Ci risiamo, dunque. Come previsto ed annunciato, la Giunta Morroni non ha inteso mollare l’osso sul progetto di recupero dell’Ex Consorzio agrario e domani si appresta a riportare in Consiglio comunale il medesimo piano di iniziativa pubblico-privata che prevede la realizzazione di un ennesimo centro commerciale nella nostra Città e che lo scorso 30 settembre era miseramente naufragato per la contrarietà di una parte della sua stessa maggioranza dimostrata con il venir meno del numero legale.

Stranamente, nessuna sensibile differenza vi è con la progettualità osteggiata in quel caso dai monacelliani, se non nel perfezionamento della ricaduta pubblica della perequazione urbanistica contrattata dal Comune con gli investitori privati: l’auditorium, un’opera dalla scarsissima utilità sociale che sarà pur di prestigio ma la cui insostenibilità economica rischia di farla diventare un’altra cattedrale nel deserto, verrà consegnato chiavi in mano, anziché grezzo come nella proposta originaria.

Se la Giunta ha deciso nuovamente di sfidare il Consiglio comunale e il sentire più diffuso e generalizzato della cittadinanza riportando l’argomento all’ordine del giorno, può significare che nelle stanze più segrete della maggioranza si è giunti ad un accordo, la cui natura, alla luce di un progetto immodificato, ci sfugge, ma sarà nostra premura conoscere rendere nota nel dettaglio. Per quanto ci riguarda, il giudizio che diamo sull’operazione resta estremamente negativo e su questo daremo battaglia.

Alla nostra Città non serve un altro centro commerciale. La sua eventuale realizzazione sarà anzi dannosa per l’economia di Gualdo e per la qualità della vita dei suoi cittadini. Anziché frenare, interrompere ed invertire il processo di impoverimento e di desertificazione del centro storico che per un insieme di fattori (politici, economici, nazionali e locali) ha investito negli ultimi venti anni anche la nostra Città e che gli storici sociali e i più insigni urbanisti hanno inteso chiamare “doughnut complex” (effetto ciambella), questa Giunta persevera in un accanimento terapeutico all’incontrario, procedendo verso una scelta che può costituire il definitivo colpo di grazia sia per il Centro storico, sia per l’intero settore del piccolo commercio; privilegiando un’idea di una Città senza più un’anima, segnata com’è da un tessuto urbano alla mercè della rendita immobiliare e caratterizzato dalla proliferazione pervasiva dei grandi complessi commerciali senza più soluzione di continuità. Una Città che, anche per effetto della crisi, sembra destinata a diventare un dormitorio perfetto dove le uniche relazioni sociali e di scambio si rendono possibili all’interno di questi complessi, con i cittadini ridotti a clienti.

E’ un aspetto emblematico ed inquietante di quella che si può definire “la città della rendita”, coincidente con la città del neoliberismo; è la progressiva riduzione e mistificazione dello spazio pubblico. Gli spazi pubblici non sono più l’anima della città e le ragioni essenziali delle sue trasformazioni: i centri commerciali stanno diventando oramai il luogo nel quale società e città s’incontrano e si sostituiscono alle piazze. Uno dei segni più gravi dell’attuale crisi della nostra città è nel fatto che gli spazi pubblici sono oggi a rischio o in stato di degrado, minacciati da mille tentativi di privatizzazione e mercificazione. L’elemento che caratterizza la crisi della condizione urbana anche a Gualdo è la progressiva affermazione di un modello di habitat fondato sulla prevalenza di soluzioni individualistiche, precarie e costose, proprio i centri commerciali, così fortemente differenziate a seconda delle diverse capacità di spesa rispetto alla necessità di rispondere ai bisogni secondo una logica solidaristica, collettiva e risparmiatrice di risorse.

Le magnifiche sorti per la Città che secondo il Sindaco Morroni e la sua Giunta deriverebbero dalla realizzazione di un simile progetto sono i mantra liberisti di sempre: sviluppo, progresso, crescita, posti di lavoro. E’ proprio così ed è stato così nella nostra Città? Noi non crediamo e un’analisi economica della storia recente ci fornisce una prova inoppugnabile. Vent’anni fa, a Gualdo, c’era un solo supermercato, la popolazione era di poco inferiore ai 15 mila abitanti ma i flussi turistici erano superiori perché dovuti a un più massiccio ritorno e ad una più lunga permanenza di gualdesi residenti all’estero o in altre Città soprattutto nei periodi di vacanza, c’erano meno occasioni di mobilità commerciale soprattutto per i giovani, aveva inizio il fenomeno dell’immigrazione e dell’accrescimento di popolazione, il trend dell’invecchiamento demografico iniziava a procedere ai livelli di oggi, quartieri e frazioni erano funzionalmente serviti da presidi ed attività commerciali diffuse e capillari. C’era allora meno occupazione, eravamo meno ricchi e si viveva qualitativamente peggio?

