di Domenico De Masi
 
In quattro anni, grazie al Reddito di Cittadinanza, il lavoro nero è diminuito, più di un milione di famiglie e oltre tre milioni di cittadini hanno potuto alleviare gli effetti devastanti della povertà. Grazie ai navigator, più di 300.000 disoccupati hanno trovato lavoro.

Distruggendo con furia tutto l’apparato del Reddito di Cittadinanza e rendendo sempre più precario il lavoro, Giorgia Meloni si avvia a insidiare il primato neoliberista che fu della Thatcher inglese negli anni Ottanta e del Pinochet cileno negli anni Settanta e Ottanta.

Rispetto alla legge varata nel 2019 dai 5 Stelle, l’attuale Assegno per l’inclusione riduce il numero degli assistiti e la durata dell’assistenza. Non basta più essere poveri, occorre essere poverissimi. Per fruire dell’assistenza, bisogna avere in famiglia almeno un minore, un vecchio o un invalido.

Rispetto a due anni fa, un milione di poveri resteranno senza sussidio sicché l’Italia, dopo essere stato l’ultimo Paese d’Europa a introdurre il Reddito di Cittadinanza, e con il sussidio più basso, ora è anche il primo a restringerne la platea dei destinatari e a ridurre ulteriormente l’importo dell’assegno elargito. Portando da 8 a 5,5 i milioni destinati ai poveri, la Meloni lucra sulla fascia più diseredata e infelice della popolazione. Per il mezzo milione di “occupabili” c’è un trucco: percepiranno un sussidio di 350 euro solo dopo avere frequentato un corso di formazione ma, allo stato attuale, non esistono corsi del genere.

Da quando trionfa, il neoliberismo ha sempre imposto due condizioni: precarizzare il lavoro quanto più possibile e privilegiare il mercato piuttosto che lo Stato sociale. Il governo Meloni le sta onorando entrambi.
Abolito il decreto Dignità che garantiva gli ultraprecari, deformato il Reddito di Cittadinanza che assisteva i più poveri, vengono ora incentivati i contratti a termine con accordo diretto tra datore di lavoro e lavoratore e viene eliminato l’obbligo degli imprenditori a fornire giuste cause del ricorso al lavoro precario. Si tenga conto che già prima del Covid il 30 per cento di tutti i contratti a termine avevano una durata inferiore alla settimana. Se a tutto questo si aggiungono i voucher nei settori turismo, agricoltura e discoteche con una retribuzione di 7,5 euro l’ora, il quadro della precarizzazione del lavoro è completo.
C’è da chiedersi come Giorgia Meloni immagina che possano crescere i consumi e la natalità in presenza di un mercato del lavoro così precarizzato e con servizi sociali così decrescenti.

“I nostri – ha commentato il ministro del Lavoro, Marina Calderone – non sono interventi spot, c’è dietro una visione che poi si concretizzerà e si scaricherà a terra”. Ed è appunto questa visione che fa paura, perché ricorda i disastri neoliberisti della Thatcher e di Pinochet. Vale la pena, a futura memoria, di ricordare cosa avvenne in Cile.

Tra il 1957 e il 1980 le neoliberiste americane Ford e Rockefeller Foundation finanziarono il “Progetto Cile” organizzato dal Dipartimento di Stato americano.

L’iniziativa prevedeva borse di studio e tirocini per i giovani economisti cileni che si specializzavano presso la Pontificia Università Cattolica del Cile o presso la Scuola di Chicago, sotto la direzione di Milton Friedman e Arnold Harberger. Più tardi Friedman affibbiò a questi economisti il nome di “Chicago boys”.

Durante la sua dittatura militare – dal settembre 1973 al marzo 1990 – Augusto Pinochet convocò i Chicago boys come ministri, come consulenti e alti funzionari del governo e delle banche, ispirando tutta la sua politica economica al paradigma neoliberista (laissez faire, concorrenza, privatizzazioni, liberalizzazioni), abolendo le riforme socialiste di Allende, tagliando la spesa pubblica e le pensioni, mettendo in atto azioni antisindacali. Nacque così il cosiddetto “Miracolo cileno”: buona crescita del Pil, ottimi profitti per i privati, incremento della disoccupazione e del divario tra ricchi e poveri, asservimento del Cile alle società statunitensi, come notò il premio Nobel Amartya Sen. Del resto la Scuola di Chicago, che si prestava a fare da braccio scientifico di Wall Street, del Pentagono e della Cia, aveva come guru e fiore all’occhiello il professore Von Hayek, padre della Scuola neoliberista di Vienna che, di fronte all’obiezione se fosse etico lavorare per una dittatura, rispondeva che è “meglio un liberalismo restrittivo, che sapesse un po’ di autoritarismo, che una democrazia illimitata”.

Anche in Italia, dopo avere precarizzato tutto il mondo del lavoro, sarà necessario tenere a bada i conflitti che ne nasceranno. Allora “un po’ di autoritarismo” di tipo cileno sarà invocato dagli stessi media conservatori che, all’apparire del Reddito di Cittadinanza, lo coprirono di critiche sprezzanti.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

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