di Felice Piersanti

 

L'argomento ricorrente quando si parla di sanità, anche durante questa campagna elettorale, è quello della riduzione della spesa, dell'introduzione di nuovi ticket e perfino della necessità di porre fine al carattere universalistico del servizio. L'aspirazione a un servizio sanitario nazionale e la lotta per realizzarlo vengono da lontano. Nel 1942 e nel 1943, nella Londra bombardata e la fine della guerra ancora lontana, uno studioso vicino ai laburisti, Beveridge, scrisse un libretto sulla istituzione in Gran Bretagna di un servizio sanitario nazionale. Un libretto che le truppe alleate diffusero nei territori appena liberati, esempio affascinante di una politica seria e motivata. Ma la prospettiva di una sanità diversa era già presente nella lotta dei popoli contro il nazifascismo. La Repubblica partigiana della Valdossola, nel breve periodo della sua esistenza, elaborò a grandi linee un progetto di Servizio sanitario nazionale.

 

Nel 1957, in uno straordinario convegno, ora dimenticato, la Cgil elaborò la prima proposta per l'istituzione di unServizio sanitario nazionale in Italia. Rileggendo oggi il progetto, presentato da tre straordinari segretari, Novella, Santi e Foa, sorprende, a distanza di tanti anni, il suo carattere di modernità e d'innovazione.

La rivendicazione del diritto alla salute fu fortemente presente nelle lotte operaie e studentesche del Sessantotto, con un forte accento sulla prevenzione e con le parole d'ordine della non delega e della validazione consensuale. L'insegnamento di Giulio Maccacaro è ancor vivo nel ricordo di coloro che parteciparono a quelle lotte.

 

In realtà, la lotta per un pagamento diverso delle prestazioni sanitarie, non da parte del malato nel momento del bisogno, ma del più abbiente per il più povero, del sano per il malato e per quando si ammalerà, del giovane per l'anziano e per quando sarà anziano precede la proposta di Beveridge e supera perfino gli schieramenti politici tradizionali, perché si afferma in Germania con Bismark alla fine dell'Ottocento sotto forma di assicurazione sanitaria per i lavoratori, che poi si estenderà in quell'assicurazione obbligatoria per tutti i cittadini, ancora oggi in vigore in paesi importanti quali la Germania, la Francia e la Svizzera ed è l'obiettivo finale del piano di Obama per la sanità: nel 2014 non dovrebbero esserci più negli Usa cittadini non assicurati contro le malattie.

 

Queste sono le radici profonde, più che centenarie, dalle quali è nato il nostro Servizio sanitario nazionale, che dev'essere difeso saldamente anche durante l'attuale campagna elettorale.

Ma il mondo, e anche la sanità, cambiano rapidamente. Difendere i principi del Servizio sanitario nazionale non significa difendere l'attuale legislazione sanitaria, e in particolare il testo approvato alla fine del secolo scorso, che ha introdotto il principio delle Aziende sanitarie. Nella concreta realtà della situazione politica italiana l'aziendalizzazione si è trasformata nella più indegna delle lottizzazioni. In molte regioni la nomina di direttori generali lottizzati ha trasferito nella sanità le peggiori caratteristiche della pratica politica: corruzione e favoritismi.

 

Nel frattempo, negli ultimi venti-trent'anniin medicina è avvenuta una trasformazione epocale. L'informatizzazione, l'introduzione di tecniche sempre più complesse e sofisticate, gli studi sul genoma, l'ingegneria clinica, la robotica e la microrobotica hanno rivoluzionato la diagnosi, la terapia e la riabilitazione, ed hanno costruito scenari completamente nuovi, determinando tra l'altro un aumento impressionante della durata della vita. E' un mondo complesso, globalizzato, nel quale la ricerca di base e la ricerca clinica assumono un ruolo di primo piano. Con questo mondo la politica deve confrontarsi, assicurandone l'indispensabile autonomia, garantendo il libero sviluppo della ricerca, ma nello stesso tempo esercitando il suo compito di governo, che consiste nell'assicurare che il rinnovamento avvenga nell'interesse della salute dei cittadini e non dei profitti delle multinazionali.

 

Non sono certo che sia possibile, in tempi brevi, un cambiamento così radicale della politica sanitaria italiana, ma intanto se si garantisce la selezione dei migliori senza interferenze politiche (ad esempio, oggi i primari sono nominati dai direttori generali), se si lotta contro la corruzione, se si impedisce la discriminazione dei cittadini malati in base al censo, se si assicura il controllo dei cittadini sul funzionamento delle strutture sanitarie, ci si può avviare verso il rinascimento della sanità italiana.

 

Fonte: Il manifesto

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