie del suo Pompeo ma la chiama «concubina» perché ritiene di essere ancora lei la legittima sposa:

 

Al tempo del nostro connubio, o Pompeo, guidasti trionfi

gioiosi: la fortuna è mutata con il talamo, e la concubina

Cornelia, condannata dal fato a rovinare potenti mariti.

Ti ha sposato presso il mio rogo ancora tiepido,

costei ora si avvinghi alle tue insegne, nelle guerre, sui mari

purché io possa interrompere i vostri sonni malcerti,

e non resti il tempo disponibile al vostro amore,

ma Cesare occupi i vostri giorni e Giulia le notti.

(“Farsaglia”, III, 20-27)
 

Poi gli profetizzerà la guerra civile e la sua morte che lo riporterà a lei:

La guerra civile ti farà mio.

(“Farsaglia”, III, 34)

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