di Fabrizio Ricci

Da una parte, una grande acciaieria, insediata in una delle principali città industriali italiane. Dall’altra, un oleificio di un piccolo paese della campagna umbra, Campello sul Clitunno. Cos’hanno in comune la tragedia della ThyssenKrupp di Torino e quella della Umbria Olii, oltre naturalmente alle vite dei lavoratori, 11 in tutto, che in quei luoghi sono state portate via?

"Le due vicende sono completamente diverse", risponde Norberto Piccinini, professore di Tecnica della sicurezza ambientale e chimica industriale presso il dipartimento di Scienza dei materiali al Politecnico del capoluogo piemontese – oggi in pensione – e soprattutto consulente dell’accusa, sia nel processo Umbria Olii che in quello ThyssenKrupp.

"Quello che cambia oltre al tipo di incidente è il contesto – spiega Piccinini –, perché a Torino siamo in un’importante azienda metalmeccanica, dove si produce acciaio e dove fino a un anno prima del fatto lavoravano oltre 700 persone. A Campello invece le vittime sono quattro operai di una ditta esterna impegnati a svolgere dei lavori in un’azienda alimentare. Nel primo caso, c’era consapevolezza del rischio di incendi, seppure modesti, che si sviluppavano frequentemente nel sito. Nel secondo questa consapevolezza nei lavoratori della Manili mancava, anche se il titolare dell’azienda aveva più volte dichiarato, anche nel processo in corso, di essere a conoscenza della presenza di esano, un solvente infiammabile, nell’olio di sansa contenuto nei silos".

Professore, cosa pensa della sentenza di primo grado di Torino? Per la prima volta si parla di omicidio volontario per un incidente sul lavoro.

Bisogna stare attenti a dirla tutta: la condanna è per omicidio volontario con dolo eventuale. Questa seconda parte se la dimenticano tutti, ma è fondamentale. Perché una cosa è ammazzare qualcuno con un colpo di pistola, un’altra è essere responsabili di omicidio per essersi assunti consapevolmente il rischio di un incidente sul lavoro e non aver fatto nulla per evitarlo.

In base alla sua lunga esperienza nei processi per morti sul lavoro, crede che la sentenza di Torino farà scuola?

Io credo di sì. Anche perché solamente così chi viene giudicato colpevole di una morte sul lavoro è chiamato davvero a pagarne le conseguenze. Lei ha mai visto finire in galera chi guida ubriaco e investe un pedone sulle strisce, o addirittura sul marciapiede? Io no, ma credo che sarebbe giusto che ci finisse. E per gli incidenti sul lavoro è la stessa cosa. I responsabili, anche se condannati, finiscono molte volte per cavarsela perché l’omicidio colposo cade in prescrizione, a causa della lunghezza dell’iter processuale. È successo da poco in un altro caso in cui ero consulente, un incidente mortale con 3 vittime e 5 ustionati, avvenuto nel 2001 in un lanificio di Biella. Il datore di lavoro è stato condannato, ma il reato è caduto in prescrizione.

Teme che possa finire così anche il processo per la tragedia della Umbria Olii?

Mi auguro di no, ma credo che questa possibilità non sia da escludere, considerato anche che il primo grado non si è ancora chiuso e che l’appello, che si terrà a Perugia, non possiamo sapere quando sarà calendarizzato.

È vero che siete stati nuovamente denunciati da Giorgio Del Papa, il titolare della Umbria Olii?

Sì, questa volta una denuncia penale per violazione della privacy, perché abbiamo riportato in un congresso internazionale il caso di Campello. Denuncia che arriva dopo una causa civile con richiesta di risarcimento di 9 milioni di euro per la nostra perizia sull’incidente. È la prima volta nel corso della mia lunga carriera che mi trovo in una situazione simile. 

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