“Il duende è un potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega”. Così, parlando di Paganini, Federico Garcia Lorca, presentò il duende.
A Brufa, nel bel mezzo del “Parco delle Sculture” ce lo ha spigato l’autore Eppe Argentino Mileto, interpretando il pensiero del grande poeta, drammaturgo e regista teatrale, figura di spicco della cosiddetta generazione del ‘27, un gruppo di scrittori che affrontò le avanguardie artistiche europee con risultati eccellenti, tanto che la prima metà del Novecento viene definita la “edad de Plata” della letteratura spagnola.
Sostenitore dichiarato delle forze repubblicane durante la guerra civile spagnola, fu catturato a Granada, dove si trovava ad alloggiare in casa di amici, e fucilato da uno squadrone della milizia franchista. Il suo corpo fu poi gettato in un burrone ad alcuni chilometri alla destra di Fuentegrande il 19 agosto del 1936.

In Garcia Lorca poesia e filosofia non coincidono, anzi vivono e si sviluppano in saggia distinzione. Certe volte, tuttavia, chi lavora con versi, parole e percezioni, dimostra di svolgere un utile lavoro di orientamento nei confronti del filosofo, alle prese con concetti, modelli di spiegazione della realtà e dell’agire politico. Un esempio è offerto da un seminario che Fderico Garcia Lorca tenne a Cuba nel 1930 sul tema del duende, parola che non trova analogo in lingue diverse da quella spagnola. Tanto oscuro il contenuto quanto chiaro e netto l’argomentare del poeta sulla fertilità di un’inquietudine che, richiamata da un termine intraducibile (nel dialetto andaluso, duende può significare folletto ma anche broccato e stoffa pregiata), non risulta esclusivamente ancorata ai versi poetici ma osa invece varcare la soglia della riflessione filosofica.
L’obiettivo di Lorca è quello di dimostrare che l’inquietudine, nella veste di forza indecifrabile, di energia oscura e comunque portatrice di frutti, risulta essere il motore dell’esperienza del vivere, un punto d’avvio tanto del pensare quanto dello sperimentare emozioni, un dizionario dei segni nella costruzione di immagini. Nel testo breve, “Il duende Teoria e gioco”, ripreso solo nel 1996 e pubblicato nelle edizioni Semar, con un’introduzione significativa di Elémire Zolla, Garcia Lorca, abbandonando le vesti consuete di poeta, musicista, pittore, si dimostra profondo conoscitore del carattere sistemico dell’inquietudine che, nelle opere dell’uomo e della donna di genio (in campo artistico, filosofico, scientifico), si fa carico di una ragione complessa e articolata.
Troppo facile e in ogni caso inutile sarebbe racchiudere le parole di Lorca sul tema del duende nella nicchia del dionisiaco e dell’irrazionale. In realtà, la conversazione cubana denota la precisa volontà di tessere un ponte tra l’inquietudine interiore, l’incanto inesprimibile e l’esercizio del pensiero socratico, che segue margini e bordi, affronta il paradosso e lo governa.
Il poeta esordisce, sostenendo che l’inquietudine è in primo luogo l’abito mentale che ogni insegnante o pensatore dovrebbe assumere, rinunciando a esercitare le funzioni dell’intelletto astratto e dimostrandosi pronto a gioire della vivacità del pensiero condiviso.  Inquieto è colui che apprende con gli altri, che imita per certi versi il cammino dell’esule, rinunciando al sonno del pensiero e all’opacità del vedere, mettendosi da parte con ironia per guardare meglio le sorti del mondo. Solo chi possiede duende, ossia si fa interprete dell’autentica inquietudine, riesce a comprendere lo spirito dei tempi, a comunicarne le radici, spesso intessute di sofferenza come nell’epoca della dittatura franchista.