Oggi ci sono ben 5 centri commerciali con annesso supermercato più uno a tema a fronte di un saldo demografico di poco superiore ad allora, i prezzi al consumo sono schizzati alle stelle perché la concorrenza non ha fatto il suo mestiere, solo per parlare di una delle ragioni principali che i fautori della proliferazione della grande distribuzione accampano. Ebbene, c’è più occupazione? No di certo e siamo tutti più poveri per effetto della crisi e di questo modello di sviluppo. Qualcosa evidentemente non ha funzionato e non funziona in questo modello cosicché sarebbe utile riflettere sulla necessità di un cambio di rotta, non già su una sua conferma: siamo infatti in presenza di un capitalismo a somma zero che produce ulteriori disuguaglianze e spezza la coesione sociale in quanto, nel caso in questione, privilegia la rendita immobiliare come esito e a sua volta anticamera della finanziarizzazione di un’economia sempre più di carta.

Tant’è che sotto un profilo strettamente economico, ci sono anche da segnalare gli ulteriori guasti che l’operazione combinata tra il Comune e i privati produrrebbe al già fragile assetto economico della Città. Pressoché tutte le teorie di macroeconomia concordano sulla tesi di fondo secondo cui la struttura di un’economia, anche di scala locale, cresce e produce le migliori condizioni di stabilità e di coesione sociale solo laddove vi sia un equilibrio nella varietà dei suoi settori ed all’interno di uno specifico settore. Non funziona per esempio quella in cui vi sia un altissimo indice di industrializzazione e di operaizzazione (di questi tempi non è certo il nostro caso) a fronte di un indice misero nella produzione di servizi.

Noi siamo nella situazione esattamente opposta, ma i rischi di implosione, di ulteriore instabilità e di disequilibrio sono gli stessi. Nel contesto attuale della desertificazione industriale, della crisi della piccola impresa e dell’artigianato, della conseguente perdita di posti di lavoro e della contemporanea ed abnorme proliferazione della grande distribuzione commerciale, diventa ulteriormente critica una situazione in cui vi sia, com’è nella nostra Città, uno sbilanciamento netto nell’ambito dell’economia dei servizi in favore del commercio, di fronte alla crisi contemporanea o all’assenza delle altre tipologie (servizi a domanda individuale, all’impresa, informatici o a forte contenuto tecnologico, ambientali, relazionali, educativi, sociali, culturali ecc.).

Nello stesso settore commerciale si produce infine un triplo sbilanciamento relativo alla prevalenza assoluta della grande distribuzione e della grossa taglia a scapito del piccolo commercio e della sua funzione sociale. Si prefigura così una Città senza più una struttura e senza relazioni: quasi una “non città”, anonima e disordinata: una frammentazione che genera consumi energetici insostenibili, disfunzioni economiche e scarsa qualità della vita, basta pensare anche al fatto degli effetti del nuovo centro commerciale sulla mobilità e sul traffico lungo la principale arteria che attraversa Gualdo, senza soluzioni alternative possibili, proprio a ridosso della rotatoria più importante.

Da un punto di vista urbanistico, con l’operazione sull’ex consorzio, una delle ultime possibilità per un recupero del tessuto urbano della nostra Città che possa coniugare sostenibilmente l’iniziativa economica privata agli obblighi di utilità sociale e di armonizzazione con l’interesse pubblico, viene invece meno il diritto alla città, ovvero il diritto per tutti di appropriarsi della città, di usarla senza esclusioni né preclusioni; e il diritto di tutti a partecipare alle decisioni circa le sue trasformazioni ed il suo governo. Con essa è profondamente colpito il carattere pubblico, comune, collettivo della città nel suo insieme: si fa carta straccia di un principio (il diritto/dovere della collettività di decidere l’uso del suolo e le trasfrmazioni urbane) raggiungibile mediante lo strumento patrimoniale (proprietà pubblica dei suoli urbanizzabili o appartenenza pubblica del diritto a costruire) e lo strumento di una pianificazione urbanistica efficace, autorevole, condivisa, promossa e garantita da chi esercita il governo in nome degli interessi generali.

