La lettura del programma Etihad per Alitalia, osannato con parole trionfalistiche dal ministro Lupi e dai fautori dell’accordo, ingenera al contrario forti dubbi sulla sua bontà. In realtà più che di accordo si dovrebbe parlare di una annessione della compagnia italiana da parte di quella araba che, anche se col 49% del capitale in ossequio formale all’antitrust, comanderà il gruppo. E’ indicativo che si parli, come presidente, di Montezemolo, manager inetto, ma bravo nelle pubbliche relazioni e ad eseguire le direttive altrui. Per i prossimi 5 anni Alitalia non avrà nessun investimento, poiché dovrà ripianare il bilancio prima di poter avviare quella che, con linguaggio sibillino, viene definita la “ristrutturazione” (investimenti o che altro?). Tutto lascia quindi prevedere che la compagnia italiana, per il breve futuro almeno, è destinata a subire nuovi tagli occupazionali, se non funzionali e che l’attenzione verso di essa e anche verso gli scali di Roma e Milano sarà tutta rivolta a contenere i costi, piuttosto che a prevedere sviluppi.

Etihad non è una grande compagnia (come numero di aerei è leggermente inferiore ad Alitalia) e probabilmente dispone di consistenti risorse liquide derivanti non tanto dalla gestione aeronautica, ma dai proventi del petrolio o di speculazioni finanziarie. Per la prospettiva della nuova società Ipotizza margini di redditività in parte inconsistenti o banali come i biglietti venduti dal tabaccaio, l’accesso telematico alla rete viaggiatori e altre amenità del genere, sviluppi di mercato tutti da verificare, come l’aumento dei volumi del traffico turistico collegato al marchio Italia e di quello dei collegamenti Italia Europa Emirati (Abu Dhabi) e, infine, un posizionamento di nicchia nella fascia di lusso dei viaggi intercontinentali. Forse un po' pochino, di fronte, ad esempio, ad un’Air France che in questi giorni offre Roma Città del Messico,andata e ritorno, a 600euro.ìì

La mia impressione è che i cosidetti capitani coraggiosi voluti da Berlusconi non vogliano il rilancio industriale della compagnia, ma, senza guardare troppo per il sottile, soltanto un socio finanziariamente forte che li copra o li ripaghi dei debiti che hanno sottoscritto...poveri dipendenti Alitalia...e povera Italia...La mia impressione è che i cosidetti capitani coraggiosi voluti da Berlusconi non vogliano il rilancio industriale della compagnia, ma, senza guardare troppo per il sottile, soltanto un socio finanziariamente forte che li copra o li ripaghi dei debiti che hanno sottoscritto...poveri dipendenti Alitalia...e povera Italia..La netta impressione è che i cosidetti capitani coraggiosi, voluti e foraggiati da Berlusconi, siano in realtà non tanto interessati al rilancio industriale della compagnia, ma, senza guardare troppo per il sottile, soltanto ad avere o vendere ad un socio finanziariamente forte che li copra o li ripaghi della fallimentare gestione di questi anni e dei debiti che ha procurato.

Insomma il sospetto che dietro l’accordo col gruppo arabo si venda una nuova grande illusione per il destino di Alitalia è più che fondato. I dipendenti  hanno ragione ad avere dei dubbi e muoversi di conseguenza. Anche loro hanno forse qualche colpa sulla gestione passata della società. Ma non c’è dubbio sul fatto che la crisi di Alitalia come compagnia di bandiera, origini, in tempi più lontani, dalla gestione clientelare dei governi democristiani e, oggi, segni il fallimentodi una delle tante dissennate privatizzazioni italiane. I dipendenti, come sempre, sono chiamati a pagare per tutti. Usano mezzi di lotta molto forti; sono tacciati di violenza. Ma licenziare 2mila persone e gettare loro e le loro famiglie nella disperazione, non è violenza?

Leonardo Caponi

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