di Dante Barontini

La prima seria crisi del governo tecnico arriva sul mercato del lavoro. E vede il malessere del Pd esplodere (si fa per dire) in rancore.

La più esplicita è Rosy Bindi. Il Pd, confessa, «aveva lavorato per un accordo condiviso con tutte le parti sociali e fondato sul modello tedesco», quindi «rivendica» la possibilità di «lavorare in Parlamento per arrivare a quella soluzione». Nei licenziamenti per motivi economici, ad esempio, «è necessario che sia un magistrato a stabilire se ci vuole il reintegro o l'indennizzo».

La traduzione forse non serve, ma è meglio farla.

Il compito che il Pd si era assunto, per facilitare il varo senza conflitto sociale della "riforma" del mercato del lavoro, era classico. "Ci lavoriamo la Cgil" nella persona di Susanna Camusso e la segreteria confederale (che non a caso ha condotto tutta la "trattativa" senza mai aprire bocca sui contenuti, nemmeno all'interno dell'organizzazione, fino all'ultimo momento) e prepariamo fin dall'inizio il "punto di caduta" che può star bene a Monti (che deve sbandierare in giro per il mondo la "caduta" del potere di veto sindacale e la fine della concertazione), alle imprese (che saranno libere di licenziare, ma dovranno farlo con un po' di tatto e consultandosi prima con un avvocato esperto) e persino alla Camusso (che potrà dire che si tratta in fondo solo di una "manutenzione", senza grandi danni).

L'uovo di Colombo è il famoso "modello tedesco". Che sarebbe un sistema di tutele sociali molto articolato e anche dispendioso, ma il cui "articolo 18" risulta alquanto diverso: è il giudice, in qualsiasi caso, a decidere tra reintegro o indennizzo per il licenziato. Ovvio che, "estrapolando" una singola norma da un "sistema", il risultato che produrrà saraà diverso. Qui in Italia, nelle condizioni attuali, significa semi-libertà di licenziare.

Cosa ha fatto Monti?

Ha detto (al Pd e alla Cgil) che andava bene così e su questo assetto si sarebbe potuto chiudere. Poi, al tavolo ufficiale, ha deciso di fare come era sua intenzione fin dall'inizio: in caso di licenziamento per "motivi economici" ci dovrà essere obbligatoriamente soltanto un indennizzo, non più la reintegra.

E' noto che i licenziamenti per motivi economici avvengono già oggi, a decine di migliaia. E sono licenziamenti collettivi, per "stato di crisi" accertata da organi governativi e con concessione degli ammortizzatori sociali. Se invece diventa possibile il licenziamento individuale per motivi economici, si entra nel campo dell'arbitrio totale. Qualsiasi imprenditore può buttar fuori chiunque (target privilegiati: lavoratori anziani, "inidonei", sindacalisti rompicoglioni).

Di fatto, dunque, un'abolizione pratica dell'art. 18, anche se resta "legge". lo capisce chiunque.

A quel punto rischiava di saltare tutto. A cominciare dalla Cgil (l'ultimo Direttivo nazionale ha sfiorato più volte la rissa) per finire al derelitto Pd. Ma rischiava anche il governo, che dei voti del Pd ha bisogno non tanto sul piano numerico (la destra berlusconiana e il "grande centro" bastano e avanzano), quanto su quello dell'immagine politica: deve restare insomma l'apparenza di un governo "super partes" e non precipitare nel format del "governo di destra, dei padroni e delle banche". Che effettivamente è.

In secondo luogo, lasciar fuori dei giochi e per sempre un'organizzazione sindacale con quasi 6 milioni di iscritti è un rischio sociale. Perché lì c'è gente esperta nel gestire conflitti, militanti e funzionari, spesso corrotti e complici, ma altrettanto spesso in buona fede e che si fanno seriamente un culo pazzesco. La nostra critica alla Cgil, non a caso, è sempre politica. Sulla linea che tiene, indegna di un "corpo intermedio" di quelle dimensioni, con quella storia, con quella base sociale.

Tener fuori la Cgil è insomma il rischio che esploda "liberando" energie intellettuali, fisiche, capacità organizzative che invece "devono" restare inoffensive dentro un "grande sindacato" preoccupato soltanto di tornare alla prassi consociativa e che non si sa dar pace del cambiamento d'epoca.

Abbiamo perciò visto scendere in campo "pontieri" ufficiali e di grande peso. Come il Vaticano, tramite mons. Bregantini, e la Cisl, con Raffaele Bonanni impegnato a "riscrivere" l'art. 18 per renderlo simile al "modello tedesco" gradito al Pd. Ma a quanto pare "all'insaputa del premier", che è rimasto "fermo" all'"ormai è fatta".

Fonte: contropiano.org

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