di Luca Liverani

Snellire l’iter burocratico dei controlli per favorire l’export di armi italiane. Senza però allargare le maglie. L’obiettivo del ddl di riforma della legge 185 - giovedì sera il Consiglio dei ministri ne ha approvato lo schema - riaccende il dibattito su un tema sensibile come la vendita di armamenti. Alla Difesa rassicurano: allarmi infondati. Ma la società civile teme un abbassamento dei controlli, col rischio di armare autocrati e alimentare conflitti. Preoccupazione condivisa da ampi settori della politica, dal Movimento 5 stelle a Demos, dai Verdi a Sinistra italiana.

Nessun riduzione dei controlli, si ribadisce in ambienti della Difesa: «Il ddl del governo ha l’unico scopo di affidare alla responsabilità politica dei governi le decisioni in materia di esportazioni di armi e snellire le procedure burocratiche di controllo, oggi affidate all’Uama». Il nuovo Comitato interministeriale «è in realtà un organismo già presente nella 185 - spiegano a via XX settembre - e mai attivato. Sarà interministeriale per evitare che un solo ministero abbia tutta la responsabilità, e incardinato nella Presidenza del consiglio». Le esportazioni oggi «attendono per mesi l’iter burocratico dell’Uama, che comunque manterrà le sue competenze. Ma bisogna snellire le procedure - insistono alla Difesa - perché la legge non può trasformarsi in una pastoia burocratica, e i committenti stranieri non possono aspettare sei mesi che le industrie italiane consegnino le armi: finisce che si rivolgono all’estero. Oggi un funzionario dell’Uama non firma se non conosce tutto fino all’ultimo dettaglio, non si prende la responsabilità politica. Non è possibile che oggi Uama debba essere informata di tutti i fucili in dotazione a una missione militare in Libano». Un controllo comunque opportuno per scongiurare che armi dell’Esercito si perdano per strada. «Abbiamo rischiato di non mandare la batteria Samp-T per missili in Ungheria - dicono alla Difesa - e per inviare proiettili in Ucraina dobbiamo attendere mesi il via libera. Lo stesso per i gruppi elettrogeni o kit di protezione Nbc (nucleare biologico chimico) in Ucraina».
Ma per Francesco Vignarca di Rete italiana Pace e disarmo «la burocrazia è un falso problema. I tempi tecnici dell’Uama - che prevedono la raccolta dei documenti, i contatti con ambasciate e con i paesi alleati - non possono essere compressi. Per snellire si rischia di tagliare i controlli. È questo quello che vogliono? La verità è che non c’è alcun bisogno di velocizzare le autorizzazioni, che vanno rilasciate nei termini giusti e facendo tutte le valutazioni del caso. Non è certo dalla velocità dell’iter che deriva il successo o meno dell’export militare. Che comunque, lo ricordo, in questi ultimi anni sta crescendo».
La decisione del governo suscita «estrema preoccupazione» nel Movimento 5 Stelle: «Ben venga una maggiore responsabilizzazione politica del Governo su queste decisioni - dicono i parlamentari del M5s delle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato - ma se davvero la proposta non mira ad allentare i controlli, la maggioranza non avrà problemi ad inserirvi un esplicito riferimento al rispetto di principi e divieti del Trattato Onu sul commercio delle armi ratificato dall'Italia dieci anni fa. E dei criteri della Posizione comune del Consiglio Ue del 2008. E non avrà remore ad introdurvi migliorie per evitare facili scappatoie e per garantire un adeguato controllo parlamentare. Nemmeno a sottoporre ai controlli di legge anche l'export di grossi quantitativi di armi leggere. Il M5s è determinato a mettere in campo ogni azione in Parlamento affinché questa riforma sia migliorativa e non diventi, come temiamo, un favore alla lobby dei produttori di armi a discapito della pace e dei diritti umani».
Per Paolo Ciani, deputato di Demos, «è un grave passo indietro sul tema della commercializzazione e diffusione armi, dopo che dossier approfonditi hanno dimostrato in questi anni quanto sia facile che le armi finiscano "in mani sbagliate": è accaduto nei Balcani, in Siria, in tante guerre africane. Sembra purtroppo il frutto avvelenato di una "normalizzazione" della guerra e dell'uso delle armi, che in questo anno e mezzo ha caratterizzato la comunicazione pubblica del nostro Paese. Ricordiamoci il ruolo che ebbero nella legge del 1990 i missionari: loro le conseguenze del commercio delle armi le avevano ogni giorno sotto gli occhi: morti, feriti, mutilazioni, distruzioni».
«La cosa ci preoccupa molto, perché cambiare la legge sulla vendita di armi all'estero potrebbe portare ad una situazione peggiore di quella attuale», è il commento del leader dei Verdi Angelo Bonelli. «Già rileviamo che il divieto sancito dal Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty – ATT), adottato dall’Assemblea Generale dell’Onu viene disatteso dal Governo italiano. In particolar modo la parte che vieta il commercio “se in violazione di regimi di sanzioni, tali gli embarghi decisi dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, o se le armi oggetto del trasferimento potrebbero essere usate per la commissione di atti di genocidio, crimini contro l’umanità o violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949”. Noi, ad esempio, le vendiamo ad Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, Turchia ed Egitto. Nonostante le vicende legate all’omicidio di Giulio Regeni».
Anche secondo il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni «la 185 è una legge molto avanzata, se pure negli anni è stata tradita più volte. E dunque ci preoccupa molto la volontà di sottoporre alla totale discrezionalità politica il controllo sull’export di armi: così si rischia di ridurre la trasparenza. Se la Difesa vuole davvero rassicurare, si adoperi per inserire vincoli più rigorosi come quelli del Trattato internazionale sul commercio delle armi. Abbiamo già visto esportazioni verso paesi con standard di diritti umani sotto il livello di guardia. Assieme alla società civile vigileremo sull’iter parlamentare. E ci batteremo per modifiche migliorative».

Fonte: avvenire.it

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