Di Giampaolo Ceci

La democrazia si fonda sul principio che sia la maggioranza a governare mediante una partecipazione diretta e fattiva alle decisioni comuni. Col passare del tempo l’originario concetto di democrazia mostra difetti ed incongruenze che consigliano di approfondire se non addirittura rivedere la sua stessa definizione.
Cerchiamo di capirci con degli esempi. Supponiamo che al termine di un pranzo si debba decidere se mangiare un duro torrone o un morbido pan di Spagna. Si fa per alzata di mano? Una testa, un voto senza discriminazioni tra maschi e femmine, tra bambini inconsapevoli e vecchietti senza denti? Tutti uguali? Una testa un voto garantisce la democrazia, ma garantisce anche la soluzione migliore?
Immaginiamo ora di essere attorno ad un tavolo operatorio. Un chirurgo, un aiuto, un anestesista, la caposala, tre infermiere. Un imprevisto. Che si fa? Si mette ai voti? Al più, il chirurgo potrà confrontarsi col suo aiuto, ma non di più. Nessuno in sala ha la possibilità di dare un contributo serio alla decisione urgente che deve essere presa. Il chirurgo è solo con le sue conoscenze e con la sua caratterialità.
Alcuni esempi di democrazia e di apparente “dittatura”; di decisioni condivise e decisioni non partecipate, prese sulla base di elementi assolutamente soggettivi e personali.
Non sarebbe stato meglio che a decidere “dittatorialmente” su cosa mangiare fosse stata la padrona di casa che avrebbe capito subito che bisognava tenerne conto anche delle esigenze prevalenti dei vecchietti senza denti e dei bimbi, anche se numericamente non rappresentativi? È stato un bene fare scegliere al chirurgo o sarebbe stato meglio che le decisioni in sala operatoria fossero state prese consultando anche la caposala e gli infermieri e magri anche i parenti, accettando il rischio che nel frattempo il paziente potesse morire?
Era necessario obbligare tutti al voto per essere certi che la decisione fosse rappresentativa? Ecco perché ho detto che il concetto di democrazia non è più così scontato.
La componente “conoscenza” in società molto complesse è divenuta preponderante nell’analisi delle migliori soluzioni, al punto da mettere in discussione le stesse maggioranze con cui le decisioni vengono invece prese.
Gli esempi mostrano l‘annosa dicotomia tra i concetti di la rappresentatività e di competenza. Come questi concetti si possono conciliare in una democrazia partecipata, dove gli elettori medi non possono valutare compitamente decisioni tecniche complesse che richiedono studi specifici?
Del resto il principio della maturità e della consapevolezza con cui si esprime il voto , nelle democrazie moderne, non è nuovo.
Già oggi, infatti, anche nella nostra matura democrazia viene vietato ai bimbi e agli interdetti di votare, proprio perché li si ritiene ancora inconsapevoli e condizionabili.
Ritornare quindi ad un voto di censo? Sotto ad una soglia minima di conoscenze o quoziente d’intelligenza non si può partecipare al voto? O invece, i cittadini possono votare solo su questioni generali che mettano tutti nelle condizioni di capire su cosa si sta votando delegando ai loro eletti le decisioni più complesse?
Come se non bastasse nasce anche un altro problema: fino a quale punto i cittadini comuni possano democraticamente “battersi” per modificare decisioni, sebbene condivise dai loro delegati, quando sembrano assolutamente ingiuste o contrarie ai loro interessi?
Qual'é il limite dell’uso del dissenso per contrastare le decisioni che non si condividono o che sembrano palesemente astruse o sopraffattorie delle minoranze che le subiscono, magari solo perché non possono essere compre per oggettivi limiti cognitivi?
Come si vede la questione si espande molto. Resta il fatto che l’attuale modello democratico garantisce che le decisioni siano prese democraticamente dalla maggioranza ma non più che siano le più efficaci per la soluzione dei problemi contingenti. Il modello democratico quindi dovrebbe essere affinato e rivisto?
La democrazia partecipata e consapevole non può più esistere in una società complessa? Si deve andare verso un governo di soli delegati che siano in grado di comprendere le variabili economiche e tecnologiche.
Il politico tuttologo e lungimirante che faceva ricorso principalmente all’antico buon senso è definitivamente morto? E se no, come si può conciliare la sua figura nel processo democratico che richiede sempre più analisi specialistiche che richiedono approfondite conoscenza scolastiche? La discussione è aperta.
 

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