Con il progetto sull’ex Consorzio si sostituisce di fatto la pianificazione pubblica con la contrattazione delle decisioni sulla città con la proprietà immobiliare: un esempio poco mirabile di “urbanistica contrattata” dove l’Ente pubblico si è sentito in dovere di discutere e condividere solo le impostazioni progettuali e insediative su cui la proprietà delle aree e gli acquirenti pare che abbiano già stretto un contratto, ritenendo forse di essersi comprato anche il diritto di essere padrona delle idee della città e suo interlocutrice unico.

Si arriva così a voler decretare che il diritto di edificare appartiene strutturalmente alla proprietà del suolo, senza peraltro aver ponderato ed effettivamente verificato che non sussistessero alternative per un recupero e un riutilizzo dell’area per finalità di maggiore interesse collettivo come poteva per esempio essere la realizzazione di una struttura alberghiera complessa ed eventualmente dotata anche di servizi commerciali ad essa funzionali per la parte privata e di servizi educativi per la pubblica (Asilo nido? Scuola? Ludoteca e giardini pubblici? Un nuovo e più funzionale impianto sportivo?) prima di assecondare la proposta dei privati a scatola chiusa per un altro centro commerciale. Anche nel caso di un semplice trasferimento di attività da un insediamento al nuovo si tratterebbe di una follia urbanistica ed economica da parte del Comune, in quanto i costi sociali della desertificazione del vecchio andranno in carico alla collettività.

Si profila perciò un’operazione di contrattazione a perdere dove la Giunta svende e mette a disposizione 4 mila e 500 mq di proprietà di tutti i cittadini gualdesi ed essenziali alla finalizzazione del progetto, per una valorizzazione esclusiva della rendita immobiliare e con un ritorno pubblico di cui il tempo testimonierà la follia, grazie all’artificio dell’iniziativa pubblico-privata che consente a un accordo stipulato tra gli amministratori e i proprietari di derogare alla pianificazione più ordinaria e soggetta a una procedura di larga evidenza pubblica. E’ un’operazione di speculazione immobiliare fine a sé stessa, priva di qualunque politica di programmazione urbanistica e di supporto territoriale o sociale in grado di valorizzare la dimensione pubblica della città. Tale incentivazione del mercato immobiliare a fini commerciali consentirà il proliferare di operazioni finanziarie che non porteranno nessuna qualità allo spazio urbano e al territorio, non serviranno a risollevare le sorti dell’edilizia e più in generale dell’economia se non come chimera e prolungheranno l’agonia di un sistema bancario fortemente esposto con il “mercato del mattone”.

Le conseguenze del trionfo della rendita nella nostra Città sono evidenti da tempo. Si è manifestata una grande euforia immobiliare, che ha stimolato la produzione edilizia e alimentato la domanda, determinando così un balzo in avanti della valorizzazione della rendita. Il cambiamento è stato enorme, non solo in termini quantitativi. È cambiato radicalmente il ruolo della città nei confronti dell’economia e la città è diventata sempre di più una macchina usata per accrescere le ricchezze private di pochi investitori. Lo scenario delle macerie di questa bolla è sotto i nostri occhi: capannoni sfitti ed edilizia in forte crisi.

Queste sono le ragioni della nostra contrarietà profonda e del nostro invito ad un’ulteriore riflessione sulla questione dell’ex consorzio. Contrariamente a come persevera la Giunta Morroni, occorre affermare la necessità di un cambio di rotta sul modello di sviluppo locale ed il principio che la Città, il territorio e il patrimonio pubblico sono beni comuni non negoziabili. Il Comune, attraverso le forme della partecipazione attiva della popolazione, ne deve essere il custode e il garante nel quadro delle specifiche competenze. È questo il pilastro su cui deve essere rifondato il governo del territorio. I beni comuni non possono essere trasformati in funzione dell’esclusivo tornaconto dei proprietari delle aree e degli immobili ma ogni mutamento deve essere deciso dalle amministrazioni pubbliche attraverso forme di partecipazione della comunità, specie in questo periodo di scarse risorse economiche.

Ogni opera di rilevanza territoriale come nel caso del nuovo centro commerciale, è la popolazione insediata che deve esprimersi attraverso le mature forme di partecipazione, e cioè i referendum confermativi. Visto che le regole sono state infrante, occorre ricostruirle a partire da un nuovo protagonismo: quello dei custodi del bene comune, i cittadini. E’ per questo che domani proporremo l’indizione di un referendum sulla ridestinazione dell’ex consorzio, forti della proprietà pubblica di 4500 metri quadri senza i quali nessun nuovo centro commerciale potrebbe realizzarsi.

Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini

 

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