Ieri, in quella splendida cornice del “parco delle sculture” a Brufa si è visto tutto questo. Musica, ballo, recitazione. Si è cominciato con la Carmen di Bizet, accompagnata dal flamenco, tipico ballo gitano, dove, appunto, l’inquietudine, il sentimento e le passioni, sono espresse in tutta la loro veridicità, interpretate con autenticità dal corpo di ballo di Salvatore Inghilleri.  L’autore ha fatto poi da filo conduttore, dando il tempo allo spettacolo, spiegando il significato di ogni scena, presentando i quadri che componevano il mosaico della rappresentazione. Amore, terra, morte. Questi i temi narrati attraverso la lettura delle poesie di Garcia come “le cinque della sera”, scritta nel dolore per la morte del torero Ignazio Sanchez Mejias durante una corrida, interpretata magistralmente dall’attore Fabio Testi.

Significativa è stata anche la testimonianza di Daniela Poggi che ha raccontato la vicenda umana di sua madre, morta dieci anni fa di alzheimer, ed il suo rapporta con essa nelle varie fasi della vita di bambina, adolescente, giovane e adulta. Tutto questo raccontato nel suo libro “ricordami”. Ma anche la Poggi ha recitato le più belle poesie di Garcia Lora come “romanza della luna” e “bella e il vento”. Tutte le poesie sono state accompagnate dalla splendida chitarra di Alessandro Zucchetti. Ma anche il pianoforte è stato protagonista nello spettacolo. Ottima la musica composta da Riccardo Gambacorta, eseguita a quattro mani con il fratello Alessandro. Riccardo ha anche accompagnato la Poggi nella recita della celeberrima poesia di Ungaretti “la madre”, con l’emozionante notturno di Chopin. Eccellenti performance di Stefano Ragni che ha eseguito al pianoforte il Requiem di Mozart e accompagnato il mezzo soprano Dian Bertini in “Nana” di De Falla, oltre ad aver curato tutto l’aspetto musicale dell’intera rappresentazione. Ma non solo pianoforte, percussioni e chitarra, anche i sax, guidati dal maestro Roberto Todini, hanno notevolmente arricchito lo spessore artistico di tutto il progetto teatrale.

Lo spettacolo è poi continuato su un testo scritto dall’autore. Un dialogo fra gli attori Fabio Testi, Daniela Poggi, Lidia Scuderi e Ivano Silvestri, sull’eterno conflitto dell’amore, stretto fra passione e ricerca, fra il desiderio di rinnovarlo e quello dell’evasione, della fuga. Da segnalare in questo dialogo il debutto assoluto nella recitazione di Ivano Silvestri, imprenditore e cittadino di Torgiano. Lo spettacolo si è concluso con uno splendido duetto fra Fabio Testi e Daniela Poggi che hanno recitato un testo dedicato ad un amore ritrovato, la nostalgia del tempo andato e della felicità di giorni ormai lontani, il tutto arricchito dalla tenerezza dei sentimenti, uscito anch’esso dalla penna dell’autore Eppe Argentino Mileto: “sei ancora bella”

Tutto questo nasce dalle idee dell’associazione Musicale “Ciro Scarponi”, che ha nei suoi piani un progetto di cultura globale, che valorizzando le tradizioni del territorio e le sue eccellenze, possa creare le condizioni necessarie per rilanciare il proprio paese. Un riconoscimento che le va dato, anche perché sono molti i cantieri in atto. Già domenica prossima in piazza Matteotti ci sarà un concerto della filarmonica di Spina, organizzato dall’ ANBIMA regionale e il 23 e 24 ottobre il IV concorso musicale per fiati ed archi “Ciro Scarponi”. Ma senza l’impegno dell’amministrazione comunale e dell’assessore alla cultura Elena Falaschi, niente sarebbe stato possibile, come determinante è stata l’organizzazione offerta dalla Pro Loco di Brufa e del suo Presidente Feliciano Martinelli e del regista dello spettacolo Federica Fico. Un’ottima sinergia che dovrebbe essere presa da esempio per costruire un territorio socialmente coese dove fa della cultura il suo elemento trainante.
Associazione culturale Umbrialeft

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