di Massimo Franchi

Quando si trattò di sal­vare l’Electrolux, mul­ti­na­zio­nale sve­dese che aveva chie­sto un taglio netto del sala­rio del 20 per cento, Mat­teo Renzi decise di modi­fi­care il decreto Lavoro e con un emen­da­mento decise di stan­ziare 15 milioni per finan­ziare la defi­sca­liz­za­zione dei con­tratti di soli­da­rietà, da anni cavallo di bat­ta­glia della Fiom. Il rispar­mio sul costo del lavoro per l’azienda fu lo stesso: l’Electrolux accettò e la firma dell’accordo avvenne diret­ta­mente a palazzo Chigi lo scorso 15 mag­gio. In pompa magna le foto­gra­fie ritras­sero il pre­si­dente del Con­si­glio e Mau­ri­zio Lan­dini che scher­za­vano sor­ri­denti e l’operaia Elisa che siglava l’accordo come Rsu di Forlì indos­sando la maglietta "Resi­ste­remo un minuto più di Electrolux".

Natu­rale che per Terni, tutti – Renzi in testa – si aspet­tas­sero un lieto fine uguale. Da giorni le voci su un emen­da­mento al Jobs act che aiu­tasse la trat­ta­tiva erano insi­stenti. La prima delle tre "T" – assieme a Ter­mini Ime­rese e Taranto — citate da Renzi nell’ora e 46 minuti di con­cer­ta­zione con i sin­da­cati di "cui biso­gna subito occu­parsi insieme".

Per que­sto motivo la trat­ta­tiva in que­sti ultimi giorni è stata gestita non solo dal mini­stero dello Svi­luppo ma anche dal sot­to­se­gre­ta­rio alla pre­si­denze Gra­ziano Del­rio, in diretto con­tatto con Mat­teo Renzi. Il clima pareva total­mente favo­re­vole. Men­tre la Fiom era in piazza a Milano, dagli studi di Agorà il segre­ta­rio nazio­nale della Fim Cisl Marco Ben­ti­vo­gli pro­vo­cava in diretta tv Mau­ri­zio Lan­dini: "Voi siete la mac­chietta del sin­da­cato, invece che pen­sare ad occu­pare le fab­bri­che, fir­miamo l’accordo su Terni". Lan­dini non rac­co­glieva la pro­vo­ca­zione: era con­scio che la vicenda Ast fosse la nuova fron­tiera: "Se passa l’idea che si tagliano i salari, avremo la fila di mul­ti­na­zio­nali che ce lo chie­de­ranno". È stato buon profeta.

Nella notte fra mer­co­ledì e gio­vedì, dopo giorni di incon­tri infor­mali, di moral sua­sion nei con­fronti dei ver­tici tede­schi, di pres­sing di un’intera regione e di un ter­ri­to­rio che vedono nelle sto­ri­che accia­ie­rie un baluardo intoc­ca­bile per dare un futuro a tutta l’Umbria, il governo ha infatti pro­dotto una misera pro­po­sta di media­zione. Altro che coni­gli dal cilin­dro: in pra­tica era la pro­po­sta azien­dale – azze­ra­mento di tutti gli accordi azien­dali che pesano per un 20 per cento sul sala­rio – con la sola modi­fica del recu­pero dei paga­menti di straor­di­nari e dome­ni­che. Lo stesso Del­rio l’ha illu­strata sepa­ra­ta­mente a impresa e sin­da­cati. Anche Fim Cisl e Uilm l’hanno imme­dia­ta­mente respinta, men­tre per­fino l’azienda aveva qual­cosa da ridire sul recu­pero dei festivi.

La cosa più inac­cet­ta­bile per i sin­da­cati – con in testa la Fiom – era l’idea che il calo degli esu­beri da 550 a 290 avve­nisse senza alcuna spe­ranza di cambiamento. "In pra­tica avremmo dovuto fir­mare oggi per dei licen­zia­menti che sareb­bero avve­nuti fra due anni — spiega Gianni Ven­turi della Fiom Cgil – una cosa mai vista in tanti anni di ver­tenze, accet­tata senza pro­blemi dallo stesso governo".

La trat­ta­tiva era defi­ni­ti­va­mente rotta. Il governo si limi­tava sola­mente a chie­dere all’azienda di rinun­ciare "ad atti uni­la­te­rali". Per tutta rispo­sta la Ast ha fatto par­tire la pro­ce­dura di mobi­lità dopo qual­che ora. Come dire: "Non vi ascol­tiamo neanche".

Condividi