di Fabio Sebastiani

 

Un percorso, quello di Rivoluzione Civile, costretto nei tempi frenetici della politica. Si è riusciti comunque a stabilire che la società civile entra nell’agire politico mentre altri “salgono” o “scendono” in politica…

Credo che Antonio Ingroia abbia il merito di aver aperto una finestra di opportunità per la società civile responsabile. Perché la prima cosa che dovremmo specificare è che mentre oggi tutti sguazzano nell’espressione 'società civile' non tutti coloro che dicono, o si dicono, società civile fanno parte del processo di cambiamento; un cambiamento reale di cui ha bisogno il nostro paese e il mondo. Questo della responsabilità è un punto importante che svilupperemo nella campagna elettorale. Siamo tutti società civile, ma c’è un diverso modo di assumersi le responsabilità di fronte ai drammi umani del nostro paese e del mondo. Questa finestra di opportunità è stata colta da alcuni, come il sottoscritto. La convergenza che Ingroia è riuscito a creare in pochissimo tempo ha catalizzato forze che fino ad un giorno prima avevano difficoltà a convergere. Questa convergenza ha prodotto comunque l’avvio di un processo nella società civile di cui 'Cambiare si può' e anche 'Alba' ed altre esperienze più locali hanno dato un ulteriore slancio. In fondo c’erano processi già in corso che non sono stati generati da Ingroia ed esprimevano l’esigenza di rompere con gli schemi della vecchia politica, che non vanno più bene a nessuno.

 

Il fattore tempo ha rischiato di cancellare tutto questo percorso.

In tutto questo, l’elemento più critico è stato il fattore tempo perché ha realmente costretto tutti i percorsi di società civile a confrontarsi con un grande tema, quello della decisione. I tempi ristretti sono il contrario della partecipazione. Penso che se avessimo avuto trenta giorni in più avremmo avuto un esito più soddisfacente per tutti. Le aspettative erano altissime e le amarezze che ne sono poi scaturite lo testimoniano. Ciononostante sono per guardare a quello che è accaduto come a un primo passo di un percorso e non come a un tentativo fallito.

 

Il primo passo ha parlato di una società civile in grado di assumersi una responsabilità. Ora però il secondo passo, se tutto andrà come deve, è sicuramente quello più difficile.

Il secondo passo deve, almeno per quel che mi riguarda, dare la dimostrazione plastica di una nuova idea della politica di un nuovo modo di fare politica. Voglio dire che per quel che mi riguarda ho in mente non un gruppo di persone che entra nelle istituzioni e fa quello che è sempre stato fatto, ovvero si erge a rappresentante di qualcuno ma un gruppo di persone che entra nelle istituzioni e mette un piede nella porta impedendo che questa porta si richiuda il giorno dopo le elezioni. Se vogliamo cambiare davvero dobbiamo sapere che il cambiamento lo produciamo di più nella società civile che nelle istituzioni; però, certo, abbiamo bisogno anche di entrare nelle istituzioni.

 

Cosa intendi esattamente con “entrare nelle istituzioni”?

Ti dico tre buoni motivi per i quali è straordinariamente importante che la lista abbia successo: perché questa politica, la vecchia mala politica sta chiudendo tutti gli spazi della società civile e noi abbiamo bisogno di spazio per crescere. Non possiamo assistere impotenti a questa chiusura. Secondo, perché noi abbiamo una politica totalmente autoreferenziale, sorda e cieca e abbiamo bisogno di rompere questo criterio di autoreferenzialità che impedisce alla società civile di fare il cammino che deve fare. Terzo, i media riconoscono solo la voce della politica. C’è qui una grande questione democratica. Abbiamo bisogno di avere dei megafoni. Questa sfida la dobbiamo avere ben presente. E non possiamo limitarci alla denuncia e alla chiusura sistematica.

 

In tutti questi anni di militanza nella società civile hai comunque incontrato la politica. Ora non ti trovi più nella stessa posizione di prima perché devi fare i conti con parole tipo “alleanze”, “strategie”, tattiche”, e via dicendo. Cosa provi?

Ho deciso per la prima volta da quando a 17 anni ho iniziato il mio percorso di spendermi e di accettare una proposta di candidatura. Devo dire che ne avevo già rifiutate quattro, da pd, sel e idv. Ho deciso di accettare questa proposta perché ho intravisto uno spazio collettivo e non uno spazio per un protagonismo personale. Tanto è che ho deciso di entrare con Gabriella Stramaccioni e Franco La Torre. E’ la continuazione di un percorso. Il secondo punto è che tutta questa menata delle alleanze, che capisco e che ha una sua ragion d’esser, è comunque meno importante di tutta quell’altra agenda sulla quale oggi la gente chiede un confronto e la costruzione di un cambiamento. Quindi, no mi troverai mai appassionato a questi dilemmi. Sono molto contento che per l’avvio di Rivoluzione civile intanto ci sia stato uno sforzo di cosi tante componenti diverse che non si sono poste l’obiettivo del sistema delle alleanze ma di entrare in Parlamento e rompere l’isolamento. Dare voce a chi negli ultimi anni non ha avuto voce. Questa concretezza non può essere solo strumentale rispetto alle elezioni. Mi auguro che sia una concretezza continua. Certo il problema è porsi in relazione alle altre forze politiche per un governo dignitoso che porti giustizia. Noi dobbiamo continuare con lo stile che ha caratterizzato tutta questa fase, dobbiamo costruire il cambiamento.

 

Possiamo dire che lavoro, crisi e pace sono i tre punti di riferimento fondamentali?

Esattamente nell’ordine in cui le hai dette e intendendo per crisi la grande questione della giustizia. Penso, poi, che ci sia qualcosa in più. Il fatto che la società civile si rende conto che non può più delegare la soluzione dei problemi a qualche rappresentante o rappresentanza. La crisi è giunta a un punto tale che anche la migliore forza politica non può farcela da sola. Abbiamo quindi una doppia ragione, e questo perché una forza politica migliore non ce l’abbiamo.

 

Fonte: controlacrisi.org

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