di Loris Campetti

Il direttivo sceglie una risposta articolata allo scippo del diritto alla reintegra, e fa pressioni sul Parlamento. «Monti si vuol vendere all’estero la libertà di licenziare». Sedici ore di fermata da definire per riconquistare l’art. 18 svuotato del suo potere deterrente. La segretaria Susanna Camusso non fa sconti a Monti, Bonanni e Angeletti Conseguenze gravissime per gli «over 50». Troppo pochi i fondi per gli ammortizzatori, troppo poco contro il precariato

La Cgil ha un suo punto di vista sull’art. 18: non si tocca. L’unica manutenzione possibile per il sindacato di corso d’Italia riguarda la durata dei processi: «Un punto su cui tutti convenivano – dice Susanna Camusso rispondendo a una nostra domanda – che improvvisamente è scomparso, con la decisione del governo di rinviare il problema alla riforma della giustizia». La segretaria generale della Cgil ha nuovamente fatto il punto, ieri sera, sulla fine del confronto tra il governo e le parti sociali per «riformare» il mercato del lavoro. In realtà, l’unico punto su cui il confronto è stato chiuso da Monti è quello che riguarda l’art. 18, cioè il principale. Già oggi infatti le parti tornerano a incontrarsi ma il presidente del consiglio «ha scelto di concludere sull’art. 18 perché il messaggio che vuole portare nel mondo è che in Italia si può licenziare con facilità. Una linea che nulla ha a che fare con la coesione sociale». Invece di cercare investimenti esteri spazzando via i diritti di chi lavora, dice Camusso, dovrebbe difendere quelli italiani che ci sono invece di garantire a Marchionne il diritto di investire e produrre dove gli pare.

Se netta è la posizione della Cgil, la risposta presentata da Susanna Camusso è decisamente articolata. Intanto perché «nulla va dato per perso», dunque la Cgil userà il suo paccetto di 16 ore di sciopero, deciso ieri dal direttivo nazionale, per stare dentro il precorso parlamentare della riforma e tentare di modificarlo. «Inutile girarci intorno – ci ha detto ancora la segretaria generale – il nostro obiettivo è riconquistare le tutele garantite dallo Statuto». La conferenza stampa si è svolta durante una sospensione del direttivo che stava dibattendo sull’opportunità di accompagnare il pacchetto di scioperi con un documento per ribadire la posizione della Cgil, cioè i vincoli non trattabili con le altre parti sociali e il governo dei professori.

Sulle posizioni che si contrappongono nel Pd Camusso non ha voluto esprimersi, salvo ribadire la richiesta che il suo sindacato rivolge a tutte le forze politiche («con maggior forza a chi non giudica positivamente la volontà di isolare la Cgil») di non avvallare la cancellazione delle tutele. Perciò è evidente la scelta di articolare la proposta parlando della possibilità di arrivare a «una fermata contestuale in tutt’Italia con manifestazioni» nei territori. La parola sciopero generale nazionale è ancora difficile da pronunciare, forse un po’ troppo. La violazione dell’art. 18 non è che l’ultimo sorso di coctail avvelenato. Prima è arrivato l’assalto al sistema pensionistico con l’imbroglio che allungando l’età lavorativa e spolpando il valore delle pensioni si sarebbe stimolata l’occupazione giovanile; il secondo atto, dice Camusso, riguarda le liberalizzazioni di cui alla fine sono rimasti solo i punti che colpiscono i lavoratori; e ora tocca all’art. 18: la filosofia di questo governo è che «i costi della crisi devono ricadere tutti sui lavoratori dipendenti e i pensionati».

A qualcosa la trattativa con il governo è servita, secondo la leader Cgil: si è salvata la Cig straordinaria anche se la cancellazione della mobilità avrà «conseguenze drammatiche tra i lavoratori ultracinquantenni». A proposito, Camusso denuncia i continui rinvii nella soluzione del problema aperto con i 350 mila esodati, senza stipendio e senza pensione. Nulla di radicale è avvenuto a favore dell’occupazione e «senza investimenti finalizzati al lavoro non ci sarà inversione di tendenza e non si uscirà dalla recessione» ma si lascerà libertà di movimento a un sistema delle imprese che per recuperare competitività punta solo sulla riduzione del costo del lavoro e dei diritti. Qualche segnale però è arrivato sul versante della lotta alla precarietà, «insufficiente», «debole», e della drastica riduzione delle forme contrattuali neanche l’ombra.

Ma il punto centrale della rabbia che attraversa l’intero corpo della Cgil, facilmente riscontrabile nel volto e nei toni della segretaria e che ha imposto finora una posizione ferma, resta lo sbrego all’art. 18. Che non è aspetto di natura ideologica o politica, dice Camusso, ma economico-sindacale: quel che verrebbe cancellato è il suo potere deterrente: mantenerlo integro solo per i licenziamenti discriminatori è un imbroglio, nessun padrone ammette di licenziare una donna perché è incinta o un uomo perché è di pelle nera. Ed è una bugia esaltare l’estensione a tutti i dipendenti del diritto di reintegro in caso di licenziamenti discriminatori: «a intervenire a tutela di tutti ci sono già la Costituzione e il codice civile».

Non basta: una nota del governo afferma che le modifiche all’art. 18 saranno estese anche ai dipendenti pubblici: fantastico, «così troveranno anche il modo di licenziare un’insegnante perché non si condivide il suo approccio pedagogico». Ma Bonanni nega, troverebbe duro spiegarlo alla sua base «pubblica». A proposito di Cisl e Uil, Camusso ha detto che senza la rinuncia a una posizione unitaria di Bonanni e Angeletti, Monti non sarebbe stato in condizione di chiudere il confronto.
La partita è appena iniziata.

Fonte: Il Manifesto
 

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