Da “Lassa Gì..! Foglio del più e del meno che esce quando glie pare e quando s’arcorda” di Perugia

Parlare di una persona scomparsa non è mai una cosa semplice, soprattutto se fatto sulle pagine di un “giornaletto” nato quasi per scherzo e con il dichiarato intento di far sorridere il lettore.
Ma se il soggetto in questione è Paolo Vinti, che se ne è andato una grigia, piovosa e tristissima domenica di novembre, allora il mio compito mi appare senza dubbio meno gravoso. Paolo Vinti è stato, per quello che ho visto e sentito nei tanti anni che ho frequentato Piazza della Repubblica, una specie di cantastorie, un “bardo” della politica. Uno di quei personaggi medievali che giravano per il mondo raccontando storie vere o verosimili e che, sotto sotto, pungolavano o deridevano anche i potenti. La differenza, ininfluente in sostanza, è che il popolo e i “potenti” passavano da lui, e che era lui a “dargli” il mondo.

“Ciao Tizio! Domani si vince a Mosca!”, “Ciao compagno Caio! Si vince in Birmania e in Congo!”, “Domenica elezioni in Brasile…”. Ecco, il mondo portato alla gente come una storia affascinante. E poi un “ciao” a tutti… “un saluto” alla stampa, alla Rai, al sindacato, al Prefetto, al segretario, al sindaco, al senatore, a Umbria Jazz, ai compagni, però, doveva sembrare quantomeno immeritato o gravoso. Quanti ne ho visti tirare dritto e ignorare quel “un saluto, un’emozione!”, voltare la faccia da un’altra parte e accelerare il passo, come a sentirsi in imbarazzo e scrollarsi di dosso quell’aggettivo, “compagno”, dato da uno che “compagno” lo era davvero. Quante volte ho avuto l’impressione che le persone chiamate a gran voce da Paolo vivessero quel momento come un “peso”, con un senso di colpa nemmeno troppo velato. Ricordo che ad avvicinarlo ai tavoli del bar erano spesso i più giovani, studenti, operai, mentre quelli che contavano o avevano contato si limitavano, raramente, a rispondere al suo saluto con un gesto appena accennato. Consapevolezza di non essere all’altezza? Fastidio per quello che Paolo rappresentava? Forse. Certo, come si suol dire… tra il dire e il fare… tra militanza e millantare… tra la piazza e la poltrona… c’è di mezzo il cuore. E quello di Paolo era un cuore di piazza, era un cuore di lotta, era un cuore di cultura unito alla militanza, era un cuore di vero “compagno” e “guerrigliero”.

Ho letto dai resoconti dei giornali i fiumi di parole, giustificate, spese per Paolo Vinti nel giorno della commemorazione. Ho apprezzato e mi sono commosso, nel vedere le immagini in tv. Ma ho provato un gran senso di tristezza nell’associare i volti alle parole… e nell’associare le lacrime (!) a quel guardare da un’altra parte.
Detto questo non mi rimane che confessare che Paolo Vinti mi mancherà, come mancherà a tutti coloro che hanno a che fare con Piazza della Repubblica. Da diversi giorni non risuona più la sua voce profonda che annuncia la vittoria in qualche misterioso angolo del mondo o la sconfitta del governo, prima o poi. E anche io, abituato a salutare spesso gli amici con la sua inconfondibile cadenza, ho smesso di fargli il verso. Mi perdonerà Paolo se lo farò oggi, per un’ultima volta, da queste pagine: “Ciao Paolo! Ciao… ciao… ciao… un saluto, un saluto… con emozione altissima!”.

Grifotriste
 

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