di Andrea Colombo

Era andata troppo liscia. Alla fine l’incidente doveva capi­tare, e per l’occasione ha rive­stito i panni di Pie­tro Grasso, pre­si­dente del Senato. E’ tarda mat­ti­nata, il dibat­tito gene­rale è ter­mi­nato. La parola è al mini­stro Poletti, che recita la sua parte. Spiega che per il governo «prio­ri­ta­ria e cen­trale è la delega in tutta la sua por­tata, non solo l’articolo 18 che rap­pre­senta una parte signi­fi­ca­tiva», ma insomma, «meno deci­siva di quanto si possa ritenere».

La mino­ranza Pd, pie­gata e vinta, finge di non sen­tire, nei cor­ri­doi di palazzo Madama i sena­tori ex dis­si­denti sfi­de­ranno il ridi­colo affer­mando che in fondo qual­cosa il governo ha rece­pito, che comun­que la fidu­cia mica si può non votarla, che però alla camera ne vedranno delle belle (sem­pre che Renzi non ricorra alla fidu­cia e lo farà). Nel pome­rig­gio una parte di detta mino­ranza par­to­rirà un docu­mento, al quale si con­trap­porrà però Gianni Cuperlo senza che nes­suno dei due con­vinca Pippo Civati. Più da pian­gere che da ridere.

Fi, l’opposizione per finta, ha scelto una via par­ti­co­lar­mente con­tun­dente per segna­lare il suo dis­senso. Figu­rarsi che nella discus­sione gene­rale non ha preso la parola nep­pure un azzurro. Roba forte. Con Sel, M5S e Lega la musica è diversa. I pen­ta­stel­lati stre­pi­tano, inter­rom­pono il mini­stro, sven­to­lano fogli bian­chi per denun­ciare la delega in bianco che il governo sta per otte­nere. Un pre­si­dente del Senato capace di eser­ci­tare la fun­zione farebbe finta di niente, chie­de­rebbe al mini­stro di pro­se­guire e fini­rebbe nei tempi pre­vi­sti. Que­sto si aspetta Renzi, che vuole annun­ciare al mini­ver­tice Ue di Milano la lieta novella con i lavori in corso.

Invece no. Grasso perde la testa. Urla peg­gio dei gril­lini, e fini­sce per sca­te­nare la rissa. Espelle il capo­gruppo a 5 stelle Petro­celli, che si rifiuta di uscire, e se in aula non volano i pugni poco ci manca. Sono i “mode­rati moderni” del Pd a cari­care, finendo a un pelo dalla scaz­zot­tata con Gio­vanni Baroz­zino, Sel, ex ope­raio di Fiat di Melfi licen­ziato per motivi poli­tici e poi rein­te­grato. Sto­rie di ieri. Il secondo cit­ta­dino dello Stato, pao­nazzo, ordina alla «poli­zia d’aula», come lui stesso la definì in una memo­ra­bile occa­sione, di cac­ciare il sedi­zioso. Sul tavolo della pre­si­denza vola di tutto, la seduta è sospesa, pen­ta­stel­lati e leghi­sti occu­pano l’aula. In quello stesso momento sfuma la pos­si­bi­lità di pre­sen­tare in gior­nata ai guar­diani euro­pei del rigore lo scalpo di quello che fu il sim­bolo dei diritti dei lavoratori.

La con­fe­renza dei capi­gruppo, riu­nita poche ore dopo, fissa infatti un calen­da­rio a passo di mar­cia. Due ore di discus­sione, poi le dichia­ra­zioni di voto e la conta finale in tempo per pre­sen­tare il ves­sillo con­qui­stato agli euro­pei prima della nanna. E’ un’assurdità: il maxie­men­da­mento su cui verrà posta la fidu­cia non è ancora pronto. I sena­tori dovranno quindi discu­tere e poi votare un emen­da­men­tone che avranno appena avuto il tempo di sbir­ciare. Poco male. Quel che conta è correre.

A Milano Renzi è imbu­fa­lito. Ma cosa gli è venuto in mente a quel Grasso? C’è o rema con­tro? Repen­tino parte l’ordine: il voto deve arri­vare prima di domani. Tas­sa­tivo. Grasso si ade­guerà. Mica facile. Per rego­la­mento tutti i sena­tori pos­sono inter­ve­nire sul calen­da­rio. Lore­dana De Petris, pre­si­dente Sel, chiede per prima di rive­dere le deci­sioni dei capi­gruppo, segui­ranno a ruota decine di sena­tori. Grasso per un po’ tiene a freno i nervi, poi sbotta di nuovo e l’aula torna a fare da ring. Sul tavolo del pre­si­dente vola addi­rit­tura una copia del rego­la­mento. I com­messi quasi non ce la fa a sedare i foco­lai di rissa. Alla fine la tri­buna stampa viene fatta sgom­be­rare un attimo prima che il Pd Cocian­cich arrivi più o meno alle mani con De Petris.

L’unica ormai è andare avanti a oltranza, e con­tro ogni logica Grasso decide di farlo, come da ordini supe­riori. Da Milano Renzi tuona con­tro le «sce­neg­giate», la «man­canza di rispetto» dei sena­tori, «si può non essere d’accordo ma la cor­ret­tezza del dia­logo par­la­men­tare pre­vede che si con­senta di votare», reclama. Così il pre­mier potrà sve­gliare nel cuore della notte i part­ner euro­pei e dar­gli la felice noti­zia prima che il gallo canti.

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