“La manovra che sta per essere definitivamente approvata in Parlamento contiene elementi di forte iniquità rispetto alle imprese dei servizi, e soprattutto in fatto di liberalizzazioni il settore della distribuzione viene fortemente penalizzato dalla totale deregulation sugli orari. Noi non ci stiamo. Perché “il sempre aperti”, ventiquattro ore al giorno e 365 giorni all’anno, è una condizione insostenibile”.

La Confcommercio dell’Umbria, per voce del presidente Aldo Amoni, rilancia a livello locale la mobilitazione promosso dalla Confederazione contro la scelta del Governo Monti in materia di liberalizzazione. “Una scelta insostenibile per le piccole imprese – sottolinea - che saranno strette nella morsa tra la rinuncia al diritto al riposo e alla vita familiare, da una parte, e la dolorosa rinuncia all’attività, dall’altra, con il conseguente impoverimento della pluralità distributiva, che è una delle ricchezze del nostro paese e della nostra regione. I primi dati sull’andamento delle vendite in questo periodo natalizio – aggiunge Amoni - sono tutt’altro che confortanti, accentuando gli effetti di una dinamica negativa che si è registrata durante tutto l’anno, specie per alcuni settori.

Mancando “la boccata di ossigeno” del Natale, centinaia di imprese rischiano di chiudere, o comunque di non riuscire a fare fronte a scadenze e pagamenti nell’immediato. In questa situazione a dir poco drammatica il provvedimento sulla totale deregulation di aperture e orari è una ulteriore mazzata, che taglia le gambe alle imprese commerciali, perché l’unica cosa certa è che aumenteranno i costi”.
Tutto questo – secondo Confcommercio – senza che ne guadagni la concorrenza e la qualità del servizio, e andando ben oltre quello che accade in Europa: in Francia e Germania, ad esempio, non vige nessun limite orario giornaliero, ma è salvaguardato il principio dell’apertura per deroga nelle giornate domenicali e festive.

“I livelli di servizio offerti attualmente, in termini di orario e di giorni di apertura – fa notare il presidente regionale - sono già oggi paragonabili a quelli europei. Fin dalla riforma Bersani del 1998, i negozi e i supermercati in Italia possono stare aperti per 13 ore nell'arco della giornata: la flessibilità degli orari è quindi sufficiente. Di domenica e nei festivi c'è già un'ampia facoltà di deroga. Se si spende la domenica, a parità di potere di acquisto, non si spende il lunedì. Se dunque l’aumento dei consumi è tutto da verificare, sono invece facilmente prevedibili i maggiori costi, sia ordinari che maggiorati, che una apertura prolungata e festiva comporta. Sarebbe infatti semplicistico prendere il ricavo ottenuto fino ad oggi nei festivi e moltiplicarlo per le più numerose aperture ammesse, perché poche domeniche sono appetibili e richiamano l'attenzione dei consumatori, mentre l'apertura di tutte le domeniche fa diventare la festa un giorno come un altro, anche se ha costi maggiori di gestione”.

L’Osservatorio sulle liberalizzazioni del Cermes della Bocconi è arrivato a stimare in ben 11 miliardi di euro l’anno i risparmi dei consumatori - 400 euro a famiglia - per effetto della maggiore concorrenza che si determinerebbe.
“Ai ricercatori del Cermes – continua Amoni - andrebbe però spiegato che in alcuni settori i margini operativi sono già ridotti all’osso, anche grazie alle continue promozioni già in atto, mentre in altri la crisi ha già prodotto effetti così devastanti che non si risolvono semplicemente stando più aperti, ma rafforzando il potere di acquisto delle famiglie. I dati parlano chiaro. Secondo l’Istat, al netto dell'inflazione, nel secondo trimestre 2011 il potere di acquisto delle famiglie è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,3% rispetto al secondo trimestre del 2010”.

Il “sempre aperti” è difficilmente sostenibile anche per le grandi imprese: dovranno fronteggiare, per assicurare una simile tipologia di servizio, costi crescenti, a partire dal costo del lavoro dipendente. Il tutto in uno scenario di consumi già in una condizione di recessione. E, di certo, i consumi non ripartiranno per la deregolamentazione degli orari dei negozi.
“Non siamo pregiudizialmente contrari alle maggiori aperture - conclude Amoni - a patto che queste siano accompagnate da politiche adeguate di sostegno ai consumi (maggiori flussi turistici da un lato, maggior potere d'acquisto dall'altro) altrimenti stare aperti più a lungo provoca solo effetti dannosi. E a patto che la liberalizzazione non riguardi, com’è fino ad ora, solo il commercio, già bersagliato da ulteriori aumenti dell’Iva, dall’aumento delle aliquote contributive, da un sistema di controlli che – chissà perché – non sale mai le scale per arrivare ad altre categorie. A chi conviene tutto questo, a chi conviene impoverire così il nostro Paese?”.
 

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