di Andrea  Bettinelli

Crema, 20 aprile 2020

 

Sono  un infermiere  del  Servizio  Sanitario  Nazionale  Italiano. 

Lavoro  presso  l’Unità  Operativa  del Pronto  Soccorso  dell’Ospedale  di  Treviglio,  in  provincia  di  Bergamo  e  sono  un  cittadino  di  Crema.

Ero  in  turno  quando  il  21  febbraio  la  stampa  italiana  riportò  di  alcuni  pazienti  risultati  positivi  al COVID-19  presso  Codogno,  una  cittadina  del  lodigiano  distante  appena  una  ventina  di  km  dal  mio ospedale  e  dalla  mia  città.

Da  almeno  un  mese  l’epidemia  era  stata  dichiarata  emergenza  nazionale,  dopo  che  l’OMS  aveva lanciato  l’allarme  mondiale.

Fino  a  quel  giorno  ci  pareva  una  vicenda  lontana  che  non  aveva  ancora  toccato  le  nostre  vite.

Ricordo  che  parlai  con  i  colleghi  in  turno  dei  casi  di  Codogno,  la  minaccia  ci  apparve  più  vicina  di quanto  fino  ad  allora  potevamo  percepire,  cominciammo  a  confrontarci  su  come  proteggerci  e come  gestirla  ma  mai  avremmo  potuto  immaginare  quello  che  avremmo  vissuto  nei  mesi successivi.

 Fummo travolti.

Nelle  settimane  seguenti  l’epidemia  dilagò. 

Prima  nel  lodigiano,  poi  nel  cremonese,  a  Crema,  dove vivono  i  miei  genitori,  nel  bresciano  e  nel  bergamasco,  a  Treviglio,  dove  lavoro.

Migliaia  di contagiati,  migliaia  di  morti.

 In  quei  giorni  il  Pronto  Soccorso  scoppiava,  i  pazienti  sulle  barelle  erano  ovunque,  le  persone stavano   male,  la  fame  d’aria,  gli  sguardi  carichi  di  paura  e  noi  che  faticavamo  a  reggere l’impressionante  carico  fisico  ed  emotivo  di  prestare  cure  ed  assistenza  a  chiunque.

Cominciarono ad  ammalarsi  anche  i  colleghi,  medici,  infermieri,  personale  ausiliario  e  davvero  ci  sentimmo  soli.

È  in  momenti  come  questi  che  la  solidarietà  fa  rinascere  la  speranza.

Quando  un  popolo  invia  in soccorso  i  propri  medici  ed  infermieri  a  migliaia  di  chilometri  di  distanza,  è  in  quel  momento  che comprendi  il  concetto  di  cosa  sia  la  solidarietà  e  di  come  non  esistano  frontiere  ma  soltanto un’umanità.

Il  22  marzo  2020,  36  medici  e  15  infermieri  cubani  sono  atterrati  all’aeroporto  italiano  di  Malpensa (MI),  per  arrivare  a  Crema  e  dare  il  loro  eccezionale  contributo  nell’emergenza  sanitaria,  allestendo un  ospedale  da  campo.

A  Crema,  nella  mia  città.

Quando  mio  padre  mi  ha  inviato  la  foto  della Brigata  “Henry  Reeve”  in  arrivo  a  Crema  mi  sono  commosso.

Lo  dico  senza  alcuna  retorica  o esagerazione.

Mi  sono  commosso. 

Ho  visto  i  loro  volti,  i  loro  abiti  leggeri,  i  loro  sorrisi.

Persone  che hanno  lasciato  a  migliaia  di  chilometri  di  distanza  le  loro  case  e  le  loro  famiglie  per  mettere  a disposizione  di  una  popolo  in  difficoltà  le  loro  competenze,  la  loro  professionalità,  la  loro  passione.

È  questa  la  solidarietà,  mi  sono  detto. 

È  questo  l’internazionalismo. 

Quello  autentico. 

I  colleghi  di Crema  che  ci  lavorano  a  stretto  contatto  mi  riferiscono  che  sono  professionisti  sensibili,  abili, umanissimi. 

I  pazienti  li  apprezzano,  chiunque  apprezza  un  aiuto  sincero  in  un  momento  di difficoltà. 

Sono  bravi  e  preparati,  hanno  un  grande  spirito  di  adattamento  ed  i  pazienti  che  sono stati  assistiti  si  sono  trovati  molto  bene,  sopratutto  per  l’umanità,  perché  i  medici  e  gli  infermieri cubani  si  stanno  dimostrando  particolarmente  attenti  non  solo  alla  “malattia”  ma  sopratutto  alla persona. 

Scrivo  questa  lettera  perché  voglio  ringraziare  ogni  medico,  ogni  infermiere  cubano  che  ci sta  aiutando  in  questo  difficile  momento,  voglio  ringraziare  il  popolo  cubano  che  si  è  sempre dimostrato  un  popolo  generoso  e  solidale.

Spero  che  non  ce  ne  sia  mai  bisogno  ed  in  questo  momento  vale  come  un  sincero  ringraziamento ma se mai domani dovreste  avere  bisogno  del  nostro  aiuto  noi  ci  saremo.

È  giunto  il  momento  di  eliminare  l’odioso  e  criminale  embargo  che  stringe  d’assedio  l’isola  di  Cuba da  quasi  60  anni.

So  che  in  questi  giorni  anche  Cuba  sta  affrontando  l’emergenza  Coronavirus,  sono  solidale  con  voi  e confido  che  il  vostro  sistema  sanitario  pubblico  ed  universale  saprà  fronteggiarlo  al  meglio. 

Isolare  i focolai,  individuare  la  catena  di  contagio,  assistere  sin  dal  primo  giorno  le  persone  che  si  ammalanoè  quanto  di  più  prezioso  ed  efficace  possa  fare  un  sistema  sanitario  per  contenere  e  sconfiggere l’epidemia.

 So,  perché  lo  vivo,  che  non  è  facile  adattarsi  ad  un  nemico  invisibile  come  questo  virus. 

Modificare la  nostra  socialità  ed  il  nostro  modo  di  vivere,  considerare  chiunque  un  potenziale  portatore  e quindi  limitare  al  massimo  i  contatti  ed  i  rapporti  sociali,  indossare  sempre  le  mascherine  e  lavarsi spesso  le  mani  quando  dobbiamo  uscire  è  diventato  il  nostro  nuovo  modo  di  rapportarci  al  mondo ed  è  il  modo  in  cui  sconfiggeremo  questo  singolo,  feroce,  filamento  di  RNA.

Spero  che  questo  insegni  a  noi  esseri  umani  un  nuovo  modo  di  rapportarci  agli  altri,  di  essere solidali  tra  noi,  di  essere  generosi  e  non  schiavi  dell’economia  o  del  profitto  perché  la  vita  è preziosa  ed  i  rapporti  umani  sono  quanto  di  più  al  mondo  rendano  questa  vita  degna  di  essere vissuta. 

Il  livello  di  una  società  si  misura  in  base  a  quanto  questa  sia  in  grado  di  prendersi  cura  delle persone  più  fragili  della  società. 

Gli  anziani,  i  bambini,  i  malati. 

Cuba  sta  dimostrando  al  mondo  di essere  una  grande  e  generosa  società. 

Grazie  ancora,  vinceremo  insieme  questa  battaglia.

Hasta  la  victoria  siempre

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