di Daniela Preziosi

Il pre­mier Renzi trat­terà con la sua mino­ranza interna e riscri­verà la delega sul jobs act in modo pota­bile per le mino­ranze Pd? Oppure lunedì in dire­zione sce­glierà lo scon­tro fron­tale e pie­gherà il dis­senso alla disci­plina di par­tito, cor­rendo il rischio di un cam­bio di mag­gio­ranza per por­tare a casa la sua riforma? Come sem­pre, la rispo­sta la sa Renzi e solo Renzi. E forse al momento non la sa nean­che lui. Ieri ha avuto un’altra impe­gna­tiva gior­nata new­yor­kese. Non che non sap­pia minuto per minuto quello che suc­cede a casa. Il pre­si­dente ha anche letto il duro edi­to­riale di Fer­ruc­cio De Bor­toli sul Cor­riere della sera. Ai cro­ni­sti che lo seguono con­se­gna una replica gelida: "Auguri e in bocca al lupo al Cor­riere per la nuova gra­fica». A dar­gli man forte Ser­gio Mar­chionne, che incon­tra al Coun­cil of Foreign Rela­tions: «A me que­sto ragazzo piace, un grande corag­gio», dice di lui; e quanto al gior­nale di cui è azio­ni­sta: «Non lo leggo normalmente".

Ma è il jobs act la prima grana che Renzi dovrà affron­tare al ritorno, domani. "Lunedì pre­sen­terò in dire­zione le mie idee", poi "ci sarà un dibat­tito, si discute e alla fine si decide, si vota e si fa tutti nello stesso modo, si va tutti insieme", spiega ai gior­na­li­sti. Sem­bra un’apertura al dia­logo. Ma poi parla al Coun­cil of Foreign Rela­tions, descrive la sua "rivo­lu­zione" e dà una zam­pata ai com­pa­gni di par­tito: "Le per­sone della sini­stra, lea­der della mia parte poli­tica e non della destra, pen­sano che va ad ogni costo man­te­nuto lo sta­tuto dei lavo­ra­tori e che que­sto è l’unico modo per essere uomini di sini­stra", sul lavoro "biso­gna cam­biare l’approccio".

Quasi con­tem­po­ra­nea­mente a Roma, al senato, la legge delega ini­zia il suo iter. La illu­stra Mau­ri­zio Sac­coni, ex mini­stro ber­lu­sco­niano, oggi nelle file di Alfano, oggi il miglior ispi­ra­tore della "rivo­lu­zione" ren­ziana. Il para­dosso è tale che il rela­tore si cava lo sfi­zio di citare il labu­ri­sta Blair per elo­giare le nuove norme e la can­cel­la­zione dell’art.18: "values don’t change. But times do", i valori non cam­biano ma cam­biano i tempi. Alla fine il senato respinge la pre­giu­di­ziali di costi­tu­zio­na­lità di Sel e 5 Stelle.

Il jobs act è dun­que uffi­cial­mente par­tito. Ma a casa dem regna la con­fu­sione. La posi­zione del Pd sarà decisa lunedì in dire­zione. Ma per le mino­ranze la situa­zione è sem­pre più sco­moda. Al senato in qua­ranta hanno pre­sen­tato sette emen­da­menti che costi­tui­scono, nelle inten­zioni, un’offerta di armi­sti­zio. I ren­ziani li hanno defi­niti "veti inac­cet­ta­bili". Ma nello stretto cer­chio del segre­ta­rio c’è anche chi punta a smus­sare gli angoli. Basta il no di dieci sena­tori per far scat­tare il ’soc­corso azzurro’ dei voti for­zi­sti, che in pra­tica apri­rebbe la strada a un cam­bio di mag­gio­ranza. A Palazzo Madama l’area Civati ha sette voti. Som­mati a qual­che per­so­na­lità di area ’Chiti’ o di area rifor­mi­sta — quella in mag­giore dif­fi­coltà se Renzi invo­casse il voto secondo disci­plina — baste­reb­bero ad aprire la crisi politica.

Ma ieri gli ex ber­sa­niani hanno dovuto pas­sare la gior­nata a smar­carsi dalle pro­vo­ca­zioni di Beppe Grillo. Sul suo blog Aldo Gian­nuli, con­su­lente del movi­mento dato sem­pre più nelle gra­zie del capo, offre l’abbraccio mor­tale agli espo­nenti della mino­ranza Pd: "Renzi sta riu­scendo dove non sono riu­sciti Monti e Ber­lu­sconi, sta trat­tando la Cgil come uno strac­cio per la pol­vere: com­pa­gni del Pd cosa aspet­tate ad occu­pare le sedi e far sen­tire la vostra voce?". La bat­ta­glia sull’art.18, con­clude, è "l’occasione per man­dare a casa Renzi". Per­sino "com­pa­gni", li chiama. Una pol­petta avve­le­nata. Da giorni per tran­sa­tlan­tici di camera e senato cir­cola la vul­gata che la bat­ta­glia sulla legge delega è solo una scusa per tirare giù Renzi. Fun­ziona sem­pre, a sfre­gio dell’evidenza: gli ono­re­voli dem sono com­patti con­tro il voto anti­ci­pato. "Sono anche quelli del ’giglio magico’ a met­tere in giro que­sta cosa», spiega Rosy Bindi, «non ci sono solo i ren­ziani della prima ora a dire que­sto, ci sono anche quelli della seconda. Non fanno il bene del capo, in que­sto modo".

Ma la pro­po­sta dei 5 Stelle è un assist favo­loso per Renzi. Gli espo­nenti della mino­ranza sono costretti alla difesa: "Non credo che dob­biamo rispon­dere a stu­pide pro­vo­ca­zioni. Far cadere Renzi sarebbe da irre­spon­sa­bili" (Cuperlo). "Ogni ten­ta­tivo popu­li­sta di Grillo lo respin­giamo al mit­tente" (Boc­cia), "Grillo è un pic­colo Aya­tol­lah e non sa cosa sia un par­tito e il valore pre­zioso del dibat­tito interno" (Gotor). Ma è chiaro che Renzi userà l’argomento per inde­bo­lire il dis­senso.

Stando così le cose, lo spa­zio per una media­zione si restringe a vista. Anche se la lea­der Cgil Susanna Camusso ci prova, a pro­po­sito del nuovo con­tratto che parte senza art.18: "Se il periodo di prova deve essere mag­giore dob­biamo par­larne, sento par­lare di tre o sette anni, non è la stessa cosa. Comun­que pos­siamo discu­terne". E infatti "stiamo discu­tendo, c’è ancora tempo per avvi­ci­nare le istanze per una solu­zione ragio­ne­vole", pre­dica Mat­teo Orfini, pre­si­dente del Pd, ter­zi­sta nello scon­tro in atto. Ma sem­bra più una spe­ranza che un dato di fatto.

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