di Domenico Gallo 

Era scritto in un cartello/ sulla schiena di ragazzi/ che senza conoscersi/ di città diverse/ socialmente differenti/ in giro per le strade della loro città/ cantavano la loro proposta.            

Così cantavano i Giganti nel 1967 interpretando i sentimenti di pace che percorrevano i giovani che, al di quà e al di là dell’Atlantico, contestavano la barbarie della guerra del Vietnam, aprendo la strada a quella grande rivoluzione politica e culturale passata alla Storia come movimento del 68.

La più grande povertà dell’epoca drammatica in cui stiamo vivendo è l’impossibilità di dare voce ai sentimenti di pace che sono radicati nel senso comune, prima ancora che nel cuore, dei popoli.

Lo scrittore austriaco Joseph Roth, a fronte dell’entusiasmo dei suoi concittadini alla notizia dello scoppio della guerra nel 1914, osservò con stupore che a tutti piaceva la guerra, ma a nessuno piaceva morire in guerra.

Oggi: “pare che si stia tornando – ha affermato il Santo Padre nel suo messaggio al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 14 giugno – nuovamente indietro nella storia, con l’insorgere di nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi, i quali hanno acceso conflitti non solo anacronistici e superati, ma persino più violenti.”

In questo tempo immemore, si sono sviluppati nuovi nazionalismi che alimentano spiriti bellicosi e diffondono l’odio fra i popoli, corrompono il senso comune della gente, annebbiando l’orrore per le stragi e per quelle scelte che organizzano la morte come strumento della politica.

La necessità della guerra e del nemico è diventata un dogma di fede, alla luce del quale si valuta la legittimità delle forze politiche e delle opinioni espresse nel dibattito pubblico.

Viene contrabbandato per solidarietà all’Ucraina aggredita, l’istigazione a proseguire in un conflitto senza quartiere e senza speranza, alla fine del quale rimarrà soltanto una montagna di morti, una devastazione ambientale incommensurabile e un oceano di odio fra due popoli fratelli.

Siamo arrivati al paradosso che, nel suo aiuto fraterno al popolo ucraino, la Gran Bretagna ha inviato tonnellate di munizioni all’uranio impoverito, destinate ad avvelenare l’ambiente ed a produrre morte anche molti decenni dopo che le ostilità saranno cessate. Per non parlare delle “cluster bombs” (armi proibite da una Convenzione internazionale per gli effetti indiscriminati in danno della popolazione civile) che Biden ha deciso di fornire all’Ucraina con la clausola che non siano impiegate nel territorio russo: serviranno a “saturare” il campo di battaglia in Ucraina.

In questo contesto in cui la politica ha bandito il “cessate il fuoco”, dobbiamo prendere atto che – per adesso – al vertice NATO di Vilnius è stato sventato il tentativo di Zelensky di coinvolgere la NATO nella guerra con la Russia.

Nelle ultime tre righe del paragrafo undici della dichiarazione conclusiva del vertice della Nato a Vilnius si legge:  “Saremo in grado di estendere un invito all’Ucraina ad aderire all’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte”.

Questa formula mette in evidenza due presupposti essenziali: tutti gli alleati devono essere d’accordo e devono essere soddisfatte le “condizioni” per l’ammissione di un paese terzo.

Secondo l’art. 10 del Patto atlantico, le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo, che sia in grado (.) di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. Orbene è evidente che, anche dopo che i combattimenti saranno cessati, l’Ucraina non sarà mai in grado di contribuire alla nostra sicurezza, al contrario, la presenza dell’Ucraina nella NATO renderà più concreto il rischio di un conflitto, anche nucleare, fra la NATO e la Russia.

Anche negli USA si stanno levando voci contrarie all’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Sulla rivista Foreign Affairs, due studiosi di relazioni internazionali pubblicano un articolo molto netto e dal titolo inequivocabile: non fate entrare l’Ucraina nella NATO.

“L’adesione alla NATO -sostengono – comprende un impegno da parte degli alleati a combattere e morire l’uno per l’altro”. Non è un caso, infatti, se durante la Guerra fredda sia stato evitato di espandere l’alleanza “a Stati che rischiavano a breve termine di essere attaccati (..) ammettere l’Ucraina comporta una possibilità molto reale di guerra (compresa la guerra nucleare) con la Russia”.

Forse l’unico che non l’ha capito è proprio il Segretario generale della NATO, Stoltenberg, la figura politica che più si avvicina al personaggio del dr. Stranamore, del noto film di Stanley Kubrick.

Affidare a Stoltenberg/Stranamore il timone della politica europea non è stata una scelta lungimirante da parte di Ursula Von der Layen e compagni.

La guerra – ha scritto Domenico Quirico (La Stampa dell’11 luglio) ha perso i suoi obiettivi. Si sono rivelati irrealizzabili sia gli obiettivi di Putin (di sottomettere l’Ucraina), sia quelli del Governo ucraino (di recuperare i territori persi nel 2014), sia quelli dell’Alleanza occidentale (di infliggere una sonora sconfitta alla Russia). ”Dopo 500 giorni nessuno di questi scopi esiste più”.

La guerra è diventata un massacro che si autoalimenta. Ora basta! Rilanciamo il messaggio del 68 e scendiamo in piazza cantando tutti in coro: mettete dei fiori nei vostri cannoni!

Fonte: Fatto Quotidiano